Un lungo viaggio da Alessandria a Melbourne

PROTAGONISTI

Italianissimi nella terra dei Faraoni

di Germano Spagnolo

Per oltre un secolo, quattro generazioni hanno tenuto alto il nome del nostro Paese e della lingua di Dante, generando civiltà e progresso.

MELBOURNE
Quando parliamo di emigrazione italiana in Australia, Canada, Stati Uniti e America Latina, non possiamo non pensare ai consistenti flussi migratori partiti dalle regioni italiane che nel dopoguerra erano sovrappopolate, e dove la mancanza di lavoro creava condizioni di difficile sopravvivenza. Ma chi è arrivato in questi lontani continenti negli anni Cinquanta, si è accorto che c’era un’altra «regione», un’altra nazione che «esportava» all’estero decine di migliaia di italiani: era l’Egitto.
Vivendo fianco a fianco con questi connazionali, abbiamo notato che il loro italiano era perfetto, colto, elaborato e senza inflessioni dialettali. La meraviglia cresceva quando si veniva a sapere che erano italiani nati in Egitto, figli di genitori nati anch’essi in Egitto nei primi decenni del Novecento; e, forse, anche i nonni erano nati all’ombra delle piramidi nella seconda metà dell’Ottocento.
Perché questa lunghissima storia di italianità intatta, e perché l’esodo dall’Egitto verso i Paesi della grande migrazione? Le risposte ci aiutano a capire e stimare una collettività che è ancora ricca di fermenti culturali e di una straordinaria vitalità di professioni diverse nel campo dell’industria e del commercio.

Da Suez al Chilometro d’Oro

I lavori per la realizzazione del Canale di Suez, inaugurato nel 1869, avevano aperto immense prospettive di benessere economico. L’Egitto, a partire dalla seconda metà del XIX secolo, era un grande cantiere. Era il periodo in cui si registrava anche la corsa all’oro verso la California, e in misura minore verso l’Australia. Tra il 1898 e il 1912 gli inglesi realizzarono la prima diga di Assuan. Furono progettati il nuovo porto di Alessandria, i ponti in ferro, il sistema di chiuse lungo il Nilo, la ferrovia Alessandria-Cairo. In Egitto arrivavano architetti e ingegneri, operai e manovali da ogni regione italiana. Nel 1882 erano 18 mila, nel 1907 erano 35 mila, nel 1927 erano 52 mila, e salirono fino a raggiungere quota 70 mila.
Veramente si poteva parlare dell’Altra Italia (termine che oggi va di moda assieme ad un nuovo lessico che ha sfornato le espressioni «Gli Italiani che vivono il mondo», «Italia chiama Italia»), basti pensare che tra la seconda metà dell’Ottocento e l’ultimo conflitto mondiale, tra Alessandria e Il Cairo furono fondate circa una trentina di giornali e riviste in lingua italiana. Le prime Società Dante Alighieri (dopo la fondazione a Roma nel 1889), portano i nomi di Alessandria d’Egitto (1896), Il Cairo (1896) e Suez (1898). Coincidenza felice e significativa: anche la Dante di Melbourne venne fondata nel 1896.
Se vogliamo dei nomi illustri per ricordare quel periodo, citiamo Giuseppe Ungaretti, premio Nobel per la Letteratura, e Tommaso Marinetti fondatore del movimento Futurista, entrambi nati in Egitto; e cui si può aggiungere la grande attrice Anna Magnani che è vissuta in Egitto per tutta la sua infanzia; e un numero interminabile di musicisti, cantanti, direttori d’orchestra, ingegneri, architetti e pittori.
All’inizio degli anni Cinquanta si intravedevano tempi duri per gli stranieri, e gli italiani iniziarono a fare le valigie. L’Australia era uno dei Paesi di maggiore attrazione, e molti decisero di sceglierlo per una vita migliore. Come descrivere la terra che lasciavano? Quasi parafrasando il classico Addio monti sorgenti dalle acque di manzoniana memoria, potremmo citare Daniel Fishman che nel suo libro Il chilometro d’oro. Il mondo perduto degli italiani d’Egitto scrive: «In quale posto si possono trovare musulmani, copti, turchi, cattolici, ciprioti, italiani, inglesi, ebrei, francesi, marocchini, maltesi, polacchi, circassi, ortodossi, rumeni, russi, sudanesi? In Egitto, nella prima metà del secolo scorso. Una situazione oggi utopica, di pacifica convivenza tra razze, etnie, religioni differenti è quella del cosiddetto “Chilometro d’Oro”: una striscia di terra nella capitale egiziana… una sorta di laboratorio ante litteram di una società multiculturale. L’idillio si infrange nel 1956, allo scoppio della guerra di Suez, quando tutti gli stranieri del Cairo, “come semi di cocomero”, verranno sputati da Nasser fuori dal Paese in cui vivevano».

Giuseppe Carbonaro

Quando si dà un nome, un’identità agli italiani arrivati in America o in Australia, si usa spesso l’espressione italo-americani o italo-australiani. Ma non si è mai letto o sentito dire italo-egiziani. L’unica denominazione corrente ed esatta è quella di «Italiani d’Egitto». Giuseppe Carbonaro accentua il termine dicendo Italianissimi.
Personaggio policromo e polivalente, Giuseppe Carbonaro è arrivato in Australia da Alessandria nel 1956, in viaggio di nozze, e da allora risiede a Melbourne. Il suo curriculum è denso di progetti, iniziative, impegni, compiti assunti e realizzati con la massima dedizione. Un uomo per la comunità: questo è il suo distintivo. Ha iniziato nel 1957 con la creazione di un gruppo di assistenza ai connazionali della zona di South Melbourne, Albert Park e Middle Park.
Dal 1958 in poi, si concentra sulle attività della parrocchia del Sacro Cuore di Oakleigh in collaborazione con i padri Salesiani. Nel 1961 inizia a promuovere i raduni annuali degli ex allievi salesiani d’Egitto presso il Centro Don Bosco di Brunswick. È qui che la comunità degli italiani d’Egitto trova momenti di socializzazione e di aiuto reciproco. Con il passare degli anni diventa segretario e animatore di club, associazioni culturali, circoli, comitati di beneficenza per ospedali e villaggi per anziani, centri d’insegnamento dell’italiano e di assistenza ai pensionati. Riceve le onorificenze di Giudice di Pace, Magistrato Onorario, Order Australian Medal, Cavaliere della Repubblica Italiana.
Non dimentica l’Egitto, e quando ne parla ha, nel tono della voce, quelle inflessioni emotive che tradiscono una nostalgia profonda. Sono radici antiche, le sue, che affondano nel secolo scorso con l’emigrazione del nonno dalla nativa Genova. Il padre era nato ad Alessandria nel 1910. Lì si era sposato con una giovane italiana che veniva da Tunisi. Giuseppe è uno dei 1.200 alunni che frequentano il Collegio dei Salesiani che avrà l’onore di avere la prima chiesa al mondo dedicata a San Giovanni Bosco. Durante un viaggio di ritorno, ha potuto ammirare la famosa Bibliotheca Alexandrina (sottolinea che la dicitura è scritta a lettere giganti in latino e non in arabo), biblioteca del Mondo Mediterraneo con 5 milioni di libri, progetto comune dell’Unesco e dell’Egitto.

Gente comune dal cuore generoso

Antonio Gaja ha una storia di italianità che si addentra ancora più a fondo nel tempo. Si parte dal bisnonno che emigrò dal Piemonte verso la metà dell’Ottocento. Erano i tempi di Garibaldi, Mazzini e Cavour. Il nonno nacque nel 1864 a Porto Said; il padre nel 1899, e Antonio ha vissuto tutta la vita tra Porto Said e Alessandria. Nel 1960 è rientrato in Italia, ospitato in un campo profughi di Messina e, poi, in provincia di Arezzo, ma ha scelto di venire in Australia nel 1961. Tony, ancora oggi, benché sia un agiato pensionato, trova lavoro come «correttore di bozze» di un giornale italiano.
Il mare è stato galeotto per tanti italiani di qua e di là dell’Adriatico e del Mediterraneo. La madre di Salvatore Salib era di Spalato, in Dalmazia; di cognome faceva Catalinich. Il padre era egiziano; i nonni materni maltesi. Salvatore si è sposato al Cairo con una ragazza di famiglia italiana (Castellano), e l’unica lingua che si è sempre parlata in famiglia è stata, ed è tuttora, l’italiano.
I genitori di Maria Darmenia erano di Zara (la madre) e di Malta. Si sono conosciuti e sposati in Egitto. L’italiano era la lingua di famiglia, nonostante i ragazzi apprendessero anche il greco, il francese e l’inglese. Un numero notevole di emigrati in Egitto, tra la Prima e la Seconda guerra mondiale, provenivano da Istria, Slovenia e Dalmazia, dove si parlava italiano, e che erano ancora terre italiane. Di recente a Nova Gorica, in Slovenia, è stato inaugurato il Museo dedicato alla memoria di quelle 50 mila persone – in maggior parte donne – che alla fine della Prima guerra mondiale lasciarono quella regione per recarsi in Egitto alla ricerca di un lavoro e di migliori condizioni di vita. All’inaugurazione erano presenti alcune italiane superstiti. Molte erano balie e addette a lavori di servizio.
Questi dettagli della vita di gente comune sono rappresentativi di decine di migliaia di racconti simili che costituiscono un capitolo di storia interessante dell’Altra Italia e della lingua italiana, «non per vantarci, per crederci migliori di altri – scrive Giovanni Giudice, vicepresidente dell’Associazione Italiani d’Egitto onlus, nel bollettino Il Nuovo Papiro del mese di aprile 2007 – ma per conservare la nostra identità in un mondo sempre più cosmopolita».

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