Intervista all’on. Gino Bucchino

Gino Bucchino dal Canada alla Camera eletto all’estero nelle file dell’Unione: «La rete consolare. La rete consolare è alla frutta, anzi, si son mangiato anche quella. Non ci sono più soldi»

Lei è firmatario insieme a Bafile, Narducci, Franceschini, Sereni, Fedi, Farina, Lucà, Zanotti, Trupia, Astore, Burtone, Grassi e Sanna della proposta di legge per l’erogazione di un assegno di solidarietà ai cittadini anziani residenti all’estero. Mancano, però, alcune firme di alcuni deputati dell’Unione, per esempio, Cassola, Razzi, come mai?

Non per un motivo particolare se non quello, immagino, dell’urgenza per cui alcuni deputati non erano reperibili al momento della raccolta delle firme. Urgenza dovuta alla estrema premura dell’on. Bafile prima firmataria. Tutto qua.

L’iniziativa non si discute nel merito ma perché non è stata proposta anche alla sottoscrizione dei deputati di Forza Italia? In fondo, non si sarebbero rifiutati di firmare un tale provvedimento per non commettere un errore politico grave

Oso pensare che ci sia una convergenza anche da parte dei parlamentari di F.I. Diciamo che l’esperienza passata ci ha indotto a pensare che forse avremmo potuto trovare degli ostacoli. La storia di questo progetto di legge non è nuova, risale alla vecchia legislatura, possiamo dire che oggi è stato ripresentato nella sua interezza. Risale, dunque, alla iniziativa dell’on. Valerio Calzolaio dei DS ma non ebbe strada facile anzi fu bloccato e questo ci ha fatto pensare che, molto probabilmente, quella opposizione fatta dal passato governo, si sarebbe rinnovata. Perciò abbiamo ritenuto ripresentarla non necessariamente andando a raccogliere firme anche tra i deputati delle parte politica avversaria.

Si sarebbero trovati in fuori gioco se si fossero rifiutati di sottoscrivere un progetto come questo

Diciamo che la sua interpretazione politica regge, ha fondamento. Diciamo che non ci abbiamo pensato. Avremmo potuto sicuramente spiazzarli di fronte ad un atto di responsabilità. Ma le assicuro che non abbiamo fatto alcun calcolo di questo tipo. Ci siamo soffermati, ripeto, all’urgenza. Ci teniamo nel dare una attenzione particolare ai nostri connazionali all’estero che vivono in zone disagiate come il Sud America, l’Argentina, il Paraguay, l’Uruguay.

Si fa un gran parlare di CGIE e Comites, qui la questione sta diventando scottante. Qualcuno vuole abolire il CGIE, ora, secondo la sua esperienza di consigliere CGIE, è vero che abolire il CGIE significherebbe disfarsi di una struttura costosa e poco efficiente?

No, assolutamente no. Il CGIE, al contrario, deve essere rivitalizzato per ricevere maggiore dignità e maggiore attenzione soprattutto adesso. Il CGIE è uno dei tre livelli di rappresentanza degli italiani all’estero. Il primo è quello del Comites che agisce a livello prettamente locale. Questo è conoscitore dei problemi sul territorio, ed ha contatti con il Console. Il secondo è quello del CGIE, vale a dire un organismo che riporta a Roma le istanze locali e cerca di farle diventare mondiali col lavoro di amalgama e compatibilmente con le esigenze provenienti dalle altre arie continentali. Il terzo livello è quello dei parlamentari eletti all’estero anche se sono anni che ci impegniamo come comunità degli italiani all’estero. Terzo livello perché in questo momento abbiamo dei parlamentari all’estero che si possono fare promotori, in sede parlamentare, di tutte le esigenze che vengono sollevate dal CGIE per poi concretizzarle. Prima di ora, il terzo livello mancava. Adesso sono presenti parlamentari provenienti dall’estero la cui maggioranza di questi, proviene addirittura dalle file del CGIE. Ciò è un valore aggiunto perché essi conoscono bene la materia. Abolendo il CGIE verrebbe meno questo legame, la cinghia di trasmissione con i parlamentari eletti all’estero che portano in parlamento la sua voce. Posso dire che adesso il CGIE ha una funzione ancora più importante di quella che aveva in precedenza.

C’è incompatibilità tra le cariche di consigliere CGIE e quella di deputato?

Non c’è incompatibilità di legge. Non prevista non per una svista del legislatore. Basti pensare che l’on. Tremeglia, prima di essere ministro degli italiani nel mondo era consigliere del CGIE, faceva parte del Comitato di presidenza pur essendo un parlamentare. Già da allora non esisteva questa incompatibilità. Resta il fatto che esiste, a mio parere, una incompatibilità di fatto che è quella che, secondo me, non è giusto che i parlamentari eletti all’estero facciano parte anche del CGIE. E questo proprio per non confondere i due ruoli e per dare più dignità al CGIE stesso. D’altronde il CGIE farà sempre riferimento ai parlamentari eletti nelle circoscrizioni estere. Secondo me, è giusto che i membri eletti in parlamento si dimettano dal CGIE. Direi che questa è la tendenza generale non necessariamente ancora unanime ma questa è la strada che stiamo seguendo. Da parlamentari, la nostra presenza alle riunioni del Consiglio generale sarà sinonimo di impegno, rispetto e responsabilità.

