Calvino la chiamerebbe leggerezza e direbbe che è l'arte sopraffina di unire malinconia e umorismo, creando “un velo di particelle minutissime di umori e sensazioni, un pulviscolo di atomi come tutto ciò che costituisce l'ultima sostanza della moltiplicità delle cose”.
Questa capacità c’è l’hanno i film di Wes Anderson, la musica delle CocoRosie, le statue di Cattelan, i romanzi di Jane Austen, le commedie di Nora Ephron, le opere di Mozart, le poesie di Emily Dickinson ed anche i romanzi di Barbara Pym, autrice divertente ed acutissima, riscoperta dopo tre lustri di totale silenzio grazie al Times, in Italia amata da Fruttero e Lucertini, nata nel 1913 e morta nel 1980, che è stata, allo stesso tempo, popolare e talmente impopolare, che nessuno voleva pubblicare dagli anni sessanta, poi di nuovo editata e riscopeta dalla critica come autrice raffinata e che ha ripercorso sempre gli stessi temi e dimostrato con garbo quanto sia difficile interpretare la propria contemporaneità.
“Amori non molto corrisposti” è un romanzo del 1961, l'ultimo dei suoi libri pubblicati prima della “grande crisi”, durrata quindici anni, fino al 1977 quando uscirà “Quartetto in autunno” (finalista al Man Booker prize), dopo una sfilza infinita di rifiuti.
Gli editori continuarono a considerarla una scrittrice poco moderna fin quando in un articolo sul supplemento letterario del Times il critico Lord Davil Cecil e il poeta Philip Larkin la definirono “la scrittrice più sottovalutata del XX secolo”, e la ruota della sua fortuna girò di nuovo.
Zitella convinta, fino in fondo, ma con una vita sentimentale ricca ed agitata, ha vissuto sempre nella stessa casa con la sorella Hilary: il Barn Cottage di Finstocke nell'Oxfordshire, diventata luogo di pellegrinaggio per i suoi devoti lettori che, dopo la sua morte, hanno finalmente smesso di avere dubbi sul valore della sua opera.
Rieditato da Asteria in paperboock, “Amori non molto corrisposti” si svolge a Londra, negli ani cinquanta ed ha per protagonista Dulcie, che fa la correttrice di bozze, è single e vive da sola in una grande casa, lasciatale dai genitori.
A una conferenza incontra Viola, bella donna, altrettanto single ma più amareggiata dalla vita, innamorata di un uomo sposato, Alwyn, studioso di non grande fama, cinquantenne e un po’ donnaiolo. Alwyn, che si sta separando, a sua volta s’invaghisce della nipote di Dulcie, una ventenne che giustamente lo considera un vecchiaccio.
Le tre donne a un certo punto si trovano a vivere insieme nella grande casa di Dulcie, e questi amori s’incrociano, si acuiscono, si dissolvono, deviano su altre persone. Paragonata a Jane Austen per la straodinaria capacità e grazia con cui raffigura il quotidiano e le relazioni umane, Barbara Pym trasforma l’ordinario in straordinario.
E questa è la cifra del suo umorismo, che pervade ogni riga. Il mondo che descrive è fatto di piccole comunità, organizzate attorno a strette cerchie di relazioni, all’interno delle quali vengono descritte le vite quotidiane di gente eccezionalmente normale.
Gli uomini e le donne sono i protagonisti dei suoi romanzi: i primi, nonostante grandi sforzi, difficilmente riescono ad avere una profondità emotiva rilevante, e anche se alcuni riescono a provare il grande amore romantico, alla fine non possono far altro che diventare mariti leggermente noiosi; le donne, non per una superiorità innata ma per una naturale saggezza e capacità di valutazione pratica, che rimangono sconosciute anche agli uomini migliori, fanno girare il mondo.
Quasi tutto quello che accade in questo romanzo ha origine in un gesto goffo, una figuraccia, una frase sbagliata. È un continuo seppur minuscolo precipitare di eventi ridicoli, attraverso cui si compone, con acuta leggerezza, la storia di una comunità composta da zitelle, letterati sbruffoni, giovani fanciulle spensierate e molti, moltissimi preti.
Questi “amori non corrisposti” non hanno il travaglio de “I dolori del giovane Werther”
di Goethe o de “Le notti bianche” di Dostoevskij o de “I giardini dei Finzi Contini” di Bassani e neanche i toni seri del Simenon d2 “ La camera azzurra” o di “ Zoo o lettere non d'amore” di Viktor Slovskij e dimostrano come abbia ragione Kundera nel giudicare difficile giungere alla vera “leggerezza” ed è fedele al precetto di Hermann Broch: “Scoprire ciò che solo un romanzo permette di scoprire”, una scoperta che non si limita all’evocazione di alcuni personaggi e delle loro complicate storie d’amore, ma ad “andare sino in fondo a certe situazioni, a certi motivi, magari a certe parole, che sono la materia stessa di cui è fatto il mondo”.
Con diderotiana leggerezza, Barbara Pym riesce a schiudere, dietro i singoli fatti, altrettante domande penetranti e le compone poi come voci polifoniche, fino a darci una vertigine che ci riconduce alla nostra esperienza costante e muta che, come dice ancora Kundera, mantenere intatto il pathos di ciò che, intessuto di innumerevoli ritorni come ogni amore torturante, è pronto però ad apparire un’unica volta e a sparire, quasi non fosse mai esistito.