Onorevole Fedi, anche lei aderirà al Partito Democratico. Si sentiva davvero la necessità di una ennesima forza politica nello scenario italiano?
Decisamente sì. In primo luogo, il Partito che nasce può allargare gli orizzonti, rapportandosi meglio a tante realtà politiche di altri Paesi a livello internazionale: dagli Stati Uniti dove c’è una formazione politica omonima, all’Australia dove il Partito Laburista ha all’interno sia le forze moderate che la sinistra. Ma soprattutto il Pd contribuisce al rinnovamento della politica italiana. Siamo consapevoli che non sarà la sua nascita a risolvere i problemi del sistema politico nazionale, ma certamente si va nella direzione di un rafforzamento dell’ipotesi bipolare che contribuisce alla semplificazione del quadro politico.
Quali sono i punti fondamentali del programma del Pd per gli italiani nel mondo?
Ancora è presto per parlare di un programma del Pd, e in ogni caso attualmente, nell’operato governativo e parlamentare, vale quello sottoscritto dalle forze dell’Unione. Certamente, però dovranno continuare a valere l’impegno per un piano di riforme e di investimenti dello Stato su scuola, lingua e cultura italiane, per la tutela sociale in particolare per i più disagiati tra i nostri connazionali all’estero, e per il rafforzamento dell’interscambio economico. Inoltre auspico che il Pd, anche grazie al contributo dei suoi sostenitori fuori dall’Italia, costruisca un rapporto più solido con le forze progressiste, di centro-sinistra e socialiste del mondo intero, sui grandi temi che ci riguardano tutti a livello globale: pace, sicurezza, diritti umani, lavoro. Questioni che toccano sì i governi nazionali, ma che nell’era della globalizzazione debbono essere sempre più gestite a livello sopranazionale.
Ma nel parlamento europeo esiste un gruppo del Partito Socialista cui la Margherita ha già detto di non voler aderire. Veltroni si sta spendendo per ora invano per fargli cambiare nome, con l’aggiunta dell’aggettivo “democratico”. Insomma, la collocazione del Pd è già difficile a livello europeo. O no?
Non è tanto importante la collocazione quanto la capacità di lavorare assieme sui contenuti. Non mi scandalizzerebbe se su molti punti programmatici concreti ci fosse un impegno congiunto tra le forze politiche socialiste e quelle moderate, in Europa e in generale a livello internazionale. È nel Dna del Pd avere dentro diverse correnti di pensiero. Certo, molte di queste posizioni apriranno un dibattito, ma credo che i partiti servano a questo: a trovare una sintesi.
Prendiamo la laicità. Come la mettiamo?
Come in Australia. Nel Partito Laburista ci sono posizioni che coprono un ampio spettro di vedute, come accade in Italia tra Ds e Margherita. Nonostante ciò si è trovata un’intesa comune. Cosa che dobbiamo fare anche da noi, per poi meglio dialogare con le nostre forze omologhe all’estero.
Veniamo alle primarie del 14 ottobre. Lei appoggia Veltroni. Perché?
Chiariamoci, tutte e sei le candidature alla segreteria nazionale sono valide. Il comitato che ho contribuito a mettere in piedi nella ripartizione Africa-Asia-Oceania-Antartide, scende in campo per Walter Veltroni perché a nostro modo di vedere l’attuale sindaco di Roma, con la sua capacità politica, può tenere insieme la varie anime del Partito Democratico, e mi riferisco non solo a quelle già esistenti, ma anche a delle nuove soggettività che riusciremo a portare dentro. C’è bisogno di una forte ventata di novità. Un contributo positivo può venire dalle donne. Ho subito ritenuto importante il fatto che il regolamento preveda che la metà dei candidati alla costituente siano donne. Mi auguro non sia percepito come un peso da nessuno.
Come si voterà all’estero?
