Intervista all’on. Sandro Gozi (Ulivo)

«Io credo che uno dei valori del PD che io intendo come appartenere al centrosinistra, alla sinistra, sia quello di non perdere mai l’obiettivo della coesione sociale e della solidarietà».

L’on. Sandro Gozi è Presidente del Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen, di vigilanza sull’autorità di Europol, di controllo e vigilanza in materia d’immigrazione; I Commissione affari costituzionali della Presidenza del Consiglio e interni.

L’on. Gozi, è una personalità di spicco del nuovo Partito democratico, trentanovenne, una delle menti propulsive della costituenda nuova compagne politica.

La questione sollevata in queste ore sulla nomina del leader del Partito democratico, sembra aver procurato qualche imbarazzo al presidente del consiglio Prodi.

Credo che non ci sia bisogno in Italia, nel centrosinistra, di ulteriori fermentazioni, di creare un ulteriore dualismo: leader Partito Democratico e Premier Primo Ministro. Sarebbe certamente un passo indietro.

E’ chiaro che il PD deve dare anche forza al governo ed è impensabile che si possano cumulare le due figure.

Altra questione, invece, è avere una sorta di coordinatore per coordinare le attività degli organi che dovranno, poi, fare il PD.

Una cosa è certa, il PD dovrà partire dal basso. Non si costruiscono le piramidi partendo dal vertice.

Bisogna, quindi, cominciare a costruire gli organi dal basso, dal territorio. Poi, come ultimo atto, i nuovi organi ed il nuovo congresso, dovranno esaminare e decidere chi sarà il leader politico.

Se in questa fase c’è bisogno di un coordinatore, ben venga n coordinatore. Ma che questo fatto non inneschi un ulteriore dualismo ed ulteriori personalismi.

Di protagonisti pare ce ne siano già abbastanza.

Lei ha un nome, è orientato verso qualcuno in particolare che potrebbe essere il leader?

Al momento ce n’è un solo: Romano Prodi.

Nella lista dei 45 che si dovranno occupare e costituire il futuro PD, però, non sembrano essere stati privilegiati i giovani così come si è predicato, come mai?

Questa è una bella domanda.

A mio parere, questo è stato un errore. Un errore riparabile ma un errore. Il Comitato deve avere una funzione precisa, deve scrivere le regole quindi non è l’inizio del nuovo partito. E’ un organo che deve fare la strada e ciò vuol dire eleggere una assemblea costituente. Quello sarà il vero embrione del nuovo partito. Per questo dico che è un errore riparabile. Certamente è una occasione persa perché il PD deve essere un partito nuovo più aperto alle donne, più giovane, più sensibile ai giovani. Il fatto che non ci sia, nel gruppo dei 45, nessuno sotto i 40 anni, mi sembra un fatto non positivo. Anche perché noi continuiamo a dover lottare come giovani e ad essere considerati giovani, io ho 39 anni, quando in realtà noi dovremmo occuparci dei veri giovani che sono poi quelli al di sotto dei 30 anni. In Italia siamo in ritardo di 15 anni, di tre generazioni visto che queste cambiano ogni 5 anni. Ripeto, una occasione persa. L’assemblea costituente garantirà la massima apertura in cui non solo sarà possibile votare liberamente, ma si potrà anche essere votati liberamente. Garantirà una grande apertura ai giovani ed alle donne.

Mi è sembrato di capire due cose da quanto lei ha detto e cioè, la prima è che praticamente tutti gli esclusi non dovranno preoccuparsi perché, magari, avranno collocazioni di spicco nel prossimo futuro, la seconda…

Tutti possono essere candidati. Le regole su cui noi dobbiamo insistere sono quelle delle massima libertà dell’elettorato sia quello attivo sia quello passivo. Non dovranno esserci membri di diritto. Deve essere un processo completamente aperto. Sono sicuro che con le energie che abbiamo, con il fatto che ci sia una fortissima volontà di riforma e di cambiamento da parte della mia generazione ed in quelle che seguono, questo processo si potrà garantire sin dall’inizio nella assemblea costituente. Il PD dovrà essere un partito più giovane, più rosa.

