Eletto nella circoscrizione Europa per l’Ulivo, L’on. Franco Narducci è Componente della III Commissione Affari Esteri e Comunitari.
Franco Narducci risponde sulla grande novità costituita dalla nuova formazione del Partito Democratico ed espone il suo lavoro alla Camera parlando di tre temi cruciali: Inps, scuola e carcerazione.
Si sono conclusi i congressi dei DS e Margherita. Di fatto, si è dato vita ad un unico Partito Democratico. E’ questo un processo che si dovrà affrontare anche all’estero?
Lo scopo del Partito Democratico, è contenuto tutto nella chiusura che ha fatto Rutelli al Congresso della Margherita quando ha detto rivolgendosi a Fassino: «Piero, siamo già nello stesso partito».
E’ chiaro che all’estero, per quanto concerne l’Ulivo, si dovrà avviare una fase costituente in cui il dialogo, il cui confronto si avrà soprattutto tra DS e Margherita.
All’estero però, il cammino di formazione sembra più agevole rispetto a quello intrapreso in Italia, non è vero?
In effetti, all’estero, i DS e la Margherita, hanno stretto questo sodalizio ormai da molto tempo. Quella che oggi è la Margherita, già in passato ha avuto contatti con il mondo dell’associazionismo come esponente del cattolicesimo popolare. Questa fase costituente significa sedersi intorno ad un tavolo per stabilire procedure ed iter. All’estero, si dovrà procedere in parallelo col processo che si svilupperà in Italia a livello nazionale.
Posso azzardare un giudizio definitivo affermando che tra i DS e la Margherita, il Partito Democratico, all’estero, sia già stato realizzato. Si può dire che sia nato prima che in Italia.
Si pensi alla Svizzera a Solidarietà e Progresso, una sigla che raccoglieva al suo interno anche altre forze come i socialisti e, da ultimi, anche rifondazione. La spina dorsale di Solidarietà e Progresso è stata rappresentata sempre dai democratici popolari e dai democratici di sinistra. Da questo punto di vista, si tratta di sviluppare un progetto di forte attrazione per i nostri connazionali, un punto di interlocuzione con le realtà politiche locali, con i sindacati. Non possiamo dimenticare che i nostri connazionali vivono le realtà di questi paesi che li ospitano. In questo modo si potrà dare più facilmente soluzione ai loro problemi che ancora hanno ed avranno in futuro.
Vuole dire che, all’estero, non si stava aspettando altro che l’ufficializzazione di un processo già in atto?
Esattamente. E’ così. Ricordo che già in occasione delle elezioni del primo Comites, che allora si chiamava Coemit, le forze di centrosinistra si coalizzarono e vinsero. Questo per dire che c’è una tradizione che sicuramente, negli ultimi anni, si è affermata passando dalla sperimentazione al consolidamento ognuno nelle proprie strutture, nei propri organismi. Non si aspettava altro che il processo venisse formalizzato ed ufficializzato in forma solenne dai Congressi nazionali per dare vita al Partito Democratico.
Caratterialmente, non sono facile ad abbandonarmi a grandi entusiasmi, a posizionare l’asticella, come si dice, troppo in alto. Bisogna lavorare. Occorre la prova dei fatti. E’ vero che esistono tutti i presupposti ma occorrerà anche una grande capacità di interazione con le forze politiche locali in Svizzera, in Germania, in Francia, in Inghilterra. Esistono nel mondo tante realtà composite e totalmente diverse tra loro. Occorrerà una grande capacità da parte del Partito Democratico per gestire queste interlocuzioni.
Sembrano non essere presenti contrapposizioni di carattere ideologico, altrimenti il sodalizio sarebbe stato improponibile, ma come la mettiamo col concetto di laicità dello Stato?
Questo è un problema estremamente sentito in Italia, tanto è vero che, nei due congressi dei DS e Margherita, insieme alla collocazione internazionale del Partito Democratico, la laicità dello Stato, rappresentava un punto nevralgico e l’oggetto delle discussioni. Sulla laicità dello Stato, all’estero, si parte con qualche punto di vantaggio. Non credo ci saranno problemi.
In che senso non ci saranno problemi?
