La Marca (PD): FINALMENTE SI RINNOVANO I COMITES. ORA TOCCA A NOI

On. Francesca La Marca

E così, quando ormai non ci credeva più nessuno, il Governo, con quello che gli atleti chiamano uno scatto di reni, è riuscito a mettere finalmente sui giusti binari il rinnovo dei COMITES. Dopo dieci anni di onorato, e talvolta estenuato, servizio, nel mese di dicembre si procederà a nuove elezioni che – è l’augurio di tutti – dovrebbero portare forze fresche ad organismi basati sulla partecipazione e il volontariato. Nonostante l’insistenza con cui tutti noi abbiamo continuato a chiedere la fine di questo stato di sospensione della democrazia tra i cittadini italiani all’estero, si era ormai tacitamente diffusa la convinzione che il nuovo regolamento elettorale proposto dal Governo, sul quale le commissioni parlamentari avevano fatto osservazioni non di poco conto, era così complesso che la sua effettiva operatività avrebbe comportato tempi incompatibili con la scadenza del 31 dicembre di quest’anno, fissata nella famosa legge del terzo rinvio. E invece bisogna dare obiettivamente atto al Ministro Mogherini di avere mantenuto la parola, andando al di là degli schemi prefigurati dai funzionari del MAE e riuscendo a reperire risorse aggiuntive, quasi un miracolo di questi tempi. Nello stesso tempo, è giusto riconoscere che il Sottosegretario Giro nella gestione della delega per gli italiani nel mondo sta dando prova di un’attenzione e di uno spirito di concretezza che francamente vanno al di là delle previsioni. Bene. Anche se questa vicenda fa seguito a quella dolorosa della chiusura dei consolati e di alcuni istituti di cultura, quando c’è un punto a favore del tanto discusso personale di governo italiano bisogna avere il coraggio di riconoscerlo, senza alcun propagandismo, anche a costo di andare controcorrente rispetto ad un’opinione pubblica tendenzialmente orientata ai giudizi sommari.

Detto questo, non è possibile tacere del passaggio di fase che si avverte tra queste elezioni dei COMITES, alle quali in base agli obblighi previsti dalle leggi esistenti farà seguito il rinnovo con sistema indiretto del Consiglio generale degli italiani all’estero, e quelle che si svolsero per gli stessi organismi dieci anni fa, nel 2004. Si era allora all’indomani della riforma costituzionale che istituiva la circoscrizione Estero e della legge ordinaria che risolveva la delicata questione del sistema elettorale nel voto per corrispondenza. Soprattutto, sulla scia di quell’eccezionale clima riformatore, cui concorrevano gli sforzi delle personalità più consapevoli dei maggiori partiti italiani, si era appena compiuta la riforma degli stessi COMITES, voluta dall’allora Ministro Tremaglia e predisposta da una bozza di disegno di legge preparata dallo stesso CGIE. I COMITES restavano organismi sostanzialmente consultivi, che operavano in stretta collaborazione con le rappresentanze diplomatiche e consolari, ma si estendeva la loro facoltà di iniziativa e di parere e si accennava, sia pure sotto la tutela consolare, ad una funzione di dialogo con le autorità locali. Cosa del tutto necessaria in considerazione della diffusa e avanzata integrazione delle nostre comunità, sviluppatasi nel corso dell’ormai lunga storia emigratoria degli italiani. Poi ci furono le elezioni politiche del 2006, che consentirono per la prima volta ad un drappello di parlamentari eletti all’estero di varcare la soglia del Parlamento. La rappresentanza dei cittadini italiani all’estero si modificava sostanzialmente, nel senso che si completava quel sistema di rappresentanza che con tanti sforzi si era pezzo a pezzo costruito nel corso di un quarto di secolo con l’impegno e lo sforzo dell’associazionismo e di tante figure generose e appassionate, dentro e fuori i confini nazionali.

