Decreto intercettazioni subito subito

In quattro e quattrotto il primo decreto bipartizan: Intercettazioni

La cosa più inquietante che avviene in questo Paese con grande frequenza è quella di svegliarsi una mattina e venire a conoscenza di fatti gravi che, a tua insaputa, si perpetravano da anni.

Lo sconcerto ed anche la paura di fronte ad attività di gravità inaudita che hanno beneficiato del silenzio e del segreto ai danni di moltissime persone, alla faccia della privacy e della riservatezza, pone quesiti e domande fondamentali: è comunque da definirsi ancora democratico questo Paese per il semplice motivo che queste trame vengono scoperte prima o poi? Se la risposta è affermativa, scevra però da strumentalizzazioni di questo o di quel politico, priva di enfasi e retorica populista, meno male. Ma appunto del male minore che dobbiamo accontentarci? Queste cose, come le intercettazioni illegali Telecom, avvengono anche in altri paesi oppure siamo di quelli che detengono il primato di idee nel confezionare sotterfugi?

Alcuni risvegli, in Italia, sono stati agitati davvero: il golpe Borghese, la P2, oggi Telecom. Francamente, da parte della gente, dei cittadini comuni ed anonimi, che poi rappresentano la maggioranza nel Paese (dire il 98%, forse, sarebbe la stessa cosa), la reazione, alla scoperta dello scandalo intercettazioni, è confusa quando non addirittura indifferente.

In poche parole, questa maggioranza, che poi è il Paese, non ha ancora capito bene cosa sia successo in realtà. Però, allo stato dei fatti (25 settembre) si contano 21 arresti, 3 dei quali ai domiciliari. Tra questi si annoverano nomi del calibro di Giuliano Tavaroli, ex responsabile sicurezza della Telecom; Pierluigi Lezzi, responsabile sicurezza Pirelli; Emanuele Cipriani, titolare dell’agenzia investigativa “Polis d’istinto” di Firenze; Marcello Gualtieri, commercialista di Milano; Moreno Bolognesi, agente Polstrada di Torino; 2 agenti della squadra mobile di Firenze; 1 carabiniere ed un ex carabiniere in congedo; 1 finanziere ed ex militare della guardia di finanza; 3 uomini in forza alla polizia di Milano (questi almeno sino al 2000).

Provvedimenti eseguiti a seguito dell’ordinanza del Gip di Milano sulla base di “gravi indizi di colpevolezza”: associazione a delinquere, corruzione, rivelazione ed utilizzazione del segreto d’ufficio, violazione dei doveri d’ufficio, appropriazione indebita carpendo informazioni illegali (precedenti penali, informazioni tributarie, fiscali, anagrafiche, accertamenti bancari) confuse tra quelle lecite con un giro di fatturazioni gonfiate e fondi esteri.

Per raccapezzarsi, almeno per le linee generali, possiamo provare a riassumere cosa sia successo e perché.

Il responsabile della sicurezza della Telecom, Giuliano Tavaroli, uomo molto potente (se si pensa che poteva disporre di enormi quantità di denaro, si parla di 20 milioni di euro gestiti in nero per otto anni), avrebbe avuto, a titolo personale, uno stretto rapporto di collaborazione con il sig. Emanuele Cipriani, titolare di una agenzia investigativa, la “Polis d’istinto”. Quest’ultima, annoverava già, nel suo portafoglio clienti, Pirelli e la stessa Telecom. Inoltre, essi si sarebbero avvalsi dei servigi di altre due società con sede all’estero, due scatole vuote per la circolazione del denaro estero su estero.

Dall’ordinanza si evince che questa attività si basava su intercettazioni telefoniche disposte da privati per i loro interessi e non dall’autorità giudiziaria competente per un normale iter investigativo previsto dalla legge. Se tale attività è definibile, tout court, spionaggio, è facile anche dedurne il perché: ottenere informazioni finanziarie, per esempio, anticipare, intervenire a scopo di lucro, insider trading; rubare notizie utili al fine del ricatto nei campi più disparati, pubblici e privati.

Nel vortice di questa attività illecita, sono incappate migliaia di persone tra le quali anche esponenti molto noti appartenenti al mondo dell’economia, della politica, dello spettacolo e dello sport. Se si pensa che ognuno degli spiati abbia parlato con almeno dieci persone, a titolo di conoscenza tra amici e parenti, gli spiati arriverebbero ad essere molti, ma molti di più.

Il coro di protesta è stato unanime: fermare assolutamente questa attività pericolosa per la vita democratica del Paese.

Questa premessa era necessaria per capire, almeno per linee generali, dall’ordinanza del Gip, cosa fosse successo. Ma è altrettanto dovuto sottolineare che i gravi indizi di colpevolezza su cui si fondano le misure cautelari, non sono prove nel senso tecnico e giuridico del termine, per cui resta valido il principio di non colpevolezza.

Il coro di sdegno, si è levato soprattutto nei palazzi della politica. Tutto l’arco costituzionale, da destra a sinistra, si è rivoltato, unanime, nel porre in essere una strategia, attraverso provvedimenti urgentissimi, per salvaguardare i diritti dei cittadini. La voce più forte ed anche più risonante, è stata quella del Presidente Prodi «il marcio non deve dilagare» ha detto. In quattro e quattrotto, il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, si è attivato per elaborare un decreto anti-intercettazioni. In men che non si dica (22 settembre) ha contattato Gianni Letta per ottenere l’ok di Forza Italia, ha parlato con Pier Ferdinando Casini per il consenso dell’Udc, ha parlato con Ignazio La Russa di An, ottenuto il beneplacito di Nicola Mancino vicepresidente del CSM. Confortato dal Presidente delle repubblica, ha dato a Prodi la possibilità di confermare «il governo non può rimanere inerte, né stare a guardare. Infatti, è già pronto il decreto legge atto a bloccare il fenomeno e a distruggere i dossier collezionati nelle intercettazioni illegali».

L’on. Mastella, sicuro dell’appoggio quadripartizan di tutti, aveva già provveduto. Senza contare gli assensi di Fabrizio Cicchitto, Giuliani Amato, Pecoraro Scanio, Massimo Brutti, Renato Schifani, Alfredo Matteoli, Renzo Lusetti, Roberto Maroni, Antonio Di pietro e fausto Bertinotti. Infatti, alle ore 17.00 del 22, il governo aveva già discusso, redatto ed approvato il decreto anti-intercettazione ed a mezzanotte, la gazzetta Ufficiale ne dava bella mostra. Dalla mezzanotte ed un minuto del 24 settembre, insomma, il decreto è in vigore.

Si prevede, con questo, da 6 a 4 anni per chi detiene intercettazioni illecite, pena aumentata da 1 a 5 anni se il responsabile è un pubblico ufficiale; divieto di copia; obbligo di distruzione con relativo verbale; il contenuto non costituisce, in alcun modo, notizia di reato, né può essere utilizzato a fini processuali o investigativi; divieto di pubblicazione con pene pecuniarie per editori, direttori o vicedirettori che pubblicano intercettazioni illegali.

Per impedire che il “marcio”, frutto di questa attività clandestina ed illegale, venisse a galla, sono praticamente tutti d’accordo. In linea di principio, è giusto. Si conviene ad uno Stato democratico garantire con tutti i mezzi a disposizione, in primis, la sicurezza dei cittadini e solo per ultima la tutela della privacy, con ogni mezzo, compreso quello, sembra ignorato, della prevenzione e della vigilanza.

«Sia chiaro che in quelle carte non c’è alcuna notizia di reato. E’ il bello del decreto. Anche se i magistrati dovessero ravvisare un reato, non potrebbero fare niente» ha specificato il ministro dell’Interno Giuliano Amato. Ciò vuol dire che, se da queste intercettazioni illegali fosse emerso con certezza che Tizio ha ammazzato Caio, i magistrati non potrebbero fare niente. Nulla potrebbero anche nel caso in cui fosse venuto alla luce un nuovo potere occulto pronto, per esempio, ad un golpe militare. Questa sembra essere una consolazione che rassicura tutti. Strano. La cosa grave non è tanto che tutto questo sia successo ed, a bocce ferme, si sia trovato uno “straccio” di rimedio, il punto indiscutibilmente grave è che nessuna azione di prevenzione ci sia stata in precedenza.

Ma viene da fare una considerazione elementare e cioè che nessun cittadino comune si sarebbe precipitato con tanto tempismo nell’approvazione tanto veloce del decreto anti-intercettazioni. Non perché non di sentisse indignato, né perché non si sia sentito offeso e violentato nel suo diritto alla privacy, alla riservatezza e a quant’altro, ma perché non ha, fondamentalmente, niente da nascondere. In verità, chi ha qualcosa di serio da nascondere, specie se si tratta di politici o alta finanza, allora sì che si ha ragione di temere e di avere fretta. Una intercettazione di tale fatta potrebbe segnare il tramonto definitivo della reputazione e della carriera.

Che il “marcio” non venga a galla, non è posizione di chi intende bonificare ed a nulla vale accampare presunti provvedimenti a favore della collettività perché, se così fosse, non dovrebbero essere distrutte le intercettazioni illegali, ma servire per porre in essere, per completarle, indagini serie sviscerando la “trama” ed i loro tessitori. Ormai, i verbali ci sono e saranno mille le copie in circolazione, perché non sfruttarli a vantaggio del futuro?

Non è la liceità o meno di una intercettazione a qualificare o dequalificare un atteggiamento previsto dalla legge come reato, specie se grave. Se qualcuno, per esempio, ha deciso di entrare a Montecitorio con i carri armati, questa azione eversiva resta tale anche se la notizia proviene da una intercettazione illecita. Sarebbe un atto di grande irresponsabilità se non addirittura di connivenza “cassare” quel reato in itinere solo perché proveniente da una intercettazione illecita. Se quanto qui sottoscritto è una idiozia, allora per tale venga considerata. Ma se questa deduzione risultasse fondata, allora l’affermazione del ministro Giuliano Amato ci pone al cospetto di non poche perplessità.

L’unanimità dei consensi, la voce unicorde, la tempestività con la quale si è addivenuti all’approvazione quadripartizan del decreto anti-intercettazioni, sconcerta, specie se si sottolinea che serve alla salvaguardia dei cittadini. Non sarà certo il sig. Mario Rossi, pendolare, a temere conseguenze da intercettazioni illegali ai suoi danni.

Chi ha paura veramente, sono i “pezzi grossi” e per grossi si intendono politici, uomini di potere, banchieri che navigano sott’acqua per lucrare oltre ogni smodatezza. Gente che non ha nessuna voglia che il marcio venga a galla.

Non poteva essere questo un pretesto, una occasione per andare fino in fondo e scoprire questi furboni e renderli innocui per il futuro? Se copriamo il marcio, questo porterà altro marcio. Ci rassegniamo a coprire la spazzatura sotto il tappeto persiano?

Se una tale unanimità nell’approvare il decreto anti-intercettazioni, si ottenesse per risolvere i problemi del Paese, allora sì che si comincerebbe a delineare una vera democrazia.

Ci dispiace, ma questa unanimità sconcerta specie in un momento storico e politico di forte contrapposizione, di muro contro muro.

Questa “sintonia” inusitata ha uno strano sapore ed istiga all’illazione perché sembra che tutti, politici ed uomini di potere, temano di essere stati intercettati e che, da un momento all’altro scoppi il finimondo.

La verità è che i cittadini, quelli senza i quali una Nazione sarebbe poco meno di un villaggio se non una tribù, non gliene importa proprio un bel niente di queste intercettazioni illegali. Essi sono puliti e con la coscienza a posto.

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