Se vogliamo proprio puntare il dito sul problema più scottante, la famiglia, le unioni di fatto, le coppie di genere ecc., la legislazione è già in vigore in molto paesi europei. In Svizzera, il primo gennaio 2007, è entrato in vigore la legge che regola i diritti delle coppie di fatto e delle coppie dello stesso genere. In Germania questo, è già un punto d’approdo sperimentato, abbiamo partecipato alla formazione dell’idea e della proposta divenuta legge. Abbiamo potuto appurare che, in questi paesi, le lacerazioni che ci sono state, sono state affrontate e risolte. Questi problemi, dall’estero, li affronteremo sicuramente con meno tensioni rispetto all’Italia. Non credo che qualcuno possa mettere in dubbio il primato della famiglia. Quando si parla di laicità dello Stato, credo che nessuno intenda, con questo, porre la famiglia in secondo piano facendole perdere il primato. Ma bisogna anche fare qualcosa per la famiglia. In Svizzera si già sta provvedendo a misure per la famiglia. Col referendum, il popolo ha approvato un cospicuo aumento degli assegni familiari. In Germania, la laicità dello Stato, credo non possa essere in nessun modo messa in discussione. Le forze del cattolicesimo democratico, le associazioni, le acli, sono radicate sul territorio in quasi tutto il mondo e, da questo punto di vista, collaborano in sintonia con quelle che si richiamano alla tradizione social democratica.
Bene, ma in quanto alla collocazione del Partito Democratico nello scenario europeo, ci sono dei problemi: Pse sì, Pse no.
Questo era il secondo punto che ha animato il dibattito. Ma rispondo subito di no. Ed è facile dimostrarlo. Se si vuole che il Partito Democratico rappresenti veramente quella innovazione politica di cui si sentiva tanto bisogno, non ci si può rifare agli schemi dei popolari o dei socialisti europei. Esiste anche un’altra realtà che è quella dei democratici a cui oggi aderiscono molti partiti. Il partito democratico italiano è guardato con molta attenzione lo si deduce da diversi articoli di corrispondenti dall’estero, soprattutto dell’area tedesca. Credo che occorrano partiti che si richiamino alle proprie tradizioni, alle proprie origini, ai propri valori ma che abbiano la capacità di rinnovarsi, di rigenerarsi, di guardare più avanti che indietro. Oggi, il mondo corre troppo in fretta e la politica, questo è un dato dimostrato, non riesce quasi mai a tenere il passo del cambiamento e delle trasformazioni.
Alle elezioni europee del 2009, per la prima volta, voteranno i giovani nati dopo la caduta del muro di Berlino che ignorano quel passato fatto di ideologie e vivono un presente di tensioni e fondamentalismi.
Rimettendoci sul binario della politica parlamentare, è d’obbligo fare riferimento alla sua attività per gli italiani all’estero. Cominciamo con l’Inps, cosa succede?
L’Inps ha appaltato il pagamento delle pensioni all’estero, ad un istituto bancario. Questo fatto, ha introdotto una serie di novità adottate dalla stessa banca ed in parte anche dall’Inps per la procedura di pagamento. Si intende passare al pagamento via conto corrente.
Che male c’è a pagare tramite conto corrente?
In primo luogo, è mancata una informazione tempestiva. I pensionati all’estero sono 410.000. La somma complessiva delle pensioni pagate nel totale, è enorme, si parla di milioni e milioni di euro. Solo in Svizzera, vi sono 23.000 pensionati pari ad un esborso di 41 milioni di euro.
Le novità sono l’introduzione di un formulario redatto in lingua italiana e lingua inglese. Molti italiani non hanno dimestichezza col burocratese. Alcune banche, rifiutano di aprire conti correnti in base ad un formulario redatto nelle lingue italiano ed inglese. L’Inps, per esempio, avrebbe potuto, in occasione della spedizione del certificato di pensione e del Cud, allegare anche questo tipo di informazione. L’altra cosa vergognosa è che la Banca Nazionale del Lavoro, sapendo che non aveva più l’appalto, nei paesi dell’America Latina, ha chiuso tutti i suoi sportelli, quindi, la gente da mesi, è impossibilitata a ritirare la pensione, quella che veniva pagata con l’assegno.
Questa questione dell’assegno, soprattutto in America Latina, è comprensibile. Tutti sappiamo quello che è successo con i depositi bancari dei nostri connazionali qualche tempo fa. Essi non si fidano più. Preferiscono recarsi in banca. Ricordo che stiamo parlando di cifre irrisorie, si tratta di 200 euro, di pensioni di vecchiaia o di reversibilità.
Su quale punto ha fatto leva per sottolineare la sua indignazione nell’interpellanza?
Ieri, (22 aprile), mi ha intervistato una radio da Buenos Aires. Mi hanno fatto presente che c’è un disagio ed uno stato di bisogno incredibile. Allora io dico che gli italiani all’estero, sono cittadini italiani che hanno versato in Italia, non possono essere trattati in questo modo. Nell’interpellanza ho manifestato tutta la mia disapprovazione nonché la mia totale insoddisfazione per quanto riguarda la risposta data dal governo in quanto ha eluso sistematicamente e del tutto tutte le domande poste.
