L’onere delle prova
Per il risarcimento del danno a causa di un intervento medico, bisogna integrare il dettato dell’art. 2697 del c.c.
Se dal rapporto poco fortunato tra paziente e medico perché siamo vittima di un peggioramento dovuto alla sua azione e ne scaturisce un contenzioso, allora il nostro avvocato ci chiederà di fornire le prove della pretesa risarcitoria dei danni da portare davanti ad un giudice infatti l’art. 2697 del c.c. recita: «Chi vuol far valere un diritto in giudizio, deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda».
Nel caso però di responsabilità del medico, la norma appena citata non è sufficiente, bisogna ricorrere a norme specifiche. Quando la prestazione è opera di un professionista bisogna stare attenti alle differenze di fatto tra obbligazione di mezzi ed obbligazioni di risultato. A seconda, infatti del tipo di obbligazione dovremo ricorrere ad un regime probatorio differente.
Anche se controversa, l’ipotesi di obbligazione di risultato da parte del chirurgo, si pensi al chirurgo estetico, quando questi non sia stato in grado di raggiungere il risultato voluto, per esempio, procurando un peggioramento nell’aspetto, su di lui graverà l’onere della prova. Cioè, per vedersi scagionato dall’accusa, dovrà dimostrare che quel risultato è “stato determinato da impossibilità della prestazione a lui non imputabile” (art. 1218 c.c.).
Quando invece ci troviamo a citare il medico nell’alea della obbligazione di mezzi e cioè una attività professionale che non promette il raggiungimento di un determinato risultato, allora l’onere della prova sarà a carico della vittima perché, ai sensi dell’art. 1176 cc., egli dovrà dimostrare che il medico è inadempiente perché negligente in quanto la sua prestazione è stata inadeguata o difettosa. A queste accuse il medico, per difendersi, dovrà confutare la tesi accusatoria dimostrando che la prestazione da lui eseguita invece, è stata correttamente eseguita e dovrà dimostrare che l’evento dannoso deriva da altra causa a lui non imputabile.
Nel caso di interventi di facile esecuzione, interventi che chiameremo di routine, il medico procuri un danno al paziente, la pretesa risarcitoria del danneggiato si baserà su un onere probatorio fondato esclusivamente sulla prova che quell’intervento era di facile esecuzione «…che per effetto dell’intervento del professionista ha subito un peggioramento delle condizioni anteriori (Cass. Civ., sez. III, 16 novembre 1993, n. 11287)».
La Cassazione. Civ., sez. III, 16 febbraio 2001, n. 2335 dispone: «In tema di responsabilità del medico chirurgo, nel caso di prestazione “routinaria”, incombe sul paziente l’onere di provare che l’intervento era di facile o “routinaria” esecuzione mentre al professionista spetta provare, al fine di andare esente da responsabilità, che l’insuccesso dell’operazione non è dipeso da un difetto di diligenza propria».
La risposta difensiva del professionista sarà volta a «fornire la dimostrazione che l’esito negativo dell’intervento è stato dovuto ad una causa alternativa del tutto estranea alla propria sfera di controllo e rivelatrice della sopravvenuta impossibilità della prestazione (Trib. Roma, sez. II, 26 aprile 2002, n. 18083).
Nella ipotesi di un intervento particolarmente difficile e complicato che come dice la Cass. Civ., sez. III, 21 dicembre 1978, n. 6141 «omissis…di difficile esecuzione perché richiede una notevole abilità ed implica un ampio margine di rischio», se il medico riuscirà a dimostrare l’oggettiva difficoltà e complessità della prestazione, sarà esente da responsabilità. Perché in questo modo avrà reso vani i tentativi dell’attore con i quali questi intendeva provare la sua colpa grave a conseguente ad imprudenza o imperizia.