Elogio del Partito Democratico

di ANDREA ROMANO (La Stampa.it)

In queste settimane ne abbiamo tutti detto peste e corna, in una gara a chi coglieva l’aspetto più bizzarro e discutibile della lunga vigilia del Pd. I piccoli e grandi giochi di potere dietro la gara dei candidati alla leadership, la logica spartitoria che ha governato le liste, i rituali con cui si è andata organizzando quella sorta di oligarchia multietnica destinata a presidiare i resti dell’Ulivo. Tutto vero. Eppure domenica, finalmente, la politica italiana varcherà una soglia che attendeva da tempo di essere superata. E con la formazione del Pd sarà compiuto un passo importante nella direzione giusta, quella di una democrazia bipolare ordinata intorno a famiglie politiche omogenee non per storia pregressa ma per visione del Paese. Per questa ragione, a due giorni dal voto di domenica, vale la pena fare un passo indietro. Mettendo qualche distanza tra le scene non sempre edificanti che hanno segnato queste settimane e il senso più vero di quanto sta avvenendo. Perché quel senso è largamente migliore di quanto non potrebbe apparire se ci fermassimo ai maneggi e ai retroscena, peraltro inevitabili in un passaggio che ridistribuisce potere e visibilità.

La politica italiana non ne uscirà certo miracolata, come suggerisce l’abbondante retorica ufficiale, ma molti sono i benefici che potranno derivarne fuori e dentro i confini del centrosinistra. A destra, il fisiologico declino della leadership berlusconiana potrà essere l’occasione per un analogo processo di aggregazione tra forze che da tempo condividono nei fatti un’idea dell’Italia, pur venendo da storie lontanissime. Dall’estrema sinistra, se il disordinato cantiere della Cosa rossa riuscirà a condividere un metodo e un traguardo, potrà venire un contenitore capace di dare confini finalmente precisi alle spinte identitarie di varia affiliazione. Ma soprattutto nel cuore del centrosinistra, dopo quindici anni di confusa transizione, il riformismo maggioritario e di governo potrebbe finalmente trovare la propria definitiva dimora. D’altra parte i benefici possibili vanno ben al di là delle architetture politologiche, con la nascita di un soggetto che da domani potrebbe impegnarsi concretamente ad assorbire e contenere la deriva antipolitica dell’elettorato con una strategia dei fatti e dell’innovazione assai più che con gli appelli ai buoni comportamenti civili.

Sono risultati da non sottovalutare, alla vigilia di elezioni primarie che d’ora in avanti rappresenteranno un precedente del quale nessun partito potrà sbrigativamente fare a meno per la scelta del leader. Risultati a cui il centrosinistra arriva in ritardo, sotto la pressione di una crisi politica ormai conclamata, ma che consegnano alla politica italiana una risorsa preziosa e destinata a sopravvivere ai destini personali dei suoi stessi promotori. Perché uno dei tratti del Pd è nel suo appartenere al Paese assai più che ai suoi fondatori. O almeno, è in questa luce che dovrebbe essere visto per coglierne tutte le implicazioni positive. Perché se è vero che i figli conservano i lineamenti dei genitori, i padri del Pd mostrano tutti i segni delle sconfitte individuali e di gruppo da cui sono stati spinti a questo passo. Se ci fermassimo alle tare ereditarie, non resterebbe che guardare con rassegnazione all’ennesimo tentativo di sopravvivenza messo in atto da una generazione politica ormai debole e logorata. Eppure quel loro figlio è qualcosa di più della sommatoria dei difetti dei padri. E la sua capacità di funzionare da reale strumento di rinnovamento del Paese, di cui sembra possedere i presupposti, dipenderà ora da quanto i genitori saranno capaci di lasciarlo finalmente andare per la propria strada.

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