Dopo appena un paio d’anni da quell’evento, con il nuovo Governo Berlusconi, è iniziato il giro di boa per le politiche verso gli italiani all’estero che, passo dopo passo, ha portato ad una cadenzata regressione degli interventi nel campo che ci interessa. Quando la delega era nelle mani del Sottosegretario Mantica si è tentata anche una manovra combinata a livello parlamentare per ridurre il numero dei COMITES, oltre che per svuotare il CGIE, togliendo loro la facoltà di dare pareri in cambio di una evanescente relazione di fine d’anno sulla situazione delle comunità di riferimento. Una manovra che ogni tanto si ripropone e che comunque è stata finora fermata dalla ferma posizione della maggior parte dei parlamentari eletti all’estero e dal CGIE.

Il resto l’hanno fatto i ripetuti rinvii – ben tre in rapida successione – del rinnovo degli organismi di rappresentanza. Si sono usurate in questo modo energie basate sul volontariato e sullo spirito di solidarietà comunitaria che sono stati e sono ancora fondamentali per l’identità e il protagonismo degli italiani all’estero. E, vorrei dirlo ancora una volta, chi ci perde di più in tutto questo non sono gli italiani all’estero, che nei rispettivi Paesi il loro spazio l’hanno trovato e consolidato, ma è l’Italia, che nel passato ha avuto sempre bisogno di loro e oggi ne ha bisogno più che mai.

Sul clima nel quale si voterà questa volta, dunque, non potranno non pesare l’accidentato cammino di questi anni e l’evoluzione, o forse è meglio dire l’involuzione, intervenuta nei rapporti con gli italiani all’estero, soprattutto per le gravi difficoltà finanziarie che l’Italia sta attraversando da qualche tempo. E tuttavia, anche da parte nostra occorre uno scatto di reni per rimettere la barca in equilibrio e riprendere il giusto cammino. Dicendo questo so bene che molti cittadini italiani dell’azione dei COMITES non sempre hanno una buona opinione. Spesso si sono trovati di fronte ad esperienze povere d’iniziativa e forse deludenti. Ma intanto occorre prima di tutto tener presente che i fondi sempre più ridotti che hanno ricevuto sono stati appena sufficienti per l’ordinaria amministrazione. In secondo luogo che se coloro che hanno gestito i COMITES hanno dato cattiva prova, la soluzione non è abolire i COMITES, ma cambiare chi li ha gestiti male. Ho cercato di ricordare i passaggi ormai storici dell’ultimo quindicennio proprio per sottolineare che la rappresentanza, insieme alla cultura, è l’unica vera leva che i cittadini all’estero hanno nelle loro mani e che se anche attraversiamo tempi grigi e deludenti, qualsiasi alternativa sarebbe un rimedio peggiore del male.

Piuttosto, come si voterà? Nel decreto legge pubblicato il 4 agosto, e che comunque alla ripresa deve essere convertito dalle Camere, vi sono novità importanti, qualcuna addirittura inaspettata. Intanto, si introduce nel regolamento elettorale che entrerà in funzione la prossima volta la possibilità di ricevere per posta elettronica non certificata la password per il voto elettronico a distanza, per la quale in precedenza si prevedeva il ritiro diretto presso il consolato, con immaginabili complicazioni e disagi. Ma, soprattutto, per questa volta si ritorna al voto per corrispondenza, magari concentrando l’invio dei plichi per unità familiare, in modo da contenere i costi che altrimenti sarebbero pesanti.

Tuttavia c’è un’importantissima novità:i plichi saranno spediti non a tutti gli iscritti all’AIRE indiscriminatamente, ma solo a chi ne farà richiesta iscrivendosi ad un elenco degli elettori entro 50 giorni prima della data fissata per le elezioni. Con buonsenso, ci si starebbe orientando per una forma di iscrizione abbastanza libera: diretta, postale o per e-mail. In ciascuna famiglia dovrebbe arrivare una comunicazione con le indicazioni da seguire per rispettare i tempi e le forme prescritti; ognuno, dunque, si faccia parte attiva per poter usufruire nei tempi dovuti di questa opportunità.