Chiunque potrà votare a distanza via internet. Iscrivendosi prima del 14 ottobre, si riceverà una password tramite sms e quindi accedendo a un sito che a breve verrà segnalato si potrà esprimere la propria preferenza. L’iscrizione preventiva alle primarie, che non coincide con quella al partito, dovrebbe essere una garanzia di sicurezza. Ma voglio aggiungere qualcosa aldilà dei metodi di voto e delle candidature.
Aggiunga pure.
Io vorrei che in questo clima di antipolitica, il prossimo 14 ottobre sia una giornata in grado di riaffermare il valore della politica. Che la partecipazione democratica dei cittadini sia l’anticorpo all’antipolitica, nella quale spesso si insinuano anche i poteri forti.
E bastano le primarie?
No. Queste sono un momento essenziale di coinvolgimento reale dal basso. Ma non mi illudo. Credo che la priorità oggi siano le riforme. Parlo di quelle riforme che possono sbloccare lo stallo della politica italiana. È tutta qui, io credo, la ragione dell’antipolitica montante. Noi abbiamo una classe politica immobilizzata dalle eccessive litigiosità all’interno delle coalizioni e soprattutto dallo scontro tra maggioranza e opposizione. Questo continuo conflitto non aiuta a trovare un terreno sereno di confronto per cambiare in meglio il Paese.
Ma la cosiddetta antipolitica chiede altro. Che ne dice del V-Day di Beppe Grillo?
Mi chiedo che senso abbia promuovere un movimento segnato dal “vaffa”: la raccolta firme su proposte concrete mi pare ragionevole, al punto che io stesso avevo risposto alle tre domande rivolte da Grillo ai parlamentari. Tre sì con alcuni distinguo. Sì all'ineleggibilità per i condannati in via definitiva con interdizione dai pubblici uffici. Sì al limite di due mandati: 10 anni sono tanti in Parlamento, anche se su questo punto vale la pena discutere trovando altri modi, altre vie, alla necessità di sbloccare il sistema politico per quanto concerne il ricambio generazionale della classe dirigente di questo Paese. Sì alla preferenza per lasciare liberi i cittadini di scegliere. Il Parlamento deve saper ascoltare ma non può tirarsi indietro dal compito di guidare la politica e con i movimenti, tutti, andrebbe avviato un confronto aperto ma chiaro nei rapporti che non possono essere fuori dalle logiche della politica e del confronto. Non certo con il “vaffa”! Sono convinto che l'antipolitica non sia utile ai cambiamenti “veri”, una politica seria, che sia meno spettacolo e più fatti concreti, meno scontro e più confronto, meno ideologia e più riforme.
Però c’è grande disillusione sul ruolo dei partiti, che dovrebbero essere i soggetti in grado di raccogliere le spinte dal basso e tradurle in decisioni concrete.
È vero, i partiti hanno oggi un grande difetto: sono strutture pesanti che hanno organigrammi gerarchici e promuovono sostanzialmente se stessi. Invece dovrebbero promuovere le idee ed i valori di cui sono portatori ed essere più ricettivi nei confronti della società civile. È necessario che cambino in fretta, si alleggeriscano per stare al passo dei tempi di internet e della globalizzazione. Nonostante ciò, credo che non si possa invitare a distruggerli. È giusta l’autocritica ed è sacrosanta la spinta a cambiare i partiti, ma ricordiamoci sempre che essi sono lo strumento della politica democratica, alla quale non saprei proprio proporre alternative migliori.
Altro motivo di protesta dei cittadini sono i costi della politica.
D’accordo, il costo della nostra politica è troppo elevato. Ma se vogliamo tagliare questi eccessi e soprattutto rendere le istituzioni più efficienti e funzionali, l’unica soluzione sono le riforme, quelle costituzionali e quella elettorale, per fare le quali è necessario un atteggiamento più costruttivo da parte di tutte le forze politiche. C’è infatti una forte richiesta di funzionalità e semplificazione. L’opposto della situazione attuale nella quale i regolamenti pesanti di due Camere troppo identiche tra loro allungano i tempi di discussione e approvazione dei provvedimenti.