La legge che ha presentato sulle strutture scolastiche all’estero, sul progetto basato sulla qualità e sul un piano organico di promozione della lingua e cultura italiana nel mondo. Ce ne parla?
Ci sono varie proposte di legge depositate e già assegnate alle Commissioni competenti. Esse vanno in due direzioni: proposte di legge stataliste e proposte di legge che guardano alle nostre comunità.
La legge 153 risale al 1971. E’ nata quando il progetto era un altro quando la scolarizzazione e l’assistenza ai figli degli italiani, era giustificata dal fatto che, un giorno, essi sarebbero ritornati in patria. La realtà, oggi, è ben diversa. Le nostre comunità, si trovano in avanzato stato di integrazione e, nello stesso tempo, non vogliono assolutamente dimenticare le loro radici culturali e la loro lingua. La legge che ho presentato, che non è di stampo statalista, si pone, prima di tutto, un obiettivo fondamentale, quello di separare le scuole italiane all’estero, dalla promozione della lingua e della cultura italiana.
Si spieghi meglio, dove sta la differenza?
In primo luogo, le scuole italiane all’estero, devono essere di qualità per poter competere. Devono essere in grado di rilasciare certificazioni, devono rispondere ai bisogni del processo di scolarizzazione. Credo che, salvo alcuni casi, debbano puntare sul bilinguismo: sull’italiano e sulla lingua locale. Il personale docente delle scuole italiane, deve far parte del contingente dei docenti italiani inviati all’estero.
Nella promozione della lingua e della cultura italiana, occorrono sì stessa qualità e professionalità, ma, per questo argomento, è necessario coinvolgere le comunità, renderle protagoniste attraverso Enti. Come avviene in molte parti del mondo, deve trattarsi di Enti a gestione democratica non rispondenti ad interessi di tipo familiare. Bisogna concepire meccanismi di qualificazione che consentano a questi Enti di certificare. Non è pensabile che un Ente, vita natural durante, possa ricevere contributi per la gestione dei corsi di lingua e cultura italiana. La legge firmata da me e da altri, prevede che, ogni anno, ci sia il rinnovo della convenzione, prevede ci debba essere la formazione degli insegnanti; prevede che, in ogni consolato generale dove ci sono attività di corsi di lingua e cultura italiana indirizzati ai ragazzi italiani, sia presente un dirigente scolastico qualificato inviato dall’Italia come avviene già oggi ma non in numero insufficiente infatti molte realtà sono scoperte.
Alcuni esempi, come la Dante Alighieri stanno facendo, in questo senso, un lavoro importante di promozione della lingua e della cultura italiana. Inoltre, il disegno di legge è finalizzato, oltre che agli italiani o oriundi italiani, anche ai cittadini stranieri che hanno intenzione di apprendere la nostra lingua. Il progetto di legge punta a valorizzare il futuro dei nostri giovani residenti all’estero.
Per completare la panoramica della sua attività parlamentare, non resta che parlare di carceri e di detenzioni oggetto di una sua ulteriore interrogazione.
Sono firmatario di una interrogazione sottoscritta da una quarantina di altri colleghi. In Europa, esiste un problema veramente increscioso. L’Italia, pur avendo aderito ad una Convenzione del Consiglio d’Europa che prevede la possibilità che una persona sottoposta alla detenzione in carcere in un paese possa scontare la pena nello Stato di provenienza facendone domanda, la disattende sistematicamente. C’è uno Stato che commina la pena a seguito di sentenza ed un altro Stato diverso dal primo, dove la si sconta. Le ragioni di una tale determinazione sono facili da capire: distanza con i familiari, affetti, ma soprattutto reinserimento nella società. Quest’ultimo è lo scopo principe della pena, il recupero degli ex detenuti ed il loro inserimento nella società.
Qual è l’oggetto dell’interpellanza?
Quello di chiedere al governo di farsi carico dei diritti delle persone e, avendo sottoscritto una convenzione, di rispettarla. Tra l’altro, il caso Italia, ha suscitato le proteste di alcuni Stati, persino della Bulgaria oltre che della Svizzera. Qui stiamo parlando di poveri disgraziati dei quali nessun media si fa carico per indagare sui soprusi patiti, non si tratta di casi come per la Baraldini che divenne mediatico a tutti i livelli.
Ma se non vengono applicate e rispettate le convenzioni internazionali e non si assicurano i diritti, siamo ancora in alto mare non crede?
Soprattutto tenendo conto della situazione carceraria italiana. Si lasciano trascorrere due o tre anni prima di ottenere una risposta. Questo, anche sul piano umano, non è rispondente alle attese di qualsiasi cittadino. Anche un carcerato ha dei diritti. Una famiglia siciliana non può certo recarsi ad Amburgo per fere visita in carcere ad un suo caro.