Intervista all’on. Marco Fedi

Posso dire che abbiamo riscosso il massimo ascolto. L’Inps è uno degli istituti con il quale, storicamente, abbiamo lavorato meglio. Ci rendiamo conto dei passi avanti fatti negli anni anche se c’è molto lavoro ancora da fare.

Gli italiani all’estero aspettano la legge sulla cittadinanza.

La discussione si è bloccata in sede di Commissione affari costituzionali della Camera. L’iter è partito dalla Camera. C’è stato un disegno di legge del governo, poi un testo unificato del relatore Bressa che ha tenuto conto delle altre proposte di legge presentate alla Camera tra cui alcune di parlamentari eletti all’estero. Personalmente, ne avevo presentata una in particolare sul tema dell’acquisto della cittadinanza italiana. La discussione è stata intensa, diciamo, da febbraio a maggio e poi si è bloccata. Ora tocca al governo illustrare i costi legati a questa nuova normativa. Qui ho avuto modo, sia col sottosegretario competente Lucidi del Ministero dell’Interno e con il Viceministro Danieli, di dire che bisogna essere molto chiari. Ci sono dei costi che riguardano l’applicazione eventuale del testo unificato Bressa, del testo di cui stiamo parlando, e ci sono dei costi che invece possono essere connessi a questo testo ma che non sono parte integrante del procedimento che stiamo discutendo. Sono quelli relativi alla sanatoria delle 800.000 pratiche giacenti già nei Consolati dell’America latina. Cioè quelle situazioni create in base a leggi molto vecchie: quella del 1912 addirittura, la n. 555 che riconosce la possibilità, in base alla discendenza, di avere la cittadinanza italiana, e la legge n. 91 del 1992 che ha abrogato la legge del 1912 ma che non ha certo abrogato le conseguenze che abbiamo di fronte a noi. Ci sono domande di riconoscimento della cittadinanza italiana che, di fatto, bloccano l’attività dei Consolati su questa materia. Se noi vogliamo affrontare quel problema e risolverlo affinché ci sia più personale nei Consolati dobbiamo dirlo in maniera chiara. Questo non può gravare sul provvedimento che è attualmente in discussione perché il provvedimento che è attualmente in discussione, non ha nulla a che vedere con questa sanatoria. Dobbiamo essere, quanto meno, chiari. Le due questioni possono procedere insieme, anche in una ipotesi di cui si è parlato di limitare il riconoscimento delle cittadinanza a due generazioni e quindi fare salva la situazione già in corso. Se tutto questo vogliamo farlo entrare in questa discussione, nella riforma della legge sulla cittadinanza possiamo farlo ma dobbiamo però essere chiari sia con l’opinione pubblica, sia con la Commissione affari costituzionali e quindi con il Parlamento.

Un anno di legislatura, un anno particolare pieno di polemiche e difficoltà, e tempo di bilanci…positivi?

Se avessi potuto scegliere la legislatura sapendo quello cui saremmo andati incontro, non avrei scelto proprio questa. Diciamo che un insieme di cose ci hanno portato ad avere questa esperienza così complessa. Il fatto è che c’è uno scontro promosso dalla destra nel paese. Richiedono elezioni anticipate pur sapendo che esiste una maggioranza sino a prova contraria, la maggioranza c’è. Questo scontro promosso dalla destra è arrivato addirittura nelle aule parlamentari con le posizioni squadriste della Lega Nord. Abbiamo una situazione in cui, con la prossima finanziaria, abbiamo dovuto fare fronte ad una vera e propria emergenza nei conti pubblici e, nonostante ciò, abbiamo salvaguardato i capitoli degli italiani all’estero e questo è un fatto, secondo me, straordinario. Esistono ora le condizioni per fare qualcosa di più e credo che riusciremo a farlo. Insomma, io credo che nonostante le difficoltà, esistano ancora le condizioni per poter governare bene con il sostegno degli eletti all’estero tra le forze dell’Unione. Stiamo verificando, in questi giorni, la buona volontà anche di chi con noi vive questa esperienza con altre responsabilità. Responsabilità di governo. Responsabilità a livello di gruppi parlamentari. Responsabilità a livello di forze politiche. Occorre lavorare insieme per riprendere il percorso delle riforme, per fissare le priorità e lavorarci tutti. A partire dal Dpef, ci sono obiettivi che possono essere raggiunti, basta scegliere le priorità.
Mi permetto di dire che, tra le priorità che noi stiamo indicando al governo, per quello sulla cittadinanza ci siamo impegnati dall’inizio, l’attenzione nelle convenzioni bilaterali e sulla sicurezza sociale, nella protezione dei nostri lavoratori all’estero. Abbiamo parlato in maniera molto chiara di tutela delle fasce sociali indigenti, dei più deboli ovunque essi vivano perché vi sono fasce di povertà ed indigenza anche nelle parti più economicamente più avanzate delle realtà degli italiani nel mondo. Non solo in America latina anche se lì la situazione è sicuramente più complessa rispetto ad altri paesi. Abbiamo indicato informazione, pluralismo, maggiori risorse per la stampa di lingua italiana all’estero ma non solo per la stampa perché crediamo che vadano modificati quei criteri che attualmente precludono l’acceso a quei contributi, cioè i media elettronici, pensando anche ad ulteriori risorse. Abbiamo posto poi l’accento sulla promozione della lingua e della cultura italiana. La riforma della legge 153 è una assoluta necessità. Qui non si tratta di decidere quanto statalistici o privatistici vogliamo essere perché l’intervento è dello Stato. Si tratta di vedere chi può svolgere l’intervento dello Stato con le risorse dello Stato nel modo migliore possibile. Allora non si comprende per quale ragione alcuni ritengono, ad esempio, per quanto riguarda la rete dei servizi, la rete consolare, che si debba in qualche modo pensare ai contrattisti, con contratti locali perché costano meno, poi, quando invece si parla di insegnamento ci si arrocca su posizioni molto rigide quando anche all’estero abbiamo persone qualificate in grado di insegnare la lingua italiana, capaci di fare anche formazione. Abbiamo docenti universitari, rettori presenti all’estero che già operano nei nostri paesi e che possono fare anche formazione. E’ impossibile tornare ad una soluzione romanocentrica dove da Roma si decida qual è il percorso linguistico e culturale che si deve adottare, per esempio, a Melbourne in Australia o in Svizzera. Credo che il coinvolgimento nella costruzione del piano paese, dei Comites, degli enti di gestione, di tutti coloro che operano sul territorio, sia importante. La proposta di legge che abbiamo presentato va in quella direzione.
Quindi, ancora ottimista sulle possibilità di fare governo, sulle possibilità di costruire le riforme, di metterle in cantiere e di portarle a soluzione. Naturalmente, come parlamentare, ho la libertà di fare anch’io le mie verifiche personali, di prendere le mie decisioni una volta che vedrò i risultati che saremo in grado di raggiungere.

