Legge elettorale: istruzioni per l’uso

Parleremo tedesco, francese o spagnolo? Buona parte del dibattito politico di questi giorni è incentrato sull’ipotesi di un intervento legislativo che muti l’attuale sistema elettorale. Ma c’è anche chi preferirebbe andare al referendum Guzzetta o tenere il “porcellum”, almeno per il momento.

Ci permettiamo di ricapitolare brevemente. L’attuale legge elettorale, votata nel 2005, soprannominata “porcellum” dal suo inventore Roberto Calderoli, è un proporzionale con soglie di sbarramento e con premio di maggioranza per “liste o coalizioni di liste”. Ancora prima di questa riforma, avevamo il “mattarellum” (75% di maggioritario e 25% di proporzionale con sbarramento al 4%), ideato da Sergio Mattarella, approvato nel 1993. Le turbolenze che decisero la fine della Prima Repubblica portarono all’abolizione del voto di preferenza prima (con un referendum), e poi all’introduzione del maggioritario (anch’esso dopo un referendum che sceglieva il voto maggioritario per il Senato). Questo diede vita a dodici anni del cosiddetto “bipolarismo imperfetto”: nelle intenzioni dei sostenitori del mattarellum c’era principalmente la volontà di ridurre il numero dei partiti, favorire le grandi aggregazioni e l’alternanza fra due poli di destra e sinistra. Si cercava un sistema per sfuggire quello vecchio, quello nella prima repubblica, dove le coalizioni erano a “geometria variabile”. Il proporzionale quasi puro che ha accompagnato tutta la storia italiana dal dopoguerra al 1991 era caratterizzato dai “pentapartiti”, dalla Dc che per governare, non avendo una sua maggioranza, sceglieva dopo le elezioni con chi accompagnarsi. Anche De Gasperi cercò una soluzione a questo meccanismo: era la cosiddetta “legge truffa” del 1953, una modifica in senso proporzionale che però fu duramente criticata e abrogata poco dopo.

Il “mattarellum”, sistema un po’ ibrido, ha comunque il merito di aver fatto nascere le due coalizioni di centrodestra e sinistra, e di aver assicurato un certa stabilità dell’esecutivo, anche se, per la quota di proporzionale, non ha cancellato al proliferazione dei piccoli partiti, e, soprattutto, la loro capacità di ricatto all’interno della coalizione che vince le elezioni. Il “porcellum” ha aggravato questa circostanza: il ritorno al proporzionale “quasi puro” si distingue da quello della Prima Repubblica per le preferenze bloccate e l’obbligo, per le coalizioni, di depositare un programma unico e indicare il loro leader prima delle elezioni, evitando le “maggioranze variabili” di vecchia memoria. Ma resta l’imbarazzo di coalizione eterogenee, come quella di Prodi, cordate per Palazzo Chigi che poi di fatto scoppiano una volta al Governo.
Il “porcellum” è stato definito “una porcata” dal suo stesso inventore. Un fronte composito, da Segni a Parisi a Fini, ha indetto un referendum già pochi mesi dopo le elezioni. I referendari chiedono, in pratica, che il premio di maggioranza sia applicato non a “una coalizione” di liste, ma alla lista che prende più voti. Insomma, un calcio alle coalizioni eterogenee. Un secondo quesito è relativo al divieto di candidature plurime in più di una circoscrizione. Fra i motivi che ispirano la proposta refererendaria, l’unità degli schieramenti e una prospettiva tendenzialmente bipartitica.
Ma ecco il punto: non a tutti sta bene. Non sta bene ai piccoli partiti, che infatti la avversano alacremente.

Se il Parlamento provvedesse a scrivere e votare una legge elettorale, il referendum sarebbe scongiurato. Ma questo è, dicono, una di quelle che riforme che bisogna fare insieme, maggioranza e opposizione. Quindi, problemi. Ma problemi ce ne sono anche dentro la sola maggioranza. Per quasi un anno, dall’ottobre scorso, si è parlato di una “Bozza Chiti”, di cui qualcuno mette in dubbio anche la reale esistenza. Poi il dibattito, in sede Commissione Affari Costituzionali al Senato, presieduta da Enzo Bianco, ha dato quest’estate la notizia che un accordo sul sistema tedesco era molto vicino. Oggi, per il tedesco, si schierano Rutelli, Bertinotti, Marini, Sd, Udeur, ma anche Fassino e D’Alema. Sono per il no Pdci, Verdi, Di Pietro, mentre i “prodiani” , come Parisi, Bindi, Santagata, accusano il sistema tedesco “di farci tornare indietro di dieci anni”.
Nell’opposizione è d’accordo solo l’Udc, mentre respingono la proposta FI e An.

Ma cos’è il sistema tedesco? Un proporzionale “corretto”, con sbarramento, e due voti a disposizione del cittadino, uno proporzionale e uno maggioritario, ma con una significativa differenza con il sistema attuale: manca, infatti, il vincolo di coalizione. I critici hanno puntato il dito su due aspetti: il sistema proporzionale, anche se con sbarramento, non potrebbe evitare che in Parlamento ci siano almeno sei raggruppamenti: Pd, An, FI, Lega, Udc, Prc o cosa rossa. Nessuno avrebbe la maggioranza, e quindi, per governare, si farebbe come succedeva una volta, cioè con un centro che calamita i partner di maggioranza a destra o a sinistra, senza farlo decidere ai cittadini, visto che l’obbligo di coalizione è saltato. Il bipolarismo tedesco, ha scritto Giovanni Guzzetta, è frutto di una serie di elementi non riproducibili, che prescindono dalla legge elettorale, non idoneo a essere esportato nel nostro Paese. Angelo Panebianco, in un editoriale su Il Corriere della Sera, ha ipotizzato che Walter Veltroni e Gianfranco Fini potrebbe essere d’accordo nel rifiutare tale sistema, in quanto non favorisce le grande aggregazioni, e frusterebbe, ad esempio, la legittima aspirazione del Pd di correre da solo in un prossimo suffragio. Un’aspirazione che potrebbe invece trovare forma perfetta nel sistema spagnolo, sempre un proporzionale, ma con circoscrizioni di piccole dimensioni che premierebbero da una parte i partiti molto legati al territorio, o le grandi aggregazioni dall’altra. In ogni caso, si moltiplicano gli appelli di chi vorrebbe che prima di nuove elezioni, con questo Governo o magari con uno “istituzionale” – ipotesi fatta ventilare da Bertinotti – o “tecnico”, si riesca ad approvare la riforma elettorale. Dal presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo, al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Non è d’accordo, invece, il leader di FI Silvio Berlusconi, che invece non apre e vuole elezioni subito. In caso di dimissioni esecutivo, però, l’ultima parola spetterebbe proprio a Napolitano.

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