Enzo Biagi (1920-2007) il giornalista e l’uomo

di Renzo Balmelli

Ai suoi lettori, che sono tantissimi, Enzo Biagi, scomparso ieri a 87 anni, lascia la testimonianza di un arte dello scrivere sobria, rigorosa, ma capace di andare al cuore della gente. Oltre a questo, c’è pure la sua indistruttibile coerenza etica e morale a rendere significativa l'eredità di questo figlio della dotta e vivace terra emiliana. Su quest’altro versante, quello dell’impegno civile, in coloro che come lui hanno cari i principi di giustizia e libertà egli resterà nella memoria per l’incrollabile fedeltà ai valori della Resistenza, prima come partigiano, poi come autore serio, onesto e nemico dei compromessi.
In quest’ordine di idee, l’ultima dimostrazione la diede pochi mesi fa con la trasmissione che segnava il suo ritorno in RAI. “Scusate se sono un po' commosso e, magari, si vede. C'è stato qualche inconveniente tecnico e l'intervallo è durato cinque anni”. L’inconveniente cui alludeva questo anticonvenzionale interprete delle italiche vicende era quello poi passato alla storia come il famigerato “editto bulgaro” (vai su Wikipedia alla voce correlata). Un diktat in piena regola col quale il “napoleoncino” di Arcore , in visita a Bucarest, nel 2002 pretese la testa dei redattori sgraditi. Già allora il buon Silvio, come al solito a corto di argomenti, aveva il vizietto delle spallate. Enzo Biagi, con Luttazzi e Santoro,venne accusato dal Cavaliere di “uso criminoso” della tv.

A scatenare le ire di Berlusconi fu la puntata della rubrica “Il Fatto” in cui Biagi intervistava Roberto Benigni e il comico non risparmiava battute al leader di Forza Italia. “Il contratto di Berlusconi con gli italiani? Ormai è un cult. Quella cassetta lì l'ho registrata. L'ho messa tra Totò e Peppino, e Walter Chiari e Sarchiapone”. Dopo di allora, Enzo Biagi del suo esilio dalla tv di stato, ente cui aveva dato lustro e credibilità, parlava con signorile distacco, senza rancore, ma neppure senza mascherare il dolore per quella ferita profonda. Era stato calunniato e offeso nel suo lavoro e il conto era arrivato tutto d’un colpo nella sua esistenza, provata dalla malattia e dai lutti familiari.
L’editto fu un colpo basso al diritto di informazione e di cronaca che lascio' sconcertati gli osservatori. “Non si puo’ – notava Biagi – costruire un’inchiesta senza avere un punto di vista”. L'impressione per il tentativo di intimidazione andato a segno fu molto forte anche all'estero, dove circolo’ l’espressione “prove di regime” per stigmatizzare il grave atto di censura che calpestava la lezione illuminista di Voltaire: “Io non condivido una sola parola di quanto dici, ma sono pronto a combattere e se necessario a morire affinché tu possa continuare a dirlo”.
Quel vulnus che incideva nella carne viva della democrazia, non si è mai completamente rimarginato. In privato, riandando al triste episodio, in Biagi dominava ancora lo sdegno, l'arrabbiatura forte. E anche il senso che era venuta meno una delle libertà fondamentali del paese. Ancora oggi, d’altronde, la palese irritazione di Forza Italia nel sentire rievocare il fattaccio svela il disagio di chi ce l’ha sulla coscienza. E certo non potrà lavare l’onta con un colpo di spugna.

Roberto Benigni con Enzo Biagi ai tempi dell'Editto bulgaro
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Quanto all’imbarazzo del servizio pubblico e di talune testate nel ricostruire la lacerazione dell’editto bulgaro, esso evidenzia quanto costi l’indipendenza e l’autonomia di giudizio su una delle pagine piu’ brutte e vergognose mai scritte dal Polo. L'arroganza estrema del gesto non si affievolisce col passare del tempo. Anzi!
E’ risaputo che il capo dell’opposizione è abile nel volgere a suo favore le faccende che lo riguardano da vicino. E c’è pure qualche credulone che ancora ci casca. Ma a volte anche al peggio c’è un limite. Mentre si rende onore alla memoria di un giornalista libero e coraggioso come Biagi, si puo' stare sicuri che in questo frangente nessuna spallata, fosse anche di un gigante del ring, riuscirà mai a cancellare l’affronto che la destra filoberlusconiana ha fatto a un uomo e al suo Paese.

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