di Maurizio Chierici
L'Italia del pallone vince col lutto al braccio ed è segno di civiltà. Un poliziotto spara ed uccide il ragazzo tifoso che corre in auto da Roma a Milano per amore della squadra del cuore, e la nobiltà della nazionale vuole ricordarlo così. Il dolore per la sua scomparsa non poteva finire appena finito il funerale, abitudine nel mordi e fuggi dell'informazione. Far sapere alla correttezza degli spettatori scozzesi che la memoria italiana coltiva sentimenti meno superficiali, commuove ma anche rallegra. La nostra cultura sociale resta dunque in Europa malgrado la vigliaccheria degli idioti mascherati che
aggrediscono e minacciano come fanno i banditi quando svaligiano le banche. Ma questa civiltà non dovrebbe fermarsi al palcoscenico del pallone. Ogni piega della convivenza ha diritto alla stessa attenzione. Il ragazzo ha perso la vita otto giorni fa e in questi giorni otto giorni sono morte undici persone, incidenti di lavoro che non sono incidenti, ma disattenzioni di chi tutela quel lavoro, sfruttamento di una manodopera malpagata e senza voce. Il dolore dei loro familiari, la disperazione dei compagni di impalcatura o di fabbrica consapevoli di rischiare la stessa fine perché il sistema li costringe a sfidare gli stessi pericoli, non richiamano l'indignazione collettiva. Lampi nascosti in pochi secondi Tv.
Nessuna squadra è mai scesa in campo col lutto al braccio, modo per condannare l'incapacità o il cinismo rovesciati sulle spalle del poliziotto che ha preso la mira. Se non proprio gli eroi azzurri, specchio dell'orgoglio che ci appassiona, almeno la squadra serie B o serie C della città dove lavoratori senza nome cadono come foglie, potrebbero mostrare lo stesso rincrescimento: domenica col pallone tra i piedi e quel segno sulla maglia. Invece niente. Non sono morti per il calcio e non sono mai esistiti. Dietro le loro bare non ricordo autorità dagli occhi rossi, prefetti dalla faccia scusa, onorevoli che baciano mogli e figli, sindaci dalle promesse vibranti: non permetteremo succeda più. I responsabili del lavoro negriero
nascondono il lutto delle loro vittime sotto il perbenismo di chi non vuole grane. Non importa l'eurovisione, ma sarebbe civile reagire all'organizzazione medioevale dei senza scrupoli con l'impegno che l'ingiustizia non si ripeta: sentimenti autentici, più o meno gli stessi arrivati nelle nostre case assieme ai gol di Toni e Panucci. Purtroppo si piange e si grida solo negli stadi o davanti alle chiese. L'insensibilità domina il mercato che è esigente, trema per la concorrenza, offre oggetti ai quali possiamo affezionarci e dei quali le nuove generazioni ormai non possono fare a meno dimenticando che dietro ogni palazzo, gioco, comodità quotidiana vi sono uomini e donne: non possono giocarsi la vita per guadagnare una piccola dignità come non é giusto che la passione di un tifoso sfidi la morte per una partita di calcio. Continuiamo ad ascoltare discorsi sulla preparazione che trasforma i tutori in divisa della nostra serenità in professionisti dalla mano sicura, razionalità collaudata. Fiumi di parole: educare, prevenire. Non ci si può limitare alla prevenzione dei poliziotti.
Prevenire vuol dire coinvolgere la responsabilità sociale degli imprenditori disattenti alle persone, di politici e giornalisti per non parlare degli autori Tv. Gli spot che hanno frastagliato la partita della gloria sono l'esempio di ciò che si deve cambiare. Quanti spettatori si agitavano attorno ai teleschermi in ogni angolo del paese? Milioni ai quali la pubblicità ha distribuito consigli per acquisti. Mentre nuovi regolamenti impongono un codice morale alle squadre che coltivano gli ultras, la sregolatezza autorizzata perpetua i massacri del sabato sera. Ricordate gli etilometri che lampeggiavano nelle televisioni e sui giornali due o tre mesi fa? Proibizione dell'ubriacarsi attorno alle discoteche per evitare che la notte di festa finisca nei funerali. Ebbene, mentre l'Italia inseguiva il pallone, la pubblicità dribblava il buon senso come lo dribbla ogni sera alla fine del quiz prima del telegiornale ammiraglio, ore otto. Cognac che balla il tango, gli amari scappano in aeroplano, gli aperitivi rosso sangue sciolgono le timidezze che rimandano l'amore. Fra cinque settimane è Natale: sta partendo la campagna dell'ubriacarsi per vivere senza pensieri dedicata al popolo giovane della notte. Ragazzi tutti lì, davanti alla partita. Non c'è occasione migliore per un'educazione di massa. Felicità vuol dire aprire bottiglie: birra, vino, grappe. Natale sinonimo di spumante. Chi scrive certi spot dovrebbe essere controllato dal test dell'etilometro. Mentre scrivo i morti della notte di festa sono < solo tredici >, purtroppo la domenica è lunga, chissà cosa succederà stasera. L'informazione può raccontare le vite spezzate in tanti modi. Una per una, rimpicciolite nella curiosità delle province di appartenenza, oppure l'annuncio dei numeri catastrofici sommati nell'indignazione che spaventa le famiglie. Minimizzare è quasi un reato. Nessuna squadra giocherà col bracciale nero nel ricordo dei ragazzi che stamattina non sono tornati a casa; nessuno filmerà i funerali come è successo per il laziale fulminato sull'autostrada. Si dirà: è lo stato che ha sparato e il pentimento deve essere ufficiale e nazionale. Ma sabato sera la Tv dei cognac che ballano o degli apertivi che invitano alla seduzione era la Tv di stato, non gli specchi del Cavaliere il quale fa come vuole, tanto è roba sua. La Rai raccoglie la morale di tutti i cittadini che pagano l'abbonamento, impegno sociale non paragonabile alla disinvoltura degli imprenditori responsabili delle morti bianche. Il mercato è importante, ma invitare a fregarsene delle regole resta un delitto non diverso dal poliziotto che sbaglia mira. Gli schermi privati sono quello che sono. La cattura dei giovani si affida a sottigliezze tutt'altro che subliminali. Tra una dirapata e l'altra di Valentino Rossi ad ogni curva è in agguato lo spot-finestra del bar. Bevi e corri. A differenza degli elettrodomestici cavallereschi innamorati delle sbronza, la Rai non si era mai lasciata andare. Non sappiamo cosa sia successo: adesso beve e nessun poliziotto può ritirare la patente. Per fortuna gli scozzesi sorpresi dalla tenerezza del nostro lutto al braccio non hanno visto la telecronaca
italiana. Ne sarebbero scandalizzati. In ogni angolo d'Inghilterra è proibito invitare ad alzare il gomito. Proibito in Spagna, Germania per non parlare dei paesi del nord. Perfino la Francia champagne-cognac nasconde gli annunci nelle ore della notte quando i ragazzi dormono o son fuori a ballare. In Italia siamo più democratici: tutti devono sapere tutto per dare una mano ai consumi interni. E a fine settimana si tirano le somme: morti nelle strade, morti sul lavoro. Sopravvive il tabù del fumo che fa male, ma l'alcol invita all'allegria. Non esageriamo col portare il lutto per loro. Lo hanno confermato gerarchie che mettono ordine nei valori sociali ed anche il lutto delle autorità e dei media è un valore sociale. Solo il pallone ne ha diritto.(Arcoiris)
La cortesia dell'Unità