La seconda cosa, dicevo, che mi sembra d’aver capito, è che ci troviamo al cospetto di una mentalità che connota il nostro paese per quanto riguarda l’età. Voi 39 enni venite considerati giovani quando dovreste essere, in pratica, degli anziani.

Assolutamente. E’ una questione di mentalità legata alla società italiana. Io dico sempre che gente alla mia età, penso a Blair, già si confrontava con la guida di una nazione.

Noi a 39 anni, siamo considerati giovani. Ed io sono un giovane fortunato rispetto ad altri della mia età che meriterebbero altrettanto quanto me. E’ un problema acuto nella politica ma che si ritrova nell’impresa, nell’Amministrazione, in tutti i posti apicali in cui non troviamo giovani perché siamo un paese gerontocratico.

Degli esclusi dal novero dei 45, per esempio, troviamo Gitti. Non trova che uno come Gitti, invece, doveva essere tra i primi ad essere reclutati?

Sì, secondo me sì. Però ho visto che c’è una ragazza, una donna che fa parte della componente Gitti nel Comitato, non sotto i 40 anni, ma una donna, Paola Caporossi. Diciamo, quindi, che Gitti è rappresentato. A mio parere, Gitti, sarebbe stato benissimo nel Comitato.

A fronte di questa esclusione e di altre ancora, però, c’è stata una accoglienza clamorosa ad un “saltatore” di rango: Marco Follini.

Questo è un altro discorso. E’ un discorso diverso dalla questione generazionale. Ma un discorso, a mio parere, giusto perché il PD deve essere un partito che si apre anche ad altre forze politiche, ad altre personalità politiche. Credo che il PD debba guardare anche molto al centro, ad un centro che voglia veramente riformare il bipolarismo e renderlo più funzionante, più razionale. Da questo punto di vista, la presenza di Follini, la reputo un dato positivo.

E se si tacciasse di opportunismo politico…

Io penso che Follini sia stato molto coraggioso più che opportunista perché…

…mi riferivo all’opportunismo del PD nel reclutarlo.

No. Il PD, molto chiaramente, ha detto, ed è emerso chiaramente ai congressi DS e Margherita, soprattutto in quello della Margherita, che è un partito che dovrà anche aprirsi molto verso il centro, verso il centro politico. Il PD è una forza di centrosinistra quindi, se questa forza di centrosinistra allarga a centro con tutti coloro che sono disposti ad impegnarsi in un progetto di rinnovamento che deve essere della politica, del sistema politico e poi delle istituzioni italiane, sono i benvenuti come Follini.

Stando a quanto si dice, per esempio, da parte della sinistra radicale, il PD non avrebbe nulla di sinistra ma sarebbe, in realtà, un nuovo centro. Lo stesso Fassino è stato bollato come un liberal-sociale.

A me sembrano veramente schemi che denotano aspetti un po’ in ritardo da parte della sinistra italiana. Non possiamo affrontare il 21° secolo, non possiamo affrontare le nuove sfide del nostro paese dicendo quelli non sono di sinistra sinistra, quelli sono di centrosinistra, quegli altri liberal sociali, più o meno liberali ecc.

Perché non credo serva a qualcosa pensare a questo al cospetto del cambiamento climatico, all’immigrazione, all’evoluzione demografica, al problema dell’integrazione degli immigrati in Italia, al problema di coniugare sicurezza e flessibilità al mercato del lavoro. Tutte queste sono problematiche che richiedono una nuova analisi, una nuova proposta politica e che vogliono tenere conto delle esigenze di maggiore solidarietà e di maggiore coesione sociale.

Mettere il paese nelle condizioni di maggiore competitività nell’Amministrazione come nell’impresa, questa è la sfida.

Le sfide che siamo costretti ad affrontare, sono talmente nuove che stare a perdersi in disquisizioni inutili in discussioni accademiche su chi sia o no un liberal sociale, è anacronistico.

I nuovi problemi cui dovremo dare conto, richiedono nuove soluzioni politiche. Io credo che uno dei valori del PD che io intendo come appartenere al centrosinistra, alla sinistra, sia quello di non perdere mai l’obiettivo della coesione sociale e della solidarietà. Questo, secondo me, è il futuro.