Di questa opzione “alla rovescia”, che comporta l’obbligo della richiesta di voler votare per corrispondenza, si sta parlando da tempo, con un consenso sempre più diffuso, anche per il voto politico. Esistono in Parlamento disegni di legge, tra i quali quelli a firma di molti eletti del PD, tra i quali io stessa, che vanno in questa direzione. Il provvedimento in esame parla solo del rinnovo dei COMITES, ma è facile prevedere che presto o tardi si parlerà di questa soluzione anche per il voto politico. E’ vero che la partecipazione rischia di essere limitata per questo obbligo di iscrizione preventiva nell’elenco degli elettori, ma è altrettanto vero che in questa maniera si eviterà che milioni di plichi vadano in giro per il mondo con scarso controllo e possano aprirsi spazi per fenomeni anomali spesso denunciati e che hanno gettato discredito, spesso ingiustamente, non solo sul voto per corrispondenza, ma anche più in generale sugli italiani all’estero. Chi si prenota vuol dire che nella quasi totalità dei casi ha intenzione di votare e quindi sarà più vigile e responsabilizzato sul controllo della sua scheda elettorale. Senza contare che inviando i plichi solo a chi si dimostri interessato ad averli, si risparmieranno molte risorse e si eviterà di sentirsi dire ancora una volta che il voto degli italiani all’estero è troppo costoso e non compatibile con la situazione difficile delle nostre finanze pubbliche.

In questa fase, dunque, un ruolo decisivo avrà la capacità di informare gli elettori. Il decreto dice che «gli uffici consolari danno tempestiva comunicazione di tale adempimento alle comunità italiane del luogo a mezzo avvisi da affiggere nella sede della rappresentanza e da pubblicare sui rispettivi siti internet, nonché tramite ogni altro idoneo mezzo di comunicazione». Sappiamo, tuttavia, che senza l’iniziativa diretta delle nostre comunità le misure burocratiche spesso restano sulla carta. Per questo, aggiungo il mio appello a quello di tanti altri che si sono rivolti alle associazioni e a tutti coloro che hanno una parte attiva nelle nostre comunità perché sensibilizzino gli elettori. Ancora una volta, gli organi di informazione avranno un compito essenziale, a conferma che essi all’estero non solo svolgono la loro funzione informativa, culturale e linguistica, ma sono anche uno strumento necessario per il corretto esercizio dei diritti democratici.

On. Francesca La Marca (America Oggi, Usa)

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On. Francesca La Marca

E così, quando ormai non ci credeva più nessuno, il Governo, con quello che gli atleti chiamano uno scatto di reni, è riuscito a mettere finalmente sui giusti binari il rinnovo dei COMITES. Dopo dieci anni di onorato, e talvolta estenuato, servizio, nel mese di dicembre si procederà a nuove elezioni che – è l’augurio di tutti – dovrebbero portare forze fresche ad organismi basati sulla partecipazione e il volontariato. Nonostante l’insistenza con cui tutti noi abbiamo continuato a chiedere la fine di questo stato di sospensione della democrazia tra i cittadini italiani all’estero, si era ormai tacitamente diffusa la convinzione che il nuovo regolamento elettorale proposto dal Governo, sul quale le commissioni parlamentari avevano fatto osservazioni non di poco conto, era così complesso che la sua effettiva operatività avrebbe comportato tempi incompatibili con la scadenza del 31 dicembre di quest’anno, fissata nella famosa legge del terzo rinvio. E invece bisogna dare obiettivamente atto al Ministro Mogherini di avere mantenuto la parola, andando al di là degli schemi prefigurati dai funzionari del MAE e riuscendo a reperire risorse aggiuntive, quasi un miracolo di questi tempi. Nello stesso tempo, è giusto riconoscere che il Sottosegretario Giro nella gestione della delega per gli italiani nel mondo sta dando prova di un’attenzione e di uno spirito di concretezza che francamente vanno al di là delle previsioni. Bene. Anche se questa vicenda fa seguito a quella dolorosa della chiusura dei consolati e di alcuni istituti di cultura, quando c’è un punto a favore del tanto discusso personale di governo italiano bisogna avere il coraggio di riconoscerlo, senza alcun propagandismo, anche a costo di andare controcorrente rispetto ad un’opinione pubblica tendenzialmente orientata ai giudizi sommari.

