Il decentramento delle prospettive d’analisi
Un procedimento narrativo comporta il processo di presa di distanza rappresentato dalla lettura della propria storia con occhi diversi, con lo sguardo altrui, come se non fosse in realtà mai appartenuta al legittimo autore, in una bilocazione cognitiva e di decentramento delle prospettive ermeneutiche, vale a dire il prendersi cura del racconto diretto e delle testimonianze indirette che riguardano la vita di qualcuno diverso da noi. E’ possibile entrare ed uscire dalla propria storia di vita, nella consapevolezza di poterla manipolare in ogni modo anche per diletto, ma non è lecito farlo con le narrazioni degli altri, evitando così che i giochi di potere divengano autentiche forme d’abuso nei confronti delle storie altrui. L’educatore criticando le sicurezze altrui, i linguaggi stereotipati, i modelli meccanizzati di tipologie ermeneutiche, interpretative e l’utilizzo che i non pedagogisti agiscono rispetto le storie dei loro pazienti o utenti o clienti, che per la ricerca pedagogica sono sempre preziosi narratori ed interlocutori, agisce la narrazione, in quanto l’educatore di professione interagisce nell’ascolto e nell’interlocuzione con le storie altrui. L’insegnante in quanto educatore si incontra con le storie di vita degli allievi, dei loro genitori, dei colleghi, di tutto il personale della scuola, nei contesti dell’apprendimento, imparando a conoscere le persone, inserendosi nel loro campo esistenziale al fine di ingenerare cambiamenti esistenziali minimi o sostanziali, adottando modalità e metodologie di ascolto, di dialogo interrelazionale e di conversazione stimolante verso i nodi cruciali del racconto di sé. Dunque l’educatore e anche l’insegnante si assumono la responsabilità relativa ai processi di formazione autobiografici che ricostruiscono le storie altrui come in un mosaico di frammenti ricomposti da nuovi spunti quotidiani. Dunque l’insegnante che adotta un metodo formativo di tipo autobiografico, in quanto educatore e pedagogista diventa uno scrivano intelligente, in quanto nel lavoro di formazione, di analisi, di osservazione ermeneutica e ricerca interpretativa, registra e annota eventi, azioni, episodi, riferimenti, espressioni di sentimenti con l’obiettivo di analizzare le storie, al fine di restituire loro un’ermeneutica interpretativa di senso e significato, riconsegnandola ai legittimi autori proprietari. L’approccio autobiografico è anche una tecnologia con itinerari specifici per ingenerare narrazioni utilizzando vari stimoli, in quanto si inizia sempre con il far ricordare al narratore ciò che desidera in libertà assoluta, raccontando anche i momenti esistenziali più piacevoli, per cui i racconti si riagganciano a quelli precedenti e a quelli seguenti, trascritti nel corso dell’esperienza. Così l’educatore raccoglie voci e le traduce in scritture che possono essere lette e conservate, ricavate da tracce da approfondire tramite domande che suscitino interesse e che stimolino la memoria, l’azione del ricordo e della rievocazione narrativa. L’itinerario discorsivo dove scrivere o leggere la propria autobiografia o i racconti altrui diventa un processo vitale, apicale e cruciale, per cui occorre procedere da soli, scrivendo i propri appunti, delle poesie interiori, il proprio diario, innescando un percorso generatore di altre esperienze, alimentando altra memoria. L’educatore autobiografo concepisce il racconto orale come effimero perché non impegna l’educando con cui si lavora così quanto la decisione di trascrivere i propri vissuti e le storie personali. L’atto di scrivere e la scrittura, soprattutto autobiografica, differenzia ogni individuo e la sua unicità, perché le conversazioni e i discorsi verbali obbediscono a ritmi, ritualità e modalità molto spesso standardizzate e stereotipate, mentre la scrittura è libera e mette l’autore di fronte al proprio sé, emancipandolo. Lo scrivere è un’autentica finestra dell’interiorità di ciascuno che è appunto differente, diversa, dissimile, “altra”, da tutte le precedenti scritture, da quelle parallele e dalle storie succedanee che seguiranno trascritte in un tempo futuro. La scrittura rende più visibile la realtà invisibile che interconnette le parti più insondabili della nostra identità, materializzando così gli indizi raccolti in voci più o meno vaghe e incerte. Lo scrivere obbliga a pensare e non solo ad interloquire. Quindi l’educatore autobiografo non si limita ad ascoltare ed incentivare la narrazione sulla storia di vita dell’allievo, ma è un protagonista che custodisce una narrazione sollecitando l’allievo nella continuazione della trascrizione, per cui la scrittura nella sua visibilità si traduce in segni e simboli, nella creatività appronta nuove invenzioni, nella metodicità comporta pazienza e precisione, e sviluppa catarsi, pensiero e modalità affettive. L’educatore non si limita ad interagire con la sofferenza o il disagio emotivo o cognitivo, ma il suo compito è quello di perturbare il passato, il presente e il futuro della narrazione, della storia di vita e quindi dell'allievo stesso che si racconta, per ricondurlo a se stesso, conducendolo alla percezione delle proprie capacità e modalità creative, attraverso la narrazione scritta e orale, ricordando che è possibile parlare per molto tempo senza accorgersene, ma è sufficiente un breve scritto scaturito dalla nostra interiorità per concepire il senso del limite personale, oppure la qualità delle capacità insite nel nostro ingegno.