L'ultimo imperatore della dinastia giulio-claudia è uno dei personaggi più noti e discussi dell'intera storia romana: infatti egli è noto sia per i suoi eccessi che per lo sviluppo della cultura che ha caratterizzato la prima parte del suo regno.
Figlio di Agrippina e di Domizio Enobarbo, viene adottato da Claudio poiché sua moglie, la stessa Agrippina, lo ha indotto a scegliere lui al posto del figlio naturale dell'imperatore, ovvero Britannico.
Diventa imperatore a diciassette anni ed inizialmente governa collaborando con il Senato, guidato dal prefetto del pretorio Burro, da sua madre Agrippina e dal filosofo stoico Seneca. Per i primi 5 anni guadagna le simpatie delle classi più potenti e favorisce la nascita di un ottimo clima culturale (quinquennio aureo, tra il 54 e il 59). Successivamente la sua concezione di impero cambia ed diventa una vera e propria monarchia teocratica dato che pretendeva attributi divini.
Dal punto di vista economico, fa approvare una riforma della moneta che porta alla svalutazione della moneta d'oro (quella maggiormente usata dai senatori) nei confronti di quella d'argento (posseduta dai cavalieri).
Nel 64 avviene l'evento che segna maggiormente il suo impero: l'incendio di Roma. In poco tempo il fuoco distrugge gran parte della città, e di questo evento viene accusato Nerone (che ha fatto costruire al posto delle case distrutte la sua villa, la “Domus Aurea”) che incolpa i cristiani dando il via alla prima persecuzione.
Il suo principato si caratterizza anche per la grande propaganda, soprattutto per la frequenza degli spettacoli (spesso lo stesso imperatore si esibiva) e delle elargizioni nei confronti dei più poveri.
Per mantenere il potere è stato costretto più volte a reprimere il dissenso ed eliminare i possibili nemici. Nel giro di poco tempo, manda a morte Britannico, la madre, Ottavia, e Burro (sostituito da Tigellino). Nel 64 sventa la congiura dei Pisoni a seguito della quale ci sono numerose condanne a morte sia di senatori che di intellettuali (come Petronio e Seneca). Il clima peggiora sempre più, di giorno in giorno, e le rivolte aumentano, fino a quando nel 68 il Senato non affida il principato a Galba e Nerone, abbandonato anche dai suoi fedeli pretoriani, è costretto al suicidio.