Facebook, internet e social networking in ufficio, roba da fannulloni?

di Carlo Mochi Sismondi

Un articolo interessante di Vittorio Zambardino su Repubblica raccontava che qualche azienda e pubblica amministrazione italiana e straniera ha deciso di impedire ai propri dipendenti di usare Facebook in ufficio e ha anche chiuso o limitato molto l’accesso agli altri strumenti di social networking e, in alcuni casi, anche la libera navigazione su Internet. Motivo: distrae i dipendenti dal lavoro.
In questi giorni di discussioni sulle regole di base del comportamento nel pubblico impiego mi sembra un tema interessante.

Dopo i tornelli fisici che obbligano i dipendenti pubblici ad essere fisicamente in ufficio, sono necessari i tornelli “virtuali” che ne blocchino le uscite in Internet verso relazioni sociali extralavoro o, più banalmente, verso l’opportunità di organizzarsi il prossimo weekend online? Qual è la situazione oggi nelle amministrazioni? Ci sono regole chiare? Chi controlla e come?

Su Saperi PA trovi tutti gli approfondimenti in tema di privacy e lavoro pubblicoLa materia è abbastanza controversa e ha dato luogo a numerosi pronunciamenti sia della magistratura che del Garante per la protezione dei dati personali.

In sintesi le cose stanno così:

La magistratura ha preso posizioni diverse: ha dato spesso ragione ai datori di lavoro che avevano sanzionato dipendenti che usavano mezzi dell’ufficio per attività, diciamo così, non inerenti; ma nel frattempo ha anche sanzionato, a volte, come invasivi i comportamenti dei datori di lavoro che usavano i server aziendali per scoprire su quali siti avessero navigato i dipendenti o con chi avessero chattato o scambiato e-mail. Insomma non si può fare ma non si può neanche controllare (la solita nebbia).
Il Garante con una delibera (la n.13 del 1 marzo 2007) ha definito abbastanza chiaramente le regole o almeno i principi guida. Leggetevela, ma in estrema sintesi dice che il datore di lavoro, sia pubblico o privato, le regole deve metterle prima. Deve chiarire prima cosa si può fare e cosa no (ad es. download di file e musica no; navigazione su Internet libera sì; social networking sì; telefonate su skype no; ecc) e anche quali sono, anche sul server dell’ente, gli spazi “privati” in cui nessuno entrerà mai e quali sono gli spazi “pubblici” che potranno essere ispezionati e/o condivisi. (A proposito navigando su Saperi PA ho trovato un'interessantissima relazione di FORUM PA 2008 proprio su questo tema di Giovanni Buttarelli).
Su saperi Pa trovi altri approfondimenti sul tema del social networking applicato alla Pubblica AmministrazioneIo mi sono fatto un’idea che vorrei verificare con voi: è molto difficile e pericoloso mettere del vino nuovo in botti vecchie. Per cercare quindi di mettere ordine in questo campo, senza pretendere di prendere acqua con un colabrodo, dobbiamo cambiare il nostro approccio alle regole. Qualche idea potrebbe essere:

Nella società della conoscenza le organizzazioni devono essere basate sulla conoscenza. Qualsiasi barriera preventiva rischia di essere come gli antispam di cattiva qualità. Magari ci evita gli spam, ma ci taglia via anche le roba buona.
Questo, ovviamente, non può voler dire che un dipendente possa passare la sua giornata al videopoker; ma nel caso in cui lo fa il problema non è l’accesso a Internet, ma la qualità del suo dirigente e della sua organizzazione. Insomma non ci sono scorciatoie alla funzione dirigenziale né alla necessità di motivare e di misurare e valutare le performance individuali e di gruppo. Su questo non ci sono “tornelli” magici;
Che Facebook e gli altri strumenti di social network possono potenzialmente distrarci con i loro ossessivi e continui stimoli, tutti lo sappiamo, ma ci propongono idee, contatti, punti di vista: siamo certi che senza saremmo più produttivi?
La distinzione tra tempo di vita e tempo di lavoro, che era alla base della fabbrica fordista sta assottigliandosi in moltissime organizzazioni… Le idee vengono ovunque, gli incontri utili ed interessanti non servono solo al boss che fa affari giocando a golf, ma anche al funzionario che si occupa di welfare in un comune o di attività produttive in una provincia. In questo senso le comunità di pratica sono un esempio calzante: vogliamo considerarle uno spreco di tempo?
E allora? La ricetta è sempre la stessa: buon senso, regole chiare, condivise e rispettate anche dai capi, apertura e fiducia sempre (ma sino a prova contraria), misurazione e valutazione dei risultati dei gruppi con possibilità di premiare i team virtuosi… Ma di questo abbiamo già parlato cento volte…

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