Nel momento in cui noi affronteremo le riforme del mondo dell’impresa, dell’economia, dobbiamo tenere presente che non si può sacrificare l’esigenza di maggiore diffusione del benessere nel dogma della competitività. Noi dobbiamo portare l’Italia verso una competitività che sappia tenere presente di questi due capisaldi, solidarietà e coesione sociale, della società italiana altrimenti marceremo contro la nostra storia. Ciò detto, tutto il dibattito che io chiamo para-ideologico, sono di sinistra o non sono di sinistra, oppure: la nostra tradizione è quella della DC, la nostra tradizione è quella del PCI, risulta inutile. Guardi che, nel 2009, voteranno nuovi elettori. Sarà gente che è nata dopo il 1989, dopo il muro di Berlino. A quelli, non interessa assolutamente niente se il candidato che votano si ispira alla DC o al PCI. Semplicemente vorranno sapere cosa propone quel candidato per una Università più competitiva, per un passaggio nel mondo del lavoro più giusto che costringe i giovani alla precarietà assoluta ecc. Queste sono le risposte ecco perché a me non interessa questo dibattito.

Ma sarà facile, lei crede, adoperare una sintesi, per esempio con la Pollastrini?

Io credo che le grandi forze di centrosinistra che hanno intrapreso questo processo di rinnovamento, come ad esempio, prima e dopo Blair, sono riusciti a fare delle sintesi felici e positive e su posizioni ben diverse e più profonde da quelle che ci possono essere con la Pollastrini. Questo non mi preoccupa molto.

Per quanto riguarda la due questioni “principe” che potevano inficiare il sodalizio DS-Margherita e cioè la laicità dello Stato e la dislocazione in ambito europeo del PD, far parte o no del PSE, come risolverete questo problema? E’ un problema?

Sulla questione etica, io non credo che ci siano dei partiti etici. E’ difficile avere da statuto una posizione precisa e vincolante per i singoli sulle grandi questioni etiche. Su queste, a mio avviso, deve sempre applicarsi il concetto della libertà di coscienza. Sulla questione della laicità, dobbiamo fare una distinzione. Ormai il dibattito italiano è divenuto un dibattito assolutamente strumentale, ideologizzato. Un conto è la laicità, un conto il laicismo, un conto è il rispetto delle prerogative della Chiesa nella società, un conto è volere costituire un partito dei credenti, come un conto è affermare il principio di separazione Stato e Chesa, un altro conto e fare dell’ attività contro le posizioni della Chiesa un motivo di azione politica, questo è laicismo.

Bisogna tornare a ragionare in termini, allo stesso tempo, moderni e coerenti con la grande tradizione democratica italiana. In uno Stato moderno, è chiara la divisione temporale dalla dimensione spirituale. Non è possibile pensare, in uno Stato moderno, che certe posizioni di partito siano dettate da queste o da quelle credenze religiose. Quando si governa la cosa pubblica non si può pensare di proporre, a volte, addirittura imporre, la propria sensibilità personale. E’ necessario, allora, fare una sintesi, uno Stato laico deve essere rispettoso della presenza della Chiesa cattolica, rispettosa dell’Autorità religiosa. Adoperare una sintesi tra le posizioni legittime dei credenti e le posizioni altrettanto legittime di coloro che non credono. C’è una frase famosa di Kennedy che, da cattolico, divenne Presidente degli USA che diceva:«Se mi si pone un problema tra l’interesse generale e la mia coscienza, io sono costretto ad andarmene, non posso certamente pensare di utilizzare la mia posizione per far diventare la mia obiezione di coscienza, interesse generale». E’ questa la via su cui dobbiamo andare. Fa male, e lo dico da cattolico, alla Chiesa, dare l’impressione, non dico che questa sia la posizione, ma dare l’impressione di parteggiare per una parte politica o che si è più favorevoli a quel partito piuttosto che a quell’altro. Non è questo il ruolo della Chiesa pur avendo diritto di esprimere le proprie opinioni. Il ruolo della politica è quello, ripeto, di essere in grado di fare sintesi positive. Del resto la DC non era il partito della Chiesa. La DC era un partito che faceva sintesi tra le esigenze del cattolicesimo e le esigenze del mondo laico. Credo che questa sia la grande tradizione italiana che dobbiamo proseguire.

