A Napoli, parole il ministro Pisanu, è la malavita a dare «pane e companatico». Una riflessione di un napoletano “offeso”.
Per individuare bene ciò che sta alla base del problema camorra a Napoli, è necessario conoscere l’animo partenopeo. Non è una impresa da poco. Una perversa pubblicità negativa ai danni del sud, ha finito col manipolare la realtà. Conoscere l’animo del napoletano significa sapere che egli è riconoscente con chi gli ha offerto una mano, con chi, con lui, si è mostrato generoso. Considera l’irriconoscenza un reato morale, quasi degno di sanzione. Il napoletano di borgata, poi, miserabile ed abbandonato nei quartieri meno abbienti, nelle case degradate ed umide, eternamente disoccupato e malato, a chi gli dà una mano concreta, lavoro, soldi, fosse anche solo la speranza di una attività che possa consentirgli di “campare la famiglia”, è riconoscente e basta. Non si chiede, perché non gli interessa, chi sei, se hai ammazzato oppure se ti occupi di attività illecite. Non sono fatti suoi. L’atto dell’aiuto, della mano tesa risolutiva, quasi sempre gratuito, non è compatibile con il latrocinio e la delinquenza, non collima con la liberalità e la donazione.
Francamente risulta difficile per chiunque concepire un assassino che ti soccorre con la sua generosità. Perché porsi il problema? Il beneficiato non lotterà mai contro qualcuno che gli ha prestato soccorso gratuito. E, lo si creda oppure no, è proprio così che avviene. Preferisce ignorare. Il ministro dell’Interno, Pisanu, in occasione delle ultime faide ed assassini commessi dalla camorra a Napoli e provincia, sembra aver afferrato il senso di questa posizione quando ha affermato: « A Napoli è la camorra a dare pane e companatico». Nel soccorso che questa gente presta ai meno abbienti, è da riscontrare l’arma vera della camorra. A prescindere, ovviamente, da quelli che lavorano per l’organizzazione per la quale sono ingaggiati a commettere reati e quindi delinquenti essi stessi, il camorrista di quartiere è propenso a fare del…bene alla gente che stenta. Offre lavoro presso aziende, bar, piccole fabbriche, aiuta qualcuno a pagare le bollette, sta a sentire le doglianze ed i problemi della gente. Quasi sempre non chiede in cambio niente. Bisogna sfatare la storiella che in cambio ti chiederà di portare il cotale pacchetto in un determinato posto. Non è più così da moltissimi anni perché la criminalità si aggiorna e riconverte i suoi sistemi criminali continuamente. Ecco perché quando i carabinieri arrestano questi delinquenti, quasi sempre sono protetti da una masnada di donne inferocite. E sono sempre e solo le donne che si ribellano perché esse rappresentano l’aspetto più “familiare” e meno violento della protesta. Sono mamme ed i loro seni gonfi di latte ricordano ai questurini l’affetto di “mammà”. Sono donne perché, il fatto stesso di esserlo qualifica e omologa la protesta sotto i canoni della liceità. Esse, confuse da ciò che si deve o che non si deve fare, da ciò che è morale da ciò che non lo è, urlano denunciando un abuso, quasi si stesse per porre in essere una ingiustizia. Molte di queste donne non hanno niente a che fare con i criminali, mai commetterebbero reati, mai le sono state fatte richieste in tal senso, eppure sono disposte a difenderli se hanno fatto loro del… bene.
Il napoletano, il migliore, il mediocre, il pessimo, nella generalità dei casi, non è serpe. E’ fuori dalla sua stessa natura l’irriconoscenza e questo giustifica la sua proverbiale solidarietà che caratterizza i quartieri e i pianerottoli delle case dei napoletani. Conosco famiglie del secondo piano che crescono i figli di quella del primo perché economicamente indigenti. Nonni che badano ai bambini di tutti gli altri o che fanno la spesa alla signora anziana e sola dell’ultimo piano. La Signora Margherita che fa le iniezioni a tutti i malati nel quartiere per poche lire (un infermiere costerebbe troppo) e ti compra il pane o il latte se sei impedito a letto. Questa è una realtà sensibile, certo non quella della Napoli bene. Una realtà esposta ad ogni tipo di strumentalizzazione ovunque ci sia il bisogno di soldi, di lavoro, di sopravvivenza. La necessità contingente, l’atavico e secolare adattamento all’indigenza ed al sacrificio è l’alito cattivo di questa gente, è l’abito che li veste di vergogna. Il pane di chi sente sempre freddo ed ha sempre fame.