Queste sono riforme istituzionali. E quella elettorale?
In realtà l’urgenza di una nuova legge elettorale è dettata soprattutto dall’instabilità che quella attuale ha provocato, come si vede al Senato. Non ci si può permettere di ritornare alle urne con questo sistema.
Quindi vede elezioni a breve? O se le augura?
Tutt’altro. Io credo che il governo Prodi debba lavorare fino al termine della legislatura. E non solo perché nella mia ripartizione sono stato il candidato di tutta l’Unione. Ma perché credo che solo portando a termine la legislatura si possano varare le riforme di cui parlavo.
Non crede però che poi i temi che toccano la gente siano altri, come ad esempio l’occupazione o la quarta settimana del mese?
Non c’è dubbio che bisogna riportare la discussione politica sui temi che stanno a cuore ai cittadini. Ma anche qui il governo e la maggioranza si sono mossi. Faccio un esempio. L’intervento di aumento delle pensioni non raggiunge tutti coloro che vivono in condizioni di difficoltà economica in questo Paese. Si può quindi fare di più, ma va riconosciuto che è un primo passo importante.
Gli aumenti pensionistici non sono un po’ poco?
Mi limiterò a ricordare alcune questioni che concernono gli italiani all'estero:, le detrazioni per carichi di famiglia, la riforma della cittadinanza (calendarizzata per il 28 settembre con la riapertura dei termini per il riacquisto della cittadinanza italiana), la conferma degli impegni di spesa nel 2007 ed ora il progetto di finanziaria 2008 con la maggiore attenzione alla rete consolare. Insomma, non è possibile dire che non si è fatto niente.
La Finanziaria è in arrivo. Cosa bolle in pentola sul fronte degli italiani all’estero?
La Finanziaria la predispone il governo, è bene ribadirlo. Le nostre richieste sono note: vanno dalla sanatoria sugli indebiti pensionistici Inps fino all’assegno di solidarietà, dalla maggiore dotazione delle rete consolare all’implemento delle risorse per la promozione e la diffusione di lingua e cultura italiane. Alla Camera valuteremo il percorso per raggiungere questi obbiettivi, coordinando la nostra iniziativa con gli eletti all’estero del Senato, dove quest’anno inizierà l’iter della Finanziaria.
Un’ultima domanda. Cosa risponde alle riflessioni di Silvana Mangione del CGIE sulla riforma del voto all’estero?
A Silvana dico che non dobbiamo temere una discussione sulla riforma delle legge 459 del 2001. Anche perché se non affrontiamo i nodi posti dalle legge in vigore c’è il rischio di ritrovarsi di fronte a una replica degli stessi problemi già emersi. Noi eletti all’estero da tempi non sospetti non siamo soddisfatti dalle soluzioni individuate dalla legge attuale. Lo abbiamo segnalato già all’indomani delle prime consultazioni elettorali, cioè dopo i referendum e l’elezione dei Comites. Conosciamo i problemi reali legati a queste modalità di voto: dall’anagrafe dei residenti italiani all’estero fino alla tempistica del voto, dal materiale elettorale fino alle modalità della sua espressione. Come risulta dagli atti delle audizioni presso la Commissione Affari Costituzionali del Senato della XIV legislatura, noi abbiamo subito proposto delle modifiche. All’amica Silvana Mangione dico inoltre che al mio appello estivo in tal senso ho ricevuto varie risposte, le quali entreranno a far parte di un ulteriore approfondimento tematico. Spero che insieme agli altri contributi che giungeranno, possano costituire una valida base di partenza per il lavoro di coordinamento sul tema che spetta ai due comitati per gli italiani all’estero di Camera e Senato.
On. Marco FEDI
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