Sulla seconda questione che lei chiama “principe” inerente l’Europa, tutti i risultati di tutte le elezioni europee dimostrano che chi scende in campo da solo non può vincere le elezioni. Che c’è una forte esigenza, da parte degli elettori, di avere nove alleanze, nuove aggregazioni di centrosinistra, nuove proposte cosiddette riformiste.

La Francia è l’ultimo esempio. Credo che ci siano tutte le condizioni, anche dopo il congresso del PSE di Oporto, di proporre a livello europeo una alleanza più ampia che vada al di là del PSE. Una alleanza di centrosinistra nel Parlamento europeo che veda i Democratici socialisti ed altre forze progressiste che non si riconoscono nel partito socialista. Noi non chiediamo all’Europa di risolverci un problema, noi chiediamo ai nostri partners europei di prendere atto di una realtà politica e di prendere atto del fatto che il nostro è un progetto estremamente avanzato, una soluzione che potrebbe certamente essere la soluzione anche in un Paese come la Francia, che lo è in Vallonia e che potrebbe diventarlo in Belgio, che lo diventerà in Polonia nel momento in cui il centrosinistra polacco si riorganizzerà per rispondere ad una destra oscurantista. E’ una presa d’atto che già c’è perché ad Oporto si detto che bisogna aprirsi a forze che socialiste non sono.

Sono sicuro che anche nel Parlamento europeo potremo dare vita ad una grande alleanza di centrosinistra, dei socialisti e dei democratici che potrebbe diventare anche il primo gruppo.

La vedo come una opportunità. Non avrebbe senso dire: creiamo una nuova forza politica in grado di risolvere le grandi questioni poste dal 21°secolo e dire al tempo stesso che per fare ciò, dobbiamo diventare socialisti. Dobbiamo vedere, insieme ai socialisti, quali altre nuove alleanze fare. Non dentro, ma con i socialisti.

Il PD ancora non c’è, dunque, un progetto scritto non esiste, ma lei, personalmente, la questione dei giovani dato che parliamo di un partito giovane, come pensa di risolverlo? Questi arrivano tardi a completare gli studi, tardi al matrimonio, tardi al lavoro, tardi ad uscire dalla casa dei genitori, tardi a comprarsi la casa. Tardi per tutto.

Innanzitutto, direi che non c’è una politica per i giovani. Cosa vuol dire giovani? I giovani sono quelli che passano dalle scuole superiori all’Università; giovani sono quelli che dall’Universtità, transitano nel mercato del lavoro, giovani sono coloro che intendono mettere su famiglia, giovani sono i professionisti, quelli che hanno 28-30 anni che sono bene inseriti nell’Amministrazione, nella organizzazione internazionale dell’impresa ecc.

Per risolvere i loro problemi, bisognerà scomporre il mondo dei giovani nelle diverse problematiche. I giovani professionisti sono la risorsa del paese, bisogna ricondurre in Italia tutti quei cervelli emigrati all’estero. Essi porterebbero nuova linfa vitale a tutto il sistema. Il PD dovrà ridurre in maniera drastica la dimensione impatto che si ha sui giovani nelle varie politiche che noi portiamo avanti. Politiche del mercato del lavoro, politiche della ricerca. Dovremmo interrogarci, ogni volta che facciamo qualcosa e chiederci: che impatto avrà sui giovani? Dare tutta una serie di agevolazioni innanzitutto per finire l’Università e poi per facilitarne il passaggio al mondo del lavoro. A mio parere, bisognerà garantire ai giovani che vogliono mettere su famiglia, dei crediti agevolati per i mutui, per il passaggio a sistemi di previdenza personale che permettano a dei precari di cominciare a pensare di avere un avvenire. Intervenire con tutta una serie di provvedimenti che facilitino l’emancipazione dei giovani perché oggi questi non si emancipano, non escono dalle famiglie prima dei 30 anni. Questo è il grande ritardo rispetto agli altri paesi europei. E‘ una politica complessa, una politica molto articolata ma prioritaria per il nuovo PD.

Una domanda un po’ provocatoria, quale leader non ha aderito al nuovo PD che lei avrebbe voluto aderisse per capacità, formazione e valori?

Bisogna pensarci.

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