La Svizzera contro l’immigrazione di massa nel Paese, il commento della Cinti

La Responsabile per il coordinamento delle Segreterie regionali dell'Italia Dei Diritti: “Paura e allontanamento degli “stranieri”, al di là di attente e serie valutazioni basate sui fatti, rischiano di divenire il punto di partenza e riferimento per qualsivoglia azione ed iniziativa che nulla hanno a che vedere con il dialogo proficuo e le relazioni di scambio fondati sulla ferma volontà di ottenere e promuovere buoni risultati per tutti i cittadini comunitari e non, di fatto uniti, per ciò che concerne la Svizzera, da accordi speciali”
Roma, 10 febbraio 2014 – Con una maggioranza di appena il 50% dei voti, gli elettori svizzeri hanno approvato l'iniziativa contro l'immigrazione “di massa” nel Paese, in merito alla quale erano stati invitati ad esprimersi con un referendum. La maggioranza dei sì è stata raccolta nei cantoni in cui si parla italiano e tedesco, oltre che nelle zone rurali. In particolare nel Canton Ticino si è sfiorato il 68%, mentre è quasi ovunque prevalso il no nelle regioni di lingua francese. Il referendum chiede di fatto l'introduzione di un tetto per nuovi residenti, lavoratori frontalieri e richiedenti asilo politico. L'esito del referendum impegna ora il Governo svizzero a rinegoziare nell'arco di tre anni tutti i trattati internazionali sulla circolazione degli stranieri nel Paese. Poichè le nuove disposizioni costituzionali sono in contrasto con l'