Mi capita spesso di discutere di cose italiane con un amico greco, un amico interessato, facendo egli parte del governo Karamanlis. A volte, queste discussioni mi mettono in imbarazzo, ad esempio quando devo produrmi in lunghi prolegomeni per introdurre la spiegazione di un fatto politico o sociale. Ad esempio, mi sono prodotto in un bizantinismo, di cui non sono andato fiero, per spiegare il fenomeno Grillo. Non ricordo più esattamente quale è stata la mia spiegazione. Comunque, non credo che l’amico abbia capito, anche se mi ha rassicurato sulla bontà delle mie argomentazioni. Lo stupiva il fatto che un comico scendesse in piazza per criticare la classe politica. Non ne sono andato fiero perché ho cercato di usare termini e concetti a lui familiari, avendo egli studiato economia politica e diplomazia in Inghilterra, ma che non corrispondevano in toto a quanto sta realmente succedendo in Italia.
A volte mi chiedo come spiegare con concetti semplici una situazione così complessa come quella di casa nostra (vostra?). Ad esempio, il governo di coalizione tra più partiti. Impensabile da concepire per il mio amico, un esecutivo appoggiato da più partiti. Non fa parte della loro tradizione politica. Anzi anche loro sono passati per il proporzionale (comunque sempre con un premio di maggioranza) ma i risultati sono stati disastrosi. Ad esempio come spiegare in termini politici l’anti-politica italiana? Come spiegare che al governo ci sono ministri di lungo corso che hanno attraversato tutto lo schieramento democratico. Come spiegare il trasformismo o il distinguo (ad esempio, faccio parte dell’Ulivo, ma non entro nel PD). Per lui i fatti sono semplici: sei stato votato perché appartieni ad un partito e al questo partito resti fedele – è un dovere democratico, mi precisa.
L’altra sera si discuteva del voto gli italiani all’estero. Qui in Grecia esiste un equivalente del CGIE (si chiama SAE) ed ha più o meno le stesse funzione del nostro organismo, e qui si sta discutendo, ma con poca convinzione, se fare votare i greci che vivono all’estero. Le discussioni vertono sulle esperienze dei paesi che hanno applicato questo diritto. È stata discussa anche la nostra legge, ed è stata subito scartata perché, mi ha spiegato, la circoscrizione estera non ha ragione politica, quanto soltanto demagogica. E a proposito, continua a meravigliarsi del fatto che il governo Prodi si regga sul sostegno dei senatori eletti all’estero. Una “anomalia” (nel senso che la lingua greca dà a questa parola), mi precisa, perché «i miei connazionali che vivono all’estero hanno il diritto di partecipare alla vita politica della madre patria, ma non possono certamente determinare le scelte che si prendono per la società che vive nella madre patria».