Per lei la questione incompatibilità sarebbe puramente etica?

Esattamente e per dare maggiore dignità al CGIE, io mi dimetterò.

Ci dica i problemi degli italiani che lei rappresenta

I problemi sono di due ordini. Storici legati a quegli italiani all’estero ormai anziani che hanno a che fare con numerosi ed atavici problemi e quelli legati al nuovo corso a quelli cioè da cui dipende la stessa immagine degli italiani all’estero. I giovani che oggi vanno all’estero ci vanno con la loro professionalità e con il computer nella “valigia di cartone”. Oggi le cose sono cambiate, bisogna accettare, riconoscere questo nuovo ruolo, cercare di mettere i nostri giovani in condizione di farli funzionare. Riconoscere i valori degli italiani all’estero che lavorano nelle università, nelle camere di commercio, che vanno in giro per il mondo a creare, a concludere nuovi affari. Io direi che, se riusciamo a fare questo, a mettere in rete i nuovi italiani all’estero, avremo raggiunto un grande obiettivo. Senza dimenticarci dei vecchi problemi non ancora risolti legati alla vecchia emigrazione, vale a dire la pensione sociale. Riconoscere il diritto alla pensione quando questo esiste. Evitare quelle incredibili lungaggini che sono indecenti. Al contrario , quando un italiano all’estero ha diritto alla pensione, la prima risposta che riceve dall’Inps è no. Conseguentemente la strada dei ricorsi è l’unica da seguire. Si pensi che il 95% dei ricorsi viene accolto e, spesso, quando il soggetto non sia deceduto prima. Bisogna darsi una regolata, sempre sulla questione delle pensioni, su questa campagna Red che l’Inps ha messo in moto in tutto quanto il mondo, perché così come viene posta in essere in questo momento, crea delle situazioni diverse non omogenee. Si rischia di penalizzare gli onesti, quelli che dichiarano giustamente quello che percepiscono e, magari, non vengono penalizzati i furbetti che non dichiarano niente e non rispondono alle richieste dell’Inps. Poi c’è la questione degli indebiti la cui riscossione è stata delegata ai centri regionali. Alcune regioni hanno già cominciato a raccogliere gli indebiti,altre regioni ancora no. Ciò non è giusto, è quindi necessario che si faccia chiarezza in tutte queste cose. Senza parlare della questione informazione che, per usare una espressione forte, grida vendetta. Non si può continuare ad andare avanti in questo modo. Non si può continuare a pensare che gli italiani all’estero siano una massa di sperduti ai quali basta mandare un programmino di divertimento mal fatto e senza neanche rispetto per gli orari. E’ una indecenza. Il servizio attuale di Rai International è meglio non averlo. Sono fortunatissimi gli europei che non hanno da vedere questa Rai International, perché se la vedessero, si cadrebbe ancora più in basso.
Ancora, la questione della storia e della cultura. Una legge vecchissima ed obsoleta ancora in piede che ha lo scopo di insegnare solo un po’ di italiano ai giovani, va completamente rivista. Oggi la cultura, la lingua, va vista non più come la lingua parlata ma come lingua di conoscenza. C’è bisogno di grandi cambiamenti, più attenzione alla cultura che viene prodotta all’estero ed in questo il ruolo dei Comites, dei CGIE e dei parlamentari risulta fondamentale.

Se lei potesse, con uno schiocco delle dita risolvere una questione, quale sceglierebbe?

La rete consolare. La rete consolare è alla frutta, anzi, si son mangiato anche quella. Non ci sono più soldi

Le responsabilità di chi sono?

Dei governi indubbiamente. E’ il Governo di turno che non stanzia fondi adeguati per il mantenimento di una rete consolare decente al servizio dei cittadini italiani all’estero. Prendiamo ad esempio il Consolato di Toronto. Una circoscrizione enorme che abbraccia due fusi orari addirittura, un territorio 5 o 6 volte l’Italia, abbiamo un solo Consolato generale che dispone delle spese correnti, circa 100.000 dollari annui e con questi soldi, oggi ridotti del 50%, non si riesce neanche a pagare la bolletta elettrica e le utenze telefoniche. Non è possibile che un connazionale non possa rivolgersi al suo Consolato, che possa telefonare ed avere una risposta. Non è possibile che quando uno arriva al Consolato, non ci trovi il personale che, per quanto riguarda la mia esperienza personale, lavora bene ma è insufficiente. Se avessi la bacchetta magica sanerei immediatamente la rete consolare che poi in altri termini significa anche apertura di nuove sedi consolari onorarie. Ciò significherebbe incremento dei corrispondenti consolari, nuovi ed adeguati finanziamenti perché queste persone che fanno un lavoro veramente onorario possano essere in grado di farlo, almeno, avendo i fondi per pagare l’affitto e le spese di segreteria.

Ecco perché il vice ministro non ha disposto ispezioni…

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