Cosa l’ha indignata, per così dire, della politica italiana sino ad oggi?

Sui costi della politica, sono convinto che bisogna avere il coraggio di uscire da questa situazione di stallo in cui ci siamo messi per cui non riusciamo a fare le riforme che sono indispensabili. Se riduciamo il numero dei parlamentari, ridurremo automaticamente anche i bisogni che i parlamentari hanno. Pensare oggi che si possa discutere dei costi della politica perché io ho un ufficio qui a palazzo Marini, è pretestuoso, demagogico. Penso al servizio fatto ultimamente da Anno zero per dimostrare gli sprechi della politica, su quante risorse pesano nei bilanci e non vengono sfruttate. Personalmente non so davvero quanti parlamentari utilizzano o non utilizzano questi uffici ma se vi sono degli sprechi, mi indigno e sarei scioccato nell’apprendere che pochi li utilizzano. Io non posso farne a meno. In Italia non avrei altra sede. Ma tutti noi eletti all’estero li utilizziamo e non possiamo certamente rinunciarvi. Sui costi della politica si fa molta demagogia, questo è sicuro. Noi 18 eletti all’estero non stiamo facendo più azione coordinata per chiedere, ad esempio, l’organizzazione dei lavori a sessione. Subito fu polemica perché fummo tacciati di non voler lavorare abbastanza mentre lavorare a sessione avrebbe significato lavorare meglio e di più.
Godiamo di un tetto di spesa di 35-36.000 € l’anno per i nostri viaggi. Risorse che non riusciamo mai ad utilizzare perché siamo incollati qui alla Camera per il numero legale, gli altri, per assicurare la maggioranza risicata al Senato. Noi eletti all’estero siamo penalizzati.

In Australia quanto costa un parlamentare?

Ho fatto dei riscontri oggettivi. Stranamente c’è più libertà nella gestione delle risorse qui in Italia rispetto a Camberra, per esempio. Perché ti danno queste quote forfetarie che ognuno può utilizzare nel modo che ritiene più opportuno e sono esentasse, ma il costo complessivo di un parlamentare australiano è decisamente superiore. Perché ha diritto ad un ufficio nella sede del Parlamento, ha diritto ad un ufficio elettorale, ha diritto a tre persone che lavorano in quell’ufficio, ha diritto a tutte le spese: fotocopiatrici, telefono ecc.
In Italia c’è questa possibilità molto strana e molto sospetta per cui ognuno può utilizzare queste risorse nel modo che ritiene più opportuno senza nessun controllo. Non per ultimi, gli scandali dei porta borse pagati in nero.
Bisogna avere il coraggio di dire che la politica costa, ma i costi devono essere compatibili con l’esercizio delle funzioni di un parlamentare e devono produrre risultati e per produrre risultati, occorre fare non solo le riforme istituzionali, ma modificare anche i regolamenti di Camera e Senato. Siamo in una situazione bloccata. Per sbloccarla, qualcuno deve avere il coraggio di parlare. Mi pare che, ora, anche il cammino delle riforme istituzionali si sia bloccato a causa della situazione di scontro nel paese. Spero solo che, per le riforme urgenti per la riforma della legge elettorale, si trovi almeno una convergenza responsabile tra i due schieramenti. Secondo me, il governo Prodi, ha ancora la capacità di andare avanti e di rimanere al governo.

Di Partito Democratico si parla dalle sue parti? Che ne pensano?

Le attese sono molte perché chi vive in Australia da molti anni, chi vive anche la politica australiana, si rende conto di quanto complicato sia il quadro politico italiano. Vero è che non si risolve tutto con le formule che tendono verso il bipolarismo o la riduzione del numero dei partiti. Non tutto si risolve in quel modo. Il PD sta andando verso la direzione opposta alla frammentazione. Sta unendo le forze politiche che in questi ultimi anni hanno lavorato insieme nel centrosinistra. Non si sta cercando di mettere insieme qualcosa che non lo è mai stato prima. C’è un solo rischio e cioè che il PD non si riveli un partito nuovo. L’esperienza delle primarie, si ripeterà per il PD. Deve essere una operazione aperta, dove non ci siano posizioni precostituite. Questo stato di cose si ripeterà anche all’estero Non ho ragione di dubitare che andrà così.

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