LAICISMO E FALSA EQUIDISTANZA

di Paolo Bonetti

Sull’ultimo numero di “Reset” (luglio-agosto 2008) c’è un lungo articolo del filosofo tedesco Jürgen Habermas, Perché siamo post-secolari, sul quale giova riflettere come su tutto ciò che scrive Habermas, anche quando le sue argomentazioni, come in questo caso, presentano incoerenze logiche e asserzioni fattualmente non vere. Il punto di partenza di Habermas è storicamente ineccepibile: egli ci ricorda che la secolarizzazione del potere statale in Europa fu la condizione necessaria per porre fine alle guerre di religione e riconoscere nuovi diritti alle minoranze religiose. Fu un processo lungo e non privo di contraddizioni, come avviene sempre nei processi storici; ma, alla fine, si arrivò al riconoscimento del diritto, per tutti, di vivere la propria fede non soltanto nell’intimità della coscienza, ma di testimoniarla pubblicamente in ogni circostanza, facendo opera di libero apostolato. Il problema si è ulteriormente e diversamente complicato, quando, come osserva Habermas, si è passati dall’impersonale “dominio della legge” alla democratica “sovranità popolare”. Gli Stati democratici, come ben sappiamo, non sono necessariamente rispettosi dei diritti individuali, e le maggioranze, di qualunque genere, sono esposte alla tentazione di imporre, in modo esclusivo, per via legislativa, i loro convincimenti morali e religiosi. Si aggiunga che, in società multiculturali come le nostre, le diverse subculture e fedi religiose possono benissimo -osserva ancora Habermas- cercare di stringere i singoli individui che ne fanno parte in un “abbraccio totalitario” che finisce così col vanificare la loro libertà di cittadini.

A questo proposito, il filosofo tedesco afferma esplicitamente che “il progetto universalistico dell’illuminismo politico non contraddice per nulla le sensibilità particolari di un multiculturalismo ben inteso”; resta però il problema, in una società ben ordinata, di stabilire che cosa può essere tollerato e che cosa invece non può esserlo, se non si vuole mettere in pericolo la convivenza civile: la prima regola è certamente quella di mettere tutte le parti in conflitto in condizioni di sostanziale parità, in modo tale che il diritto di esercitare pubblicamente la propria fede e di vivere secondo la propria morale non diventi intrusione prevaricatrice nella fede e nella morale altrui, con la pretesa di piegare la legge dello Stato alla tutela esclusiva dei propri principi e valori; la seconda regola, sempre nella prospettiva di Habermas, sarà quella di una tolleranza in base alla quale “credenti, non credenti e diversamente credenti si concedono a vicenda convinzioni, pratiche e forme di vita che essi, per quanto li riguarda personalmente, non approvano affatto”. Fino a questo punto le affermazioni del filosofo coincidono perfettamente con quei principi nei quali, per comune convincimento, risiede la sostanza di ciò che chiamiamo laicismo. Ma improvvisamente, con un salto logico che è anche ignoranza delle condizioni di fatto in cui si svolge la vita effettiva delle società cosiddette post-secolari, Habermas pretende di porsi in una posizione di equidistanza fra fondamentalismi religiosi e fondamentalismi laici, finendo col far propria la ben nota e speciosa teoria ratzingeriana della “sana laicità”.

Quello che il filosofo tedesco dimentica di documentare, probabilmente perché non saprebbe a quali dati storici e sociologici fare ricorso, è proprio l’esistenza, non in Turchia dove ha tenuto la relazione di cui l’articolo su “Reset” è la trascrizione, ma nelle attuali liberaldemocrazie europee, di questo fondamentalismo laicista, di matrice illuminista o scientista. Esempi di fondamentalismo religioso se ne possono trovare molti non solo in America ma anche in Europa, mentre non riusciamo a trovare un solo caso di fondamentalismo laicista nelle società europee del nostro tempo, a meno che non s’intenda per laicismo la giusta pretesa degli Stati di far rispettare a tutti, credenti e non credenti, la legge comune che assicura parità di diritti e la possibilità, per gli individui, di sottrarsi alle costrizioni delle loro comunità di appartenenza. In questo caso siamo ben orgogliosi di dichiararci laicisti non pentiti. Venendo in particolare alla situazione italiana, tutte le volte che si discute di questioni bioetiche (dall’aborto in casi ben determinati alla procreazione assistita, dal riconoscimento giuridico delle coppie di fatto al testamento biologico e alla libertà della ricerca scientifica) quando mai i laicisti italiani hanno preteso che i cattolici vivessero contro la loro coscienza o fosse ad essi impedito di fare opera di proselitismo con tutti i mezzi di cui dispongono? Lo stesso non si può certo affermare della Chiesa cattolica, che non solo contrasta, come è suo diritto, le scelte morali diverse dalle sue, ma nega ad esse ogni dignità e, di conseguenza, ogni riconoscimento giuridico. Altro che reciproco riconoscimento e apprendimento, come raccomanda Habermas!

La polemica di Habermas contro un certo naturalismo scientista, incapace di comprendere davvero il fenomeno religioso e incline ad assumere atteggiamenti riduzionistici che arrivano, talvolta, alla facile e volgare irrisione, può anche essere condivisa, ma occorre subito aggiungere che tutto questo non ha nulla a che vedere con le battaglie del laicismo. Per tenerci sempre al caso italiano, da una parte abbiamo una potente organizzazione politico-religiosa, una vera e propria lobby che possiede rilevanti risorse economiche e una devastante potenza mediatica, oltre a poter usufruire di alleanze politiche che coprono quasi l’intero arco parlamentare; dall’altra, ci sono singoli studiosi, spesso in polemica fra di loro, non esenti, in qualche caso, da atteggiamenti settari, e tuttavia privi di ogni organizzazione che ne coordini gli sforzi e gli obbiettivi. Davvero non si capisce come si possa parlare di fondamentalismo laicista, a meno che per esso non s’intenda la coerenza delle proprie idee e il desiderio di diffonderle. Ma questo è un diritto che spetta a tutti, credenti e non credenti. Habermas ha fatto il suo intervento in terra turca, agli “Instanbul Seminars” organizzati dall’associazione internazionale “Reset Dialogues on Civilisation”. Vogliamo pensare che la delicata situazione turca lo abbia indotto a un atteggiamento diplomatico e compromissorio, che però non rende giustizia alla verità storica e, soprattutto, non aiuta coloro che sono davvero impegnati nella costruzione di una società laica, senza esclusioni e senza privilegi. La diplomazia e l’equidistanza sono virtù da lasciare, appunto, ai diplomatici. Agli studiosi si addice soltanto la ricerca spregiudicata della verità.(Italialaica)

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