Santo subito?!

di Michele Trapanaro

Lettera

Santo subito?!

Non sarebbe affatto esagerato se si pensasse che, in seguito alle considerazioni entusiastiche o spropositate sulla vita di Enzo Biagi, non sussistano le condizioni per una vera e propria santificazione… Naturalmente, il senso della mia sottolineatura va inteso con l'ironia dovuta davanti allo spirito ipocrita e strumentale del quale la scomparsa di Enzo Biagi è stato sormontato e idealizzato, ancora una volta come nel passato su altri personaggi, per essersi trattato di una personalità pubblica che, al contrario di quanto si va dicendo oggi, ha servito senza alcuna esitazione il potere, perfino quello più discreditato e antidemocratico che l'Italia postfascista abbia conosciuto come i cinquant'anni del regime democristiano.
Difatti, Enzo Biagi non ha l'onore di essere ricordato ai posteri come una personaggio che ha servito consapevolmente il capitalismo più avanzato e le sue sovrastrutture di complemento, ma, invece, come un giornalista e un mediocre autore di libri che ha riflesso il conservatorismo e la tradizione della provincia italiana, costellata, come risaputo, di oratori e crocifissi rupestri. È stato, diversamente da Montanelli, un vero e proprio rappresentante della cultura o civiltà contadina di cui ha sempre cercato di sottolineare fino al parossismo le virtù pacifiche e romanticiste eseguite dai servi della gleba, di origine feudale, fino a pochi decenni orsono. Per tale ragione, come tutti i credenti cattolici, non ha mai avuto profonda fiducia nel progresso, poiché lo considerava come un prodotto di una applicazione dissennata della scienza sull'economia e di una visione in antitesi ai valori religiosi di cui era permeato il popolo italiano e nel quale aveva riposto profonda fiducia perché sarebbe stato sempre all'altezza di eseguire l'ordine supremo della fede e consistente nell'essere devoti al disegno salvifico dell'uomo.
Se gli insegnamenti della filosofia hanno fatto sì che si esplicassero come metodo interpretativo della realtà e mai, al contrario, come visione eterogenea o poliedrica di principi esistenziali o, addirittua, politico-ideologici, quello vagamente lasciato in ereditá al popolo italiano, avvitato su se stesso e poco incline alla curiositá della ricerca e delle forme sperimentali o avanzate del postmoderno, Enzo Biagi lo ha lasciato intendere come prosecuzione di un visione del mondo da cui non ci si può affatto distaccare, finendo col decretare la filosofia stessa come una opportuna sovrastruttura per preservare lo stato presente di cose: un autentico conservatore.
Per tale ragione, quello che si va dicendo col senno del poi sulla vita di Enzo Biagi, è una mera chimera intellettuale degna solo di un paese anomalo come l'Italia. Un paese siffatto dove persino un “editto” di espulsione dalla Rai, dovuto alle stesse ragioni culturali predicate seppure con toni meno brutali da Biagi, viene paradossalmente deplorato, come se esistesse quand'anche vagamente, un principio di democrazia da applicare anche nell'economia sociale di mercato. Ma, come sappiamo, è solo la decantazione di una realtá difficilmente perseguibile: è illusione. È il recital di un copione da cattivi servitori del capitalismo postmoderno.

Monaco di Baviera

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