Detto questo, non è possibile tacere del passaggio di fase che si avverte tra queste elezioni dei COMITES, alle quali in base agli obblighi previsti dalle leggi esistenti farà seguito il rinnovo con sistema indiretto del Consiglio generale degli italiani all’estero, e quelle che si svolsero per gli stessi organismi dieci anni fa, nel 2004. Si era allora all’indomani della riforma costituzionale che istituiva la circoscrizione Estero e della legge ordinaria che risolveva la delicata questione del sistema elettorale nel voto per corrispondenza. Soprattutto, sulla scia di quell’eccezionale clima riformatore, cui concorrevano gli sforzi delle personalità più consapevoli dei maggiori partiti italiani, si era appena compiuta la riforma degli stessi COMITES, voluta dall’allora Ministro Tremaglia e predisposta da una bozza di disegno di legge preparata dallo stesso CGIE. I COMITES restavano organismi sostanzialmente consultivi, che operavano in stretta collaborazione con le rappresentanze diplomatiche e consolari, ma si estendeva la loro facoltà di iniziativa e di parere e si accennava, sia pure sotto la tutela consolare, ad una funzione di dialogo con le autorità locali. Cosa del tutto necessaria in considerazione della diffusa e avanzata integrazione delle nostre comunità, sviluppatasi nel corso dell’ormai lunga storia emigratoria degli italiani. Poi ci furono le elezioni politiche del 2006, che consentirono per la prima volta ad un drappello di parlamentari eletti all’estero di varcare la soglia del Parlamento. La rappresentanza dei cittadini italiani all’estero si modificava sostanzialmente, nel senso che si completava quel sistema di rappresentanza che con tanti sforzi si era pezzo a pezzo costruito nel corso di un quarto di secolo con l’impegno e lo sforzo dell’associazionismo e di tante figure generose e appassionate, dentro e fuori i confini nazionali.

Dopo appena un paio d’anni da quell’evento, con il nuovo Governo Berlusconi, è iniziato il giro di boa per le politiche verso gli italiani all’estero che, passo dopo passo, ha portato ad una cadenzata regressione degli interventi nel campo che ci interessa. Quando la delega era nelle mani del Sottosegretario Mantica si è tentata anche una manovra combinata a livello parlamentare per ridurre il numero dei COMITES, oltre che per svuotare il CGIE, togliendo loro la facoltà di dare pareri in cambio di una evanescente relazione di fine d’anno sulla situazione delle comunità di riferimento. Una manovra che ogni tanto si ripropone e che comunque è stata finora fermata dalla ferma posizione della maggior parte dei parlamentari eletti all’estero e dal CGIE.

Il resto l’hanno fatto i ripetuti rinvii – ben tre in rapida successione – del rinnovo degli organismi di rappresentanza. Si sono usurate in questo modo energie basate sul volontariato e sullo spirito di solidarietà comunitaria che sono stati e sono ancora fondamentali per l’identità e il protagonismo degli italiani all’estero. E, vorrei dirlo ancora una volta, chi ci perde di più in tutto questo non sono gli italiani all’estero, che nei rispettivi Paesi il loro spazio l’hanno trovato e consolidato, ma è l’Italia, che nel passato ha avuto sempre bisogno di loro e oggi ne ha bisogno più che mai.

Sul clima nel quale si voterà questa volta, dunque, non potranno non pesare l’accidentato cammino di questi anni e l’evoluzione, o forse è meglio dire l’involuzione, intervenuta nei rapporti con gli italiani all’estero, soprattutto per le gravi difficoltà finanziarie che l’Italia sta attraversando da qualche tempo. E tuttavia, anche da parte nostra occorre uno scatto di reni per rimettere la barca in equilibrio e riprendere il giusto cammino. Dicendo questo so bene che molti cittadini italiani dell’azione dei COMITES non sempre hanno una buona opinione. Spesso si sono trovati di fronte ad esperienze povere d’iniziativa e forse deludenti. Ma intanto occorre prima di tutto tener presente che i fondi sempre più ridotti che hanno ricevuto sono stati appena sufficienti per l’ordinaria amministrazione. In secondo luogo che se coloro che hanno gestito i COMITES hanno dato cattiva prova, la soluzione non è abolire i COMITES, ma cambiare chi li ha gestiti male. Ho cercato di ricordare i passaggi ormai storici dell’ultimo quindicennio proprio per sottolineare che la rappresentanza, insieme alla cultura, è l’unica vera leva che i cittadini all’estero hanno nelle loro mani e che se anche attraversiamo tempi grigi e deludenti, qualsiasi alternativa sarebbe un rimedio peggiore del male.

