Si sa quel che si può

I mass media si pongono al centro dei rapporti tra la struttura sociale, i sistemi di potere ed i modelli di valore. La Corte Costituzionale è intervenuta per ben due volte nella regolamentazione del regime radio televisivo. Una prima volta con la sentenza n. 226 del 74 ed una seconda con la n. 202 del 76, che, smentendo la precedente, liberava definitivamente l’etere aprendo il mercato ad altre opportunità

L’importanza cruciale dei media impone una competizione perenne e senza esclusione di colpi tra concorrenti. Le motivazioni sono, a questo punto, facili da dedurre: interessi in ballo stratosferici. L’occasione per riparlarne è data da un provvedimento del Consiglio di Stato mosso da un ricorso della emittente Europa 7 sporto nel 1999. Europa 7, già dal 1999, avrebbe diritto ad una frequenza in base alla concessione ottenuta dalla legge Maccanico. Purtroppo, dal 1999, le frequenze a disposizione sono occupate da reti eccedenti i limiti della concentrazione del tetto antitrust stabilito in un massimo di due reti per soggetto privato.

Il Consiglio di Stato si è rivolto alla Corte di Giustizia Europea chiedendole di verificare se le leggi italiane siano in violazione del diritto comunitario ed in tal caso, ribadire la preminenza di quelle europee. Al Tribunale di Lussemburgo, il Consiglio di Stato ha posto dei quesiti di legittimità: se cioè ci siano state violazioni del pluralismo, della conoscenza, di discriminazioni nei riguardi di Europa 7, di infrazioni delle leggi antitrust, della disciplina comunitaria, del sistema SIC (Sistema Integrato delle Comunicazioni) che prevede il limite del 20% delle risorse pubblicitarie, sino alla legittimità della stessa legge Gasparri.

La storia delle Comunicazioni di massa ci riguarda sempre di più e da vicino. I mass media si pongono al centro dei rapporti tra la struttura sociale, i sistemi di potere ed i modelli di valore. Impone ciò che Halloran chiama “L’enciclopedia” di conoscenze, attitudini e competenze. Se ciò è vero, allora ogni impulso diviene oggetto di studio ed anche di diffidenza sia per gli studiosi, sia per i fruitori. Dovrebbero ormai essere lontani i tempi, tra e due guerre mondiali, in cui la masse venivano manipolate dalla propaganda mediatica “ipodermica”. La massa di quei tempi era composta da individui isolati ciascuno nella propria individualità incapaci di trasmettere e relazionarsi tra loro. Ciò facilitava la manipolazione la quale inoculava qualsiasi tendenza imponendosi su un target passivo ed inerte. Nel dopoguerra, in Italia vigeva un sistema di monopolio televisivo avallato, peraltro anche dalla Corte Costituzionale. Lo stato di fatto di monopolio televisivo, per giunta, era motivato da obiettivi problemi di economicità: nessuno era in grado di investire in tecnologie tanto costose. Negli anni settanta, la massa fruitrice percepiva un altro angolo di visuale della realtà, che dava credito «all’enfasi attribuita dai mass media agli eventi, ai problemi, alle persone (Shaw)» illudendosi di essere partecipe del processo critico. Quelli erano gli anni in cui la Corte Costituzionale interviene per ben due volte nella regolamentazione del regime radio televisivo. Una prima volta con la sentenza n. 226 del 74 con la quale riteneva illegittimo il regime di monopolio televisivo da parte della Rai ed un’altra, la n. 202 del 76, che, smentendo la precedente, liberava definitivamente l’etere aprendo il mercato ad altre opportunità ed imprese di comunicazione secondo il dettato costituzionale dell’art. 21. Stando ai costi, però, a resistere sul mercato, era sempre e comunque il duopolio Rai – Fininvest. Tale stato di fatto venne avallato in Italia dalla legge Mammì la n. 223/90 con la disciplina del sistema delle frequenze TV. L’intenzione era di abolire il monopolio pubblico, e cercare di regolare con più equilibrio il duopolio di fatto Rai – Fininvest detentore del 73% di tutte le risorse economiche del settore delle comunicazioni, il 55,2% della pubblicità lasciando alla stampa solo il 32,8% di questa. Nel 1997, il disegno di legge Maccanico provò a disciplinare le concessioni TV e fu così che l’emittente Europa 7 ottenne la concessione a trasmettere.

Negli anni 70, dicevamo, i media si facevano carico di compilare, per le masse, quella che gli studiosi di comunicazione chiamano “agenda-setting”, cioè il decalogo giornaliero delle notizie intorno alle quali sarebbe stato sconveniente non crearsi una opinione. L’azione dei media redigeva, così, l’ordine del giorno dei temi, degli argomenti, dei problemi “vestiti a notizia” proponendone anche la qualificazione gerarchica in ordine di priorità ed importanza. Da qui la strada del coinvolgimento dei destinatari della comunicazione è segnata in maniera considerevole dall’opinione che diventa pubblica, soprattutto dalla opinione che diviene dominante. Il superamento della teoria ipodermica sta proprio nel cambiamento dei rapporti tra i soggetti della massa non nei risultati e negli intenti. Ogni persona diventando parte dell’ambiente dell’altra persona, diveniva elemento importante di scelta anche per quest’ultima. L’individuo usciva pian piano dall’isolamento e dalla disistima che aveva di sé stesso. Fare parte della schiera di opinione della maggioranza degli individui, significava avere conforto e coraggio, proporsi e parlare, sostenere con orgoglio la propria convinzione che poi era quella dei più. Il target, però, tende a stancarsi, ad abbassare la guardia e quando attribuisce al mezzo la funzione di socializzazione allora la realtà “vera” non corrisponde più con quella che è e diviene ma con quella che viene proposta. La televisione infatti provoca dipendenza in questo senso. Chi è un forte fruitore di televisione, per esempio lo spettatore affezionato di fiction, finisce per osservare un mondo che differisce dal mondo reale e dai suoi normali trends. La realtà coincide invece con la rappresentazione televisiva di questa.

Avere una visione distorta della realtà è pericoloso oltre che poco proficuo per lo spettatore, non ci guadagna in visione critica né si abitua a riconoscere il messaggio fasullo, omesso oppure ostentato. L’opinione della realtà, dei fatti di ogni giorno, della significazione che di questi la massa si crea, è fallace così come fallace è la conseguenza dell’analisi.

Ma dagli anni 70 ad oggi, è veramente cambiato qualcosa nell’uso dei mass media? Non sembrerebbe. L’agenda-setting vige ancora in una maniacale e specializzata formulazione che tiene conto delle più sofisticate tecniche di comunicazione e propaganda cui sia possibile ricorrere. Si sa ciò che si deve sapere e ciò che non è opportuno si sappia in un gioco di omissioni e commissioni sottile e diabolico.

La storia delle comunicazioni, tutto sommato, mostra che modelli errati proposti nell’arco degli anni si ripropongono nel tempo man mano che diventano resistenti alle contromisure della politica e della autodeterminazione delle masse fruitici. In fondo, arrendersi, significa correre il rischio di perdere la connessione con la vita e le sue logiche manifestazioni, significa non saper riconoscere il sacro ed il profano, significa, in fin dei conti, ignorare l’orientamento naturale dell’umanità stessa. In tutto ciò, come appare ovvio, non trova spazio né l’etica né la morale dalle quali sembra essere lecito prescindere quando si tratta di comunicazione.

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