Conosci il tuo Museo si dedicherà ancora una volta al Museo Diocesano Francesco Gonzaga, che nella sua ricchezza di risorse e di iniziative, offre sempre nuove interessanti proposte per gli appassionati d’arte. Abbiamo già parlato del rinnovamento recente delle sale e dei percorsi di visita di questo Museo, sito a Mantova in Piazza Virgiliana, che, per chi ancora non lo conosce, è senz’altro sotto molti punti di vista una vera rivelazione. Oggi però intendo approfondire (e probabilmente non riuscirò a terminare gli argomenti nella sola puntata di oggi) tre nuovi motivi di visita a questo Museo, perché si trova coinvolto, in qualche modo, in ben tre mostre attualmente aperte e importanti per Mantova, la mostra dedicata a Matilde di Canossa (Casa del Mantegna), quella sul Cammeo Gonzaga e le Arti preziose alla corte di Mantova (Palazzo Te) e quella dedicata ad Andrea Mantegna (Louvre). Ciò significa che sia per la presenza di preziose opere permanentemente ospitate nel Museo Diocesano, sia per opere prestate e temporaneamente visibili vale la pena di farvi un’ulteriore incursione. Conosci il tuo Museo di oggi intende soffermarsi solo su alcuni pezzi specifici, tralasciando, per una volta, le pur ricche e rinnovate sale del Museo. Parleremo dunque del quadro di Tiziano, la Cena in Emmaus, del bozzetto a monocromo di Giovanni Baglione (entrambi prestati dal Louvre), di una selezione di opere pittoriche riferite al santo protettore di Mantova, S. Anselmo, e dei preziosi pezzi di oreficeria sacra appartenenti a collezioni gonzaghesche e legate alla mostra sul Cammeo di Palazzo Te. Partirò proprio da queste ultime opere, concentrando l’attenzione in particolare su tre pezzi di grandissimo interesse e di raffinata fattura, provenienti dalla Basilica di Santa Barbara, eretta a partire dal 1562 con funzioni di chiesa palatina per la residenza di palazzo ducale, e dotata dai Gonzaga di splendidi corredi liturgici fortunatamente ancora visibili. In specifico comincerò da una descrizione del Reliquiario della Santa Croce, in Argento dorato fuso e cesellato, arricchito da smalti, cristallo di rocca e gemme (topazi, cristalli, spinelli o granati). Particolarmente ricca e sontuosa in questo pezzo, che ha una base a sezione triangolare fornita di zampe artigliate e poggianti sui tre blocchi esagonali di cristallo di rocca, è la stauroteca, Con questo termine di stauroteca, derivato dal greco (stauròs significa croce) si definisce un reliquiario contenente frammenti che i credenti attribuiscono al legno della croce di Cristo. In questo caso la reliquia è resa visibile da un grande cristallo di rocca molato a forma di croce e si caratterizza per la ricca decorazione in argento dorato che si sviluppa lungo tutti i bordi, includendo cristalli e gemme ed elementi decorativi La reliquia principale, composta in forma di Croce, è costituita da vari frammenti di legno, commessi tra loro da sei fascette in lamina d’oro. Il reliquiario risulta eseguito su commissione di Guglielmo Gonzaga tra il 1572 e il 1573 per la basilica di Santa Barbara, destinato ad accogliere alcuni frammenti della Santa Croce pervenuti al duca per via testamentaria dalla madre Margherita Paleologa e doveva essere esposto in occasione delle feste principali, alla venerazione dei fedeli sull’altare maggiore di Santa Barbara.
Procediamo con gli altri due preziosi pezzi di oreficeria gonzaghesca che ho scelto come esemplari per la visita al Museo Diocesano e per la sezione connessa alla mostra di Palazzo Te sul Cammeo Gonzaga e le arti preziose. La seconda opera che vale la pena di segnalare è un’ Urna reliquiario degli inizi del XVII secolo, di manifattura veneziana, in ebano dipinto, quarzo, argento dorato, anch’essa proveniente dalla Basilica palatina di Santa Barbara. Il corpo è caratterizzato da pareti di quarzo
legato da listelli in ebano dipinto a fregi policromi arricchiti d’oro, intercalate da colonnette tortili binate realizzate in quarzo, in cui i capitelli corinzi sono in argento dorato. Il coperchio è a forma di sarcofago, con inserti di gemme di quarzo.
La custodia risulta commissionata per ospitare il prezioso reliquiario in oro contenente una particella del Sangue di Cristo: doveva quindi conservare in Santa Barbara le reliquie che, come i mantovani sanno, subirono alterne vicende di sottrazione e saccheggio nel corso dei secoli. Terzo ed ultimo pezzo da segnalare (tra i tanti) un
Gioiello con il monogramma del nome di Gesù, del 1562, in oro, arricchito da diamanti, rubini, opali, perle. Al centro il monogramma del nome di Gesù è sormontato da una corona. In alto si vede l’immagine di Dio Padre benedicente, ai lati le figure di un uomo e una donna e più in basso due putti, quindi due cavalli impennati e, a chiudere in fondo la composizione, un mascherone. Sul rovescio quanto resta dell’attaccaglia ne caratterizza la funzione originale come pendente: vi si distingue Mosè che spezza le Tavole della Legge alla vista degli Ebrei che danzano intorno al Vitello d’oro e in alto Mosè in atto di ricevere le Tavole della legge.
L’opera, che da alcuni è stata ritenuta riconducibile alla produzione di Benvenuto
Cellini, fu probabilmente un dono giunto alla corte in occasione del battesimo del figlio
del duca Guglielmo Gonzaga, Vincenzo, nel 1562, inviato dagli zii di quest’ultimo, Alberto V di Baviera e Anna d’Austria. Proprio in tale occasione il gioiello sarebbe stato adattato a fermaglio, forse per essere posto sulla cuffia del neonato
e quindi donato dallo stesso duca alla basilica di Santa Barbara, in occasione della
posa della prima pietra della basilica palatina.
Accennerò soltanto, in chiusura di questa puntata di Conosci il tuo Museo alle opere legate alla figura di sant’Anselmo, che il museo diocesano mette in particolare rilievo per collegarsi alla mostra su Matilde di Canossa. Anselmo infatti, sepolto nel Duomo di Mantova e patrono della città, fu per Matilde un importante consigliere spirituale e politico. E’ quindi possibile trovare nel percorso del museo dedicato a questa figura sia testimonianze scultoree della città di Mantova visibili al tempo del vescovo Anselmo, sia una selezione di opere pittoriche che presentano i volti del santo protettore di Mantova, tra le quali un bellissimo pezzo di Domenico Fetti.
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Museo Diocesano Francesco Gonzaga 2 pt.
Riprendiamo, come promesso, a trattare dei pezzi inediti che il Museo Diocesano F. Gonzaga propone in concomitanza con le rassegne espositive attualmente presenti a Mantova. In particolare oggi parlerò di due opere prestate dal museo del Louvre e, quindi, visibili al Museo solo fino al gennaio 2009. La prima opera che voglio presentare è un bozzetto a monocromo, collegabile ad una Resurrezione di Cristo, eseguita nel 1603 per la chiesa del Gesù di Roma, da Giovanni Baglione, opera purtroppo perduta. Giovanni Baglione, formatosi in epoca manierista, ebbe rapporti costanti con i Gonzaga e con Mantova. Al Museo il bozzetto del Louvre è affiancato da due tele con angeli, frammenti di una grande pala d’altare raffigurante proprio la Resurrezione, in cui l'attuale soprintendente di Mantova, Filippo Trevisani, ha riconosciuto la mano di Baglione: si suggerisce quindi l'affascinante ipotesi che i due lacerti, giunti a Mantova in circostanze ancora oscure, abbiano fatto parte della pala d'altare del Gesù di cui si sono perse le tracce. Nei due frammenti mantovani si rilevano notevoli differenze nelle pose degli angeli rispetto al bozzetto, tuttavia essi potrebbero testimoniare l'elaborazione del tema della Risurrezione di Cristo da parte del pittore. La loro collocazione al Museo di fianco al bozzetto del Louvre permette quindi all’osservatore di collegare idealmente i lacerti e il bozzetto e ricostruire la perduta pala della Resurrezione.
E arriviamo infine a descrivere la grande tela del Tiziano attualmente visibile al Museo, la Cena in Emmaus, dipinta intorno al 1534. L’opera di Tiziano è indiscutibilmente di provenienza mantovana, in quanto rientra tra i pezzi venduti nel 1627 dal duca Ferdinando Gonzaga al re d’Inghilterra, da dove poi arrivò in Francia.
La scena raffigurata è quella descritta nel vangelo di Luca. Dopo la resurrezione Cristo si accompagnò a due pellegrini durante il cammino da Gerusalemme ad Emmaus e solo durante la cena in comune si fece da loro riconoscere, nell’atto di spezzare il pane durante la cena. Nel quadro Tiziano colloca l’episodio in una taverna: il Cristo è al centro della scena, proprio nell’ atto di spezzare il pane: ai lati le figure sedute dei due discepoli e, in piedi, quelle del taverniere e di un garzone.
Ad eccezione del Cristo benedicente, tutti i personaggi hanno volti e abbigliamento contemporanei all’epoca dell’autore, il che permette di trovarsi di fronte ad una sovrapposizione temporale di presente ed eterno, di umano e divino.
Ho sottolineato che la scena in cui Tiziano colloca i personaggi è il tavolo di una taverna, attorno al quale sono seduti il Cristo, al centro, nella sua iconografia classica, e due personaggi (i discepoli) vestiti secondo il costume del tempo dell’artista. E’ interessante osservare i volti di queste due figure perché in qualche modo approfondirne le caratteristiche permette di ricondurre l’opera alla sua committenza e al periodo in cui fu realizzata. Il personaggio che commissionò il quadro a Tiziano fu, molto probabilmente, Nicola Maffei, consigliere e fidato diplomatico del duca di Mantova, Federico II. Maffei fu nobiluomo di corte, amatissimo dell’arte e collezionista e, per di più, conosceva Tiziano, per cui risulta perfettamente coerente che sia stato lui il committente e l’acquirente del dipinto. Ecco allora che risulta logico identificare il personaggio – pellegrino seduto a destra di chi guarda, con le mani giunte e l’espressione compunta, con il Maffei, tanto più che, nonostante una recente ridipintura, sul fronte dello sgabello sottostante la figura si distingue ad un esame ravvicinato lo stemma di casa Maffei. Il pellegrino sulla sinistra, dal profilo pronunciato e la folta barba, ritratto in atteggiamento di sorpresa, è stato invece identificato, per la somiglianza dei tratti somatici, con Federico Gonzaga. La sua presenza nel dipinto appare del tutto logica se si pensa all’ambiente e al periodo in cui maturò la realizzazione del quadro.
Quanto alla fama e alla fortuna resta da dire che fino alla fine del 1500 il dipinto di Tiziano restò nella casa dei discendenti del Maffei per poi passare nelle collezioni gonzaghesche, come avvenne per altre opere importanti della famiglia. Il quadro fu oggetto di ammirazione e di copie da parte di molti illustri pittori, tra cui Lorenzo Costa il Giovane e Rubens. Della fama e della fortuna del dipinto il Museo dà dimostrazione proponendo al visitatore una copia di collezione privata milanese, di una anonimo artista del Seicento, probabilmente fiammingo, che è interessante confrontare con il pezzo del Louvre. Un’altra copia dello stesso dipinto è conservata nella sacrestia della chiesa di santa Maria delle Grazie di Curtatone . La sua realizzazione va fatta risalire tra il tardo Cinquecento e il primo Seicento.
E si conclude qui, con l’invito a non perdere l’occasione di vedere i capolavori che abbiamo descritto in queste due puntate visitando di persona il Museo Diocesano, in cui il direttore Monsignor Roberto Brunelli e i suoi collaboratori sono sempre generose e disponibili guide dei tesori vecchi e nuovi che custodiscono. Il Museo è aperto attualmente, in occasione delle altre mostre mantovane (ricordiamo quella di Matilde alla Casa del Mantegna, e del Cammeo Gonzaga a Palazzo Te) dal lunedì pomeriggio alla domenica. Per orari e prenotazioni ricordiamo il numero di telefono 0376 320602.
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