Piuttosto, come si voterà? Nel decreto legge pubblicato il 4 agosto, e che comunque alla ripresa deve essere convertito dalle Camere, vi sono novità importanti, qualcuna addirittura inaspettata. Intanto, si introduce nel regolamento elettorale che entrerà in funzione la prossima volta la possibilità di ricevere per posta elettronica non certificata la password per il voto elettronico a distanza, per la quale in precedenza si prevedeva il ritiro diretto presso il consolato, con immaginabili complicazioni e disagi. Ma, soprattutto, per questa volta si ritorna al voto per corrispondenza, magari concentrando l’invio dei plichi per unità familiare, in modo da contenere i costi che altrimenti sarebbero pesanti.

Tuttavia c’è un’importantissima novità: i plichi saranno spediti non a tutti gli iscritti all’AIRE indiscriminatamente, ma solo a chi ne farà richiesta iscrivendosi ad un elenco degli elettori entro 50 giorni prima della data fissata per le elezioni. Con buonsenso, ci si starebbe orientando per una forma di iscrizione abbastanza libera: diretta, postale o per e-mail. In ciascuna famiglia dovrebbe arrivare una comunicazione con le indicazioni da seguire per rispettare i tempi e le forme prescritti; ognuno, dunque, si faccia parte attiva per poter usufruire nei tempi dovuti di questa opportunità.

Di questa opzione “alla rovescia”, che comporta l’obbligo della richiesta di voler votare per corrispondenza, si sta parlando da tempo, con un consenso sempre più diffuso, anche per il voto politico. Esistono in Parlamento disegni di legge, tra i quali quelli a firma di molti eletti del PD, tra i quali io stessa, che vanno in questa direzione. Il provvedimento in esame parla solo del rinnovo dei COMITES, ma è facile prevedere che presto o tardi si parlerà di questa soluzione anche per il voto politico. E’ vero che la partecipazione rischia di essere limitata per questo obbligo di iscrizione preventiva nell’elenco degli elettori, ma è altrettanto vero che in questa maniera si eviterà che milioni di plichi vadano in giro per il mondo con scarso controllo e possano aprirsi spazi per fenomeni anomali spesso denunciati e che hanno gettato discredito, spesso ingiustamente, non solo sul voto per corrispondenza, ma anche più in generale sugli italiani all’estero. Chi si prenota vuol dire che nella quasi totalità dei casi ha intenzione di votare e quindi sarà più vigile e responsabilizzato sul controllo della sua scheda elettorale. Senza contare che inviando i plichi solo a chi si dimostri interessato ad averli, si risparmieranno molte risorse e si eviterà di sentirsi dire ancora una volta che il voto degli italiani all’estero è troppo costoso e non compatibile con la situazione difficile delle nostre finanze pubbliche.

In questa fase, dunque, un ruolo decisivo avrà la capacità di informare gli elettori. Il decreto dice che «gli uffici consolari danno tempestiva comunicazione di tale adempimento alle comunità italiane del luogo a mezzo avvisi da affiggere nella sede della rappresentanza e da pubblicare sui rispettivi siti internet, nonché tramite ogni altro idoneo mezzo di comunicazione». Sappiamo, tuttavia, che senza l’iniziativa diretta delle nostre comunità le misure burocratiche spesso restano sulla carta. Per questo, aggiungo il mio appello a quello di tanti altri che si sono rivolti alle associazioni e a tutti coloro che hanno una parte attiva nelle nostre comunità perché sensibilizzino gli elettori. Ancora una volta, gli organi di informazione avranno un compito essenziale, a conferma che essi all’estero non solo svolgono la loro funzione informativa, culturale e linguistica, ma sono anche uno strumento necessario per il corretto esercizio dei diritti democratici.

On. Francesca La Marca (America Oggi, Usa)

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