di Andrea B. Nardi
Oggi che l’ambiguo alleato pakistano è nel caos, e che il naturale alleato iraniano continua a rimanere dominato da un regime antagonista, quale prospettiva d’alleanza resta all’Occidente e agli Usa?
Uscendo dalle dimensioni regionali e considerando invece un’ottica globale, vediamo sorgere improvvisa una nuova visione di coalizione geopolitica. Cerchiamo di descriverla.
Il maggior elemento di destabilizzazione planetaria nel nuovo millennio non è l’economia, poiché essa già nel medio termine è sempre correggibile perfino nei suoi aspetti più deleteri e perversi. L’importante è che gli stati e gli organismi a ciò deputati possano sempre contare su uno scenario internazionale dove regnino la pace e i liberi commerci, e dove la democrazia possa essere garante di civiltà libertarie e progressiste. In questo modo a ogni flusso di negatività e stagnazione economica di settore si potrà sempre contrapporre una nuova e diversa strategia con risorse provenienti da altri mercati. Ciò non è possibile, al contrario, qualora il mondo sia bloccato da una situazione bellica che ne interrompa la circolazione finanziaria e commerciale, e in cui regni una cultura del terrore e della contrapposizione. In altre parole: dove si commercia non si spara, e dove si spara non si commercia.
Il punto storico di non ritorno è stato l’11 settembre 2001. Nonostante il politically correctness europeo non lo voglia ammettere – fomentato da un’ideologia vetero-sinistrorsa anti-americana, da un egoistico laisser-faire anti-idealistico (not in my backyard), da un’opportunistica ambiguità commerciale verso il mondo islamico da cui dipendono le forniture energetiche, da una divisione particolaristica nella politica estera dei vari Stati europei – nonostante, dicevamo, il politicamente corretto europeo non lo ammetta, attualmente si sta subendo una vera e propria condizione di conflitto armato e culturale da parte di quell’Islam integralista che ha dichiarato guerra all’Occidente, e che ha eretto l’11/9 a simbolo della sua jiahd (guerra santa).
Sotto la definizione di terrorismo islamico si celano due substrati sociali: il primo è formato dalle masse popolari vittime di una propaganda sistematica tanto revanchista quanto oscurantista (l’Occidente è il tuo nuovo nemico, per colpa dell’Occidente la tua è una condizione di sconfitto, solo ad esso si imputano tutti i tuoi mali, è questa guerra a darti finalmente un’identità, adesso finalmente sei tu a fare paura all’Occidente); il secondo è una certa oligarchia islamista dominante che – individuata la tattica vincente (incolpando l’Occidente, la sua religione, la sua cultura, la sua economia, la sua democrazia, e brandendo il Corano come alternativa) – prospera inseguendo il proprio delirio di potere. Entrambe sono condizioni già ben collaudate nella Storia e purtroppo straviste.
Da al Qaeda ai Pasdaran, dal regime siriano ai clan afghani, dai Taliban ai mullah di molte moschee, dai partiti islamisti radicali agli sceicchi sauditi, dai servizi segreti pakistani all’ultimo imam integralista europeo, da Hezbollah libanese a Hamas palestinese, tutti sono animati dal medesimo sogno di potere mondano teocratico, dove la religione in realtà non c’entra nulla, se non come arma micidiale di sovrastruttura ideologica e collante sociale.
In questo miraggio di potere (da conquistare o da mantenere) si agitano due livelli negli obiettivi: il maggiore, impossibile per le stesse feroci rivalità politiche fra gruppi musulmani (la stragrande maggioranza delle vittime degli estremisti islamici sono, infatti, altri islamici), è il vecchio vaneggiamento di un panislamismo con un califfato globale sotto cui si aggreghi oltre un miliardo di musulmani. Invece, nella versione minima e realizzabile, l’ambizione si riduce alla creazione di una serie di centri di potere con regimi feudali che possano assicurare il dominio alla data classe regnante. Pur diviso nei propri interessi, questo coacervo di frammentazioni politiche è coeso in un’unica finalità: conquistare e allargare il proprio potere imperiale a discapito delle popolazioni sottomesse in condizioni anti-libertarie, anti-democratiche, di oscurantismo culturale, di impoverimento economico. Il mezzo per arrivare a ciò sta nell’usuale, antico sistema teocratico-dittatoriale (sharia) – di cui l’Europa ha iniziato a liberarsi tre secoli fa – con una propaganda ideologico-religiosa che invochi e giustifichi il solito medievale potere maschilista sacerdotale integralista. A ciò occorre poi aggiungere l’invenzione sistematica di un nemico da dare in pasto alle masse sociali: l’Occidente, di volta in volta identificato con gli Usa, l’Europa, Israele, la democrazia, il capitalismo, la decadenza dei costumi, la laicità, la scienza, la Coca-Cola, le minigonne, la musica pop, Internet…
Tutto ciò da un lato arma la mano a poveri disgraziati disposti a farsi saltare in aria assieme ad altri innocenti inseguendo barbarici farneticamenti mistici; dall’altro protegge una cultura retrograda, sanguinaria e repressiva la quale – fin dentro le case occidentali – auspica che il maschio musulmano eserciti la propria prevaricazione sulla sua famiglia, e aspiri a una vendetta contro quella società occidentale che lo emargina. Chi meglio di noi europei conosce le tragedie d’ogni cultura falsamente religiosa e intollerante; chi più di noi ne ha pianto i supplizi, prima che l’Illuminismo iniziasse a ricondurre la ragione umana ai veri principi di carità cristiana, uguaglianza e libertà. Fortunatamente non tutti i musulmani sono disposti ad accogliere l’insegnamento di questi crudeli maestri; ma molti ne sono affascinati.
Questa guerra sia armata sia culturale contro l’Occidente (si leggano le traduzioni dei sermoni anti-occidentali che ogni settimana vengono proclamati ovunque nelle moschee e nelle televisioni arabe, anche europee) può essere combattuta solo in un modo, totalmente radicale e rivoluzionario com’è l’attacco cui è sottoposto l’Occidente. Una nuova, inedita alleanza. Strettissima, profonda, lungimirante.
Ecco gli interpreti del dramma:
Usa: protagonista
Russia: co-protagonista
Cina: attor giovane
Europa: comparsa (ha alcune battute ma ruolo secondario)
Israele: comparsa
Mondo arabo, India, Pakistan, Giappone: figuranti (nessuna battuta)
Scenario: l’attacco alla pace da parte dell’Islam estremista integralista.
Quali sono oggi gli Stati più potenti (o destinati a diventarlo) del pianeta? Quali sono gli Stati più coesi nella lotta all’integralismo islamista? Quali sono gli Stati più interessati a sviluppare un sistema d’alleanze che permetta loro di fidarsi vicendevolmente e trarre vantaggio dalle reciproche opportunità? Quali sono gli unici Stati che, una volta alleati, possono dirigere l’intera politica internazionale su basi inevitabili anche per tutti gli altri governi? Infine, quali sono gli unici Stati che potrebbero istantaneamente porre fine alle ambiguità guerrafondaie del Medio Oriente? La risposta è sempre la medesima: Usa, Russia, e Cina.
L’alleanza fra Usa, Russia, e Cina non riguarderebbe i meri accordi politici o commerciali di cui esistono già ampi e variegati esempi. La nuova alleanza Usa-russo-cinese di cui si auspica è molto di più. È un’epocale visione culturale.
Essa interromperebbe un secolo di sospetti e di battaglie fra le tre parti, per rivolgersi a un corso totalmente diverso della Storia. Un triumvirato sovra-governativo per regolare le tensioni mondiali costruendo un sistema politico-economico-sociale dove resti sconfitta la guerra, e in primis la guerra dell’Islam integralista.
A prima vista tale soluzione sembra improponibile viste le distanze dei tre attuali governi su parecchi temi, ma se, al contrario, si ragionasse sui vantaggi che essi ne trarrebbero, allora il beneficio sarebbe così elevato da apparire inevitabile.
La Cina e la Russia hanno disperato bisogno della tecnologia americana; l’America ha disperato bisogno del mercato cinese; la Cina ha bisogno dell’energia russa. Tutte e tre hanno bisogno di reciproci investimenti commerciali e industriali. Tutte e tre hanno bisogno di reciproca solidarietà politica per combattere l’integralismo islamista. Tutte e tre hanno bisogno della pace in Medio Oriente e in Asia.
Immaginiamo a quale pressione verrebbe costretto l’Iran qualora fosse soggetto a un contemporaneo attacco politico ed economico del triumvirato, lasciandolo totalmente privo quindi del sostegno russo. Immaginiamo quale risultato questa pressione potrebbe ottenere sostenendo adeguatamente l’opposizione moderata e filo-occidentale all’interno del paese.
Un rovesciamento del regime dei Pasdaran interromperebbe istantaneamente ogni appoggio a Hamas e Hezbollah. La Siria, isolata, sarebbe costretta ad abbandonare le sue tattiche di destabilizzazione in Libano e in Irak. Israele potrebbe finalmente trattare col West Bank senza l’opposizione delle bande di Gaza. L’Arabia Saudita e il Pakistan uscirebbero dall’ambiguità che le fa essere ufficialmente alleate degli Usa e segretamente sostenitrici dell’integralismo musulmano. L’intero mondo culturale islamico subirebbe l’autorevole influenza degli ayahtollah iraniani moderati e del loro nuovo principio di rappacificazione.
Immaginiamo quali vie di traffico si aprirebbero dalla Russia alla Cina, coinvolgendo Iran, Pakistan e India. Immaginiamo quale effetto avrebbe lo smembramento federale dell’Irak, con una parte sunnita, e una parte sciita sotto l’egida iraniana (dietro solide garanzie filo-occidentali da parte del nuovo governo iraniano).
Immaginiamo che cosa potrebbero fare in Afghanistan un paio di divisioni militari cinesi, equipaggiate con la tecnologia americana, e protette nelle vie di comunicazione settentrionali dalle truppe russe.
In tutto questo l’Europa non entrerebbe. Condannata dal proprio particolarismo opportunista, e da uno strisciante filo-arabismo, si troverebbe a essere utilizzata dal triumvirato solo come mercato, non più come interlocutore politico, tanto meno per ciò che riguardasse la politica internazionale. Comunque, non avendo nessun mezzo per opporsi, alla fine sarebbe ben lieta di non esporsi in prima persona nella lotta all’islamismo pur di mantenere i suoi privilegi economici.
I dettagli economici e politici da cui questa visione scaturisce sono talmente tanti che se ne rinvia l’esposizione ad altra sede, ma una cosa è certa: nel Nuovo Millennio non c’è più posto per un antagonismo fra Usa, Russia e Cina; al contrario, il Nuovo Millennio è pronto per un’organizzazione mondiale della pace dove la solidarietà e la comunanza di interessi di questi tre Grandi possa portare prosperità a tutto il pianeta, sconfiggendo chi vuole mantenere l’attuale conflittualità.