Elementi soggettivi
La condotta del medico può essere colposa inadempiente per imprudenza, imperizia e negligenza (colpa generica) oppure quando non ottempera alle leggi, regolamenti, ordini o discipline (colpa specifica).
Per quanto riguarda gli elementi soggettivi che fanno capo alla responsabilità del medico, dolo,e colpa (lieve e grave), possiamo subito anticipare che per configurarsi dolo, nella condotta del medico, si dovrebbe ravvisare la volontà, da parte sua di procurare un danno al paziente.
La condotta del medico può essere colposa inadempiente per imprudenza, imperizia e negligenza (colpa generica) oppure quando non ottempera alle leggi, regolamenti, ordini o discipline (colpa specifica).
Questi canoni di prudenza e diligenza, sono in realtà frutto dell’esperienza nell’esercizio professionale dell’arte medica. Sono giudizi che debbono essere valutati in relazione alla attività concretamente svolta senza dunque la possibilità di precostituire decaloghi di comportamento.
La Suprema Corte di Cassazione civile, sez. III, 10 maggio 2000, n. 5945 ha detto che i concetti di diligenza e di prudenza cui sono obbligati i medici devono valutarsi ai sensi del secondo comma dell’art. 1176 c.c.: «omissis…Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata».
Porre in essere atteggiamenti, manovre, procedure, che secondo la migliore letteratura, vengono definite rischiose e pericolose per la salute del paziente, rientrano nell’alea dell’imprudenza (Cass. Pen., sez. IV, 11 gennaio 1995, n. 4385).
Si parla di colpa lieve, in tutti i casi in cui c’è negligenza. Quando il professionista non si sia preparato abbastanza per affrontare con la dovuta attenzione e perizia, il caso concreto, per non essere stato mediamente diligente nella pratica e nel bagaglio professionale (Cass. Civ., sez. III, 12 agosto 1995, n. 8845).
L’imperizia si configura nella mancanza di conoscenze scientifiche, adeguati aggiornamenti della tecnica e della dottrina, nella mancanza di conoscenze specifiche e necessarie all’esercizio della professione. In questi casi viene applicato l’art. 2236 c.c.: Responsabilità del prestatore d’opera: «Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave».
La Suprema Corte di Cassazione, n. 8845 citata, precisa: «La responsabilità del professionista per danni causati nell’esercizio della sua attività postula la violazione dei doveri inerenti al suo svolgimento, tra i quali quello della diligenza che va a sua volta valutato con riguardo alla natura dell’attività e che in rapporto alla professione di medico-chirurgo implica scrupolosa attenzione ed adeguata preparazione professionale. Ne consegue che il professionista risponde per colpa lieve quando per omissione di diligenza ed inadeguata preparazione provochi un danno nell’esecuzione di un intervento operatorio o di una terapia medica, mentre risponde solo se versa in colpa grave quante volte il caso affidatogli sia di particolare complessità o perché non ancora sperimentato o studiato a sufficienza, o perché non ancora dibattuto con riferimento ai metodi terapeutici da seguire»;
Cass. Civ., sez. III, 18 novembre 1997, n. 11440 : «Il medico chirurgo chiamato a risolvere il caso di particolare complessità, il quale cagioni un danno a causa della propria imperizia, è responsabile solo se versa in dolo o in colpa grave, ai sensi dell’art. 2236 c.c. Tale limitazione di responsabilità invece, anche nel caso di interventi particolarmente difficili, non sussiste con riferimento ai danni causati per negligenza o imprudenza, dei quali il medico risponde in ogni caso»;
Cass. Civ., sez. III, 10 maggio 2000, n. 5945: «Le limitazione delle responsabilità professionale del medico ai soli casi di dolo o colpa grave a norma dell’art. 2236 c.c. si applica nelle sole ipotesi che presentino problemi tecnici di particolare difficoltà (perché trascendono la preparazione media o perché non sono stati ancora studiati a sufficienza, ovvero dibattuti con riguardo ai metodi da adottare) e, in ogni caso, tale limitazione di responsabilità attiene esclusivamente all’imperizia, non all’imprudenza e alla negligenza, con la conseguenza che risponde anche per colpa lieve il professionista che, nell’esecuzione di un intervento o di una terapia medica, provochi un danno per omissione di diligenza ed inadeguata preparazione; la sussistenza della negligenza va valutata in relazione alla specifica diligenza richiesta al debitore qualificato dall’art. 1176 comma secondo c.c. ed il relativo accertamento compete al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato».
Acquista importanza il valore del “problema tecnico” di fronte al quale il medico si è trovato che viene chiamato in causa nell’ora dell’insuccesso ed a cui si attribuisce la colpa di quanto avvenuto esimendolo da responsabilità per la sua condotta. In realtà, è vero che un problema tecnico possa inficiare il buon esito di un intervento terapeutico quando non cagioni addirittura un danno irreversibile. Si pensi, per esempio, ai problemi tecnici dovuti ad una sintomatologia difficile da diagnosticare determinando errori di diagnosi e terapia, incertezze gravi sulla sua eziologia , in presenza di casi eccezionali ed essere privo di alcunsupporto bibliografico.
Cass. Civ., sez. III, 7 maggio 1988, n. 3389: «Integrano l’astratta previsione normativa i casi che, per essere stati oggetto nella stessa letteratura medica di dibattiti e studi dagli esiti tra loro opposti, per la novità della loro emersione, ovvero per essere caratterizzati dalla straordinarietà e particolare eccezionalità del loro manifestarsi, non possono considerarsi compresi nel doveroso patrimonio culturale, professionale e tecnico del professionista, avuto riguardo, anche in questo caso, alle peculiarità del settore ove svolge la sua attività e ad uno standard medico di riferimento».