di Maurizio Chierici
Buenos Aires- Cristina Fernandez, moglie del presidente Kirchner, è diventata presidente dell’Argentina con 20 punti di vantaggio su Elisa Carriò, portabandiera dei socialcristianoradicali. Il trionfo l’ha intenerita. Dopo il discorso ha guardato l’orologio: < Cari elettori , si è fatto tardi andiamo a riposare. Buona notte Argentina >. Evita Peron non avrebbe detto cose diverse. Sparsi in plotoncini esangui arrancano i manipoli della frammentazione peronista. La mattina del 10 dicembre andrà in scena una cerimonia mai vista in Argentina e in nessun altra democrazia del mondo: Nestor Kirchner passerà alla moglie la fascia del potere come prevede la costituzione. Rito in famiglia che tanti trovano normale perché < molto peronista…>. Cristina è stata eletta e regnerà da sola mentre l’avvocato Kirchner scivolerà nel passato prossimo della storia anche se tutti sanno che non è vero. Impossibile immaginarlo in vestaglia e ciabatte a sfogliare i giornali mentre la moglie lavora alla Casa Rosada. Kirchner annuncia la lontananza volontaria da quel potere che ha disegnato con pazienza negli ultimi quattro anni. Vuole riorganizzare < democraticamente > il partito giustizialista ( peronista ) la cui divisioni ricordano la vecchia Dc italiana: piccoli leader in concorrenza, deboli comprimari nel grande gioco. < Mancano 1057 giorni al ritorno di Nestor alla Casa Rosada >, annuncia con ironia l’opposizione rassegnata. Ma per tornare nel 2011, Kirchner marito ha bisogno di un movimento compatto alle spalle. Ci sta lavorando. Intanto Cristina continuerà la politica del capofamiglia confortata dalla democrazia ereditaria. E’ la differenza che distingue il governo rosa di Buenos Aires dal rosa cileno di Michelle Bachelet diventata signora della Moneda misurandosi nelle primarie con la cattolica Soledad Alvear in una scalata decisa dalle scelte della gente. Invece Cristina é stata scelta dal marito. Una sera o un mattino: chissà come se lo sono detti. L’ ha accompagnata da un comizio all’altro abbracciandola con parole che hanno sciolto la tenerezza di tutte le donne, campagna elettorale dove non si è detto niente. Copia ideale in politica e nella vita, perché non votarli ? Lo scrittore Mempo Giardinelli scuote la testa: < elezioni che hanno abbassato qualità e contenuti della democrazia argentina >. Con una variante rispetto al Cile: per fortuna a Buenos Aire i militari ormai non contano mentre le alte uniformi di Santiago riescono ancora a salvare la faccia della famiglia Pinochet. Per non confondere i voti ricevuti in eredità, la signora non si è sbilanciata nei programmi: solidarietà, meno povertà, sviluppo tecnologico e l’impegno a ridare all’Argentina < il posto che merita >. Belle parole, nessuna concretezza. Adesso deve spiegare come affronterà i problemi rimasti a mezzaria per non disturbare lo scontro elettorale. Subito, a novembre, rinnovo di una fila di contratti, stipendi, orari, mobilità, posti di lavoro che non ci sono: tutto il mondo è paese. Ma questo è un paese dalle risorse immense con paghe da fame e un’insicurezza sociale che allarma milioni di persone: 39, 2 per cento di poveri, 10,1 gli indigenti, inflazione fuori controllo e il fantasma della crisi energetica frena gli investimenti stranieri La scommessa strutturale è perfino più impegnativa. Il Kirchner che nel 2003 ha affrontato l’economia allo sbando, è stato costretto a riattivare freneticamente l’ esportazione delle ricchezze contadine: grano, cereali, carne. Vendere tanto per fare cassa subito. E subito allearsi politicamente a Chavez re del petrolio in modo da fargli comprare i bonus del debito argentino svuotando i diktat soffocanti di Banca Mondiale e Fondo Monetario. Senza rate in scadenza e riserve ripristinate ( 42 miliardi e 800 milioni di dollari ) la macroeconomia respira in un certo modo, proprio come respirava cento anni fa. L’ Argentina torna ad essere una gigantesca dispensa alimentare, esportazioni che volano. Ma troppi piatti restano vuoti. Non solo prezzi alle stelle; dal mercato spariscono grano e bistecche nascoste nei frigoriferi e destinate ad economie lontane. Scuole e ospedali pubblici fanno impressione. E la febbre della soia crea un benessere dalle gambe ancora fragili anche se Pechino ambisce a diventare cliente privilegiato dell’energia rinnovabile. Divide Chavez da Lula, il Venezuela non la vuole, il Brasile si: Cristina chi sceglierà ? Le esportazioni di soia incassano 250 milioni di dollari al mese. Nei quattro anni della gestione Kirchner, 3 milioni di ettari sono stati destinati alla soia e le coltivazioni si allargano. Ma attorno ai latifondi di Pergamena ( 200 chilometri dalla capitale ) i latifondisti del tesoro verde sono sul piede di guerra: mancano infrastrutture, strade come carraie, trasporti che devono arrangiarsi. La gente vive col ritmo di mezzo secolo fa. Il World Economic Forum ha mandato a Cristina una brutta notizia: l’Argentina è stata retrocessa dal posto 54 al posto 67 nella classifica che analizza la dinamicità delle economie mondiali. Esportazioni < primitive >, tecnologie in ritardo. Cinquant’anni fa Ernesto Guevara montava sul treno per La Paz, Bolivia, ed impiegava 31 ore ad arrivare alla frontiera attorno a Tucuman. Oggi ne servono 53. Chi ha votato Cristina spera nella fine di questo periodo speciale e nel ritorno alla normalità con esportazioni organizzate come si deve, e consumi interni non sacrificati alla globalizzazione selvaggia. Il peso delle privatizzazioni imposte dal liberismo di Menem ancora frena strategicamente l’economia. Gas e petrolio in mani straniere. Giacimenti di rame pronti a far concorrenza alle miniere cilene, e poi uranio e poi oro, sigillati da chi ne ha disponibilità ma non intende inflazionare i mercati nell’attesa che le altre riserve si esauriscano. L’Argentina della famiglia Kirchner è coinvolta negli stessi problemi che avevano reso fragile l’Argentina di Peron. Il confronto con gli gnomi dell’economia del nord, ne richiama i dubbi. Può il nazionalismo alzare le frontiere per difendere le convenienze argentine o deve arrendersi alle strategie estranee alla gente che sceglie i presidenti ? Con Lula e Chavez, Brasile e Venezuela, è vero che adesso il gioco sembra cambiato. C’ é il gas di Evo Morales. Si associa l’Ecuador di Correa. Poi Mercosur ( nel quale il Venezuela sta per essere ammesso ), e Banca del Sud capitalizzata da Chavez a Caracas per offrire liquidità ( 170 miliardi di dollari ) allo sviluppo autonomo dell’altra America. Insomma, realtà che sembrano a portata di mano, ma infastidiscono le solite mani: il percorso non si annuncia facile. Mentre Cristina conta i voti, una delegazione parte da Washington per < una serie di colloqui > e il Fondo Monetario ammorbidisce l’intransigenza seppellendo in cantina i neocon della Casa Bianca. Dominique Strass Kahn, francese moderatamente progressista, ne è il nuovo direttore generale. Ha già annunciato il viaggio argentino. Problemi e soluzioni si aggrovigliano in uno scenario ancora indefinito: Lula fra tre anni se ne va; Chavez è il demonio da sbalestrare. Ogni giorno e ogni propaganda ci prova e non è complicato lasciandolo diluviare. Morales, spalle fragili; Correa, promessa ancora in erba. Ma l’attrattiva deve essere seducente se il liberista Uribe, presidente della Colombia, vuol diventare a tutti i costi socio della Banca del Sud disinteressandosi degli anatemi del Bush al quale è aggrappato. Ecco lo scenario che il presidente Cristina deve affrontare, dimenticando per sempre le interviste Novella 2000 concesse a giornalisti in ginocchio poche ore prima del voto: mai fumato marijuana, mai dal chirurgo a rifarmi qualcosa, di politica discuteremo dopo, eccetera, eccetera. Adesso vengono i pensieri. Urgenze interne; urgenze internazionali. Con la gente inquieta: se qualcosa non cambia ( e subito ) nella vita di ogni giorno, l’incantevole signora della Casa Rosada perderà rapidamente l’incanto. Kirchner marito si è forse nascosto con questo sospetto, pronto a rientrare nel caso la moglie abilissima nella schermaglia politica si impantani nella realtà. Per il momento godono la festa. Circondati dall’orgoglio peronista: politici, scrittori – da Miguel Bonasso che è anche deputato ad Horacio Verbitsky -, campioni di tennis, i Puma del rugby, battaglioni di giornalisti e l’immancabile Maradona traslocato da Menem a Castro e adesso alla corte di Cristina. Anche Estella Carlotto, simbolo delle madri di piazza di Maggio, appoggia la signora: deve al governo Kirchner la fine dell’immunità per i colpevoli dei massacri militari senza contare i sentimenti giustizialisti ai quali è rimasta fedele. Peronismo di sinistra, non peronismo di destra, ma sempre peronismo. Kirchner sta entrando nella galleria del pas-president. Gli amici già lo confrontano a Peron ma con una differenza: Peron inventava le cose senza calcolarne il costo, delegando i cortigiani a realizzarle per evitare di perdere tempo nei controlli mentre si avventurava in nuovi progetti. Con la pignoleria dell’ avvocato di provincia, Kirchner prima fa i conti e poi mette in fila i programmi non delegando nessuno. Accentratore esasperante, amministratore accorto. Ecco perché impossibile credere si sia arreso alla moglie tanto per farle un regalo. Deve essere la mossa che prepara lo scacco matto, chissà con quali precauzioni e quanti retropensieri.
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