L’attrazione per l’orrido sembra essere irresistibile

Il mito ed il fascino del mistero metropolitano legato alla scoperta di mummie, alla conservazione di reperti anatomici, a prodigi inspiegabili

Tra sacro e profano, scienza e mitologia

In molti fanno la fila per accedere ai locali del primo piano dello storico Royal College of Sugeons, in Lincoln’s Inn Fields di Londra.

Ebbene, non regalano pane e pasta, bensì offrono organi anatomici animali ed umani in bella mostra in vasetti di vetro e formalina. C’è di tutto, stomaci di delfino, piedi umani, intestini di iena, lingue di elefante ed un sacco di altre “belle” cose. Circa 3000 campioni in tutto.

Il fondatore, Jhon Hunter, affascinato dai meccanismi segreti del corpo, fu portato a collezionare un gran numero di parti anatomiche, soprattutto se insolite e rare.

Quando morì, nel 1793, gli eredi, furono costretti non solo a pagare i debiti refusi, ma a gestire una raccolta di reperti anatomici pari a circa 14.000 esemplari.

Per quanto riguarda il materiale anatomico animale, egli aveva fornitori in tutto il mondo, ma il problema vero era reperire reperti anatomici di esseri umani.

Quelli erano anni in cui la sperimentazione, lo studio dell’anatomia del corpo umano, faceva si che si rastrellassero tutti i cadaveri a disposizione sul “mercato”. Allora, il sig. Hunter fece ricorso a delinquenti affinché gli fornissero corpi trovati per le strade di Londra.

Col tempo, però, la fama di Hunter di famoso studioso del corpo umano, face si che, donare il proprio corpo per scopi scientifici, divenisse una vera e propria moda soprattutto nei ceti alti della società borghese ed aristocratica inglese.

Divenne Surgeon Extraordinary, cioè “chirurgo particolare” di re Giorgio III. Curò artisti come Thomas Gainsborough, sir Joshua Reynolds ed anche Lord Byron.

Molti suoi pazienti lo temevano proprio per la sua passione di collezionare reperti anatomici.

Le stranezze ed i misteri che legano l’uomo al macabro ed al mistero legato al trapasso, sono tanti. E’ singolare, però, come non sia quasi mai la vita a stimolare la curiosità per l’ignoto tranne che non sia il semplice pettegolezzo, la calunnia e la diffamazione.

Le leggende metropolitane che riguardano i vivi, sono poche e vengono quasi sempre smentite dai fatti e dalla realtà. Intorno a quelle legate, invece, alla morte, l’ostacolo della resistenza risulta più coriaceo, il mito sopravvive in ogni tempo. Ci “dedichiamo” con più passione e serietà al fascino dell’oltretomba, all’ammirazione assorta di una cistifellea conservata nella formalina, piuttosto che rimanere affascinati dalla forza esemplare e dal significato profondo, per esempio, di un grande gesto di solidarietà.

Con la morte no, l’enfasi è facile ed a portata di mano.

Pensiamo alla scoperta della tomba egizia del Faraone Tutankhamon del 1922. Si dice che abbia procurato la morte di 22 persone legate al suo ritrovamento a causa, sembra, di un fungo tossico presente nella camera in cui era conservata la mummia: l’aspergillus.

Oppure, ultimamente, a proposito della mummia di Oetzi, è venuto a mancare l’archeologo molecolare Tom Loy di 63 anni che aveva appena finito di scrivere un libro appunto su Similaun meglio conosciuta appunto con il nome di Oetzi.

Su questa mummia graverebbe una maledizione, ed il sig. Tom Loy non sarebbe che la settima vittima. Prima di lui, Rainer Henn, 64 anni morto in un incidente stradale; Kurt Fritz, 52 anni guida alpina finito giù in un crepaccio; R. Hoelzl, 47 anni morto di tumore; H. Simon che scoprì Oetzi, in un tempesta di neve; K. Spindler, 55 anni archeologo, di sclerosi multipla; D. Warnecke, 45 anni, di infarto.

La mummia di Oetzi gode di questa lugubre fama, di essere adirata contro tutti quelli che hanno avuto a che fare con la sua scoperta ed allora, conseguentemente, la sua maledizione si sarebbe abbattuta implacabile su quanto osarono violare il suo riposo lungo ormai 5 mila anni.

Tutto ciò, dimenticando che la gente muore con il passare del tempo e che queste mummie vedranno, ancora e sempre in maniera imperitura, morire milioni di altre persone.

Ma il bisogno che l’essere umano ha di attribuire questo potere, per quanto orripilante e spaventoso, a delle mummie, dimostra quanto sia più forte della logica e del buon senso.

Si è disposti più facilmente a credere che una statua pianga piuttosto che rida. Non si è mai gridato al miracolo, per esempio, osservando una statuetta che, all’improvviso da seria è diventata sorridente davanti agli occhi di decine di testimoni. Ciò perchè, l’aspetto negativo del prodigio incuriosisce (ed è anche più semplice da simulare?). Ci si chiede subito: «che vorrà dire? Non è un buon segno, qualcosa di brutto certamente accadrà, mamma mia». Il tono è così greve e rassegnato che sembra quasi stranamente compiaciuto. Manca solo aggiungere “che bellezza”!

Pur vero è che, si dirà, di questi tempi, una statuetta non avrebbe proprio niente da stare allegra e, quindi perché dovrebbe ridere? Ma cosa diremmo al cospetto di un tale episodio miracoloso? «ma perché ride? Cosa c’è da ridere»?

E’ nel pessimismo che, masochisticamente parlando, è presente il “sale” della curiosità dell’essere umano. In questo sembra pascere.

Attuare una inversione di tendenza, orientandoci verso un approccio positivo e più ottimistico della vita e dei suoi significati, non aiuterebbe a vivere meglio e a relazionarci con buona volontà e spirito costruttivo con i fatti di ogni giorno?

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