Dal 6 al 9 aprile scorso è andato in scena al Teatro Tor Bella Monaca “Zio Vanja” di Anton Cechov, adattamento di Duccio Camerini, che ne firma anche la regia.
Non devono aver contato solo ragioni di compressione di un testo composto di 4 atti nella la scelta fatta da Duccio Camerini di una riproposta del dramma di Cechov “Zio Vanja” : all’evidenza, fin dall’apertura del sipario, l’opzione era quella di sfilarlo dai recessi di una contestualizzazione che poteva lasciarlo confinato a quel tempo e a quella dimensione storica, sminuendo la portata universale dei suoi contenuti. Il classico, si sa, non conosce perimetri di sorta perché il racconto attiene all’inesauribile riserva della condizione umana che sfila uguale sotto qualsiasi tempo e luogo.
L’operazione poteva quindi apparire superflua: ma così non è stato, perché va dritta al cuore dello spettatore, senza filtri recitativi di troppo (che sarebbero venuti naturali, laddove tempo e ambientazione fossero rimasti quelli originali), convincendo chiunque che si sta parlando proprio di noi e dei nostri tempi, così come non di rado ripetono gli attori, rivolgendosi, come nel teatro brechtiano, direttamente alla platea, e che i temi della precarietà delle nostre relazioni nel tempo che passa sono la sostanza delle nostre esistenze, da affrontare con gli occhi aperti della consapevolezza, scuotendoci dal sonno del benessere.
Si sente anche la lezione del teatro dell’assurdo, in quel rosario incrociato di esternazioni cui gli attori si lasciano andare spesso, in un flusso di coscienza incontrollato che vuole sottolineare una certa solitudine esistenziale, che aggredisce, fino a svuotarlo, perfino il significato stesso delle parole. Gli attori in scena (oltre allo stesso Camerini, Sandro Calabrese, Ciro Carlo Fico, Filippo Orlandi, Maria Vittoria Pellecchia e Francesca Sgheri) sono registrati tutti allo stesso diapason emotivo e questo contribuisce a rendere ancora più coerente e godibile l’allestimento, concedendosi spesso alla comicità di situazione.
Le musiche sono a cura di Alchimusika, le scene di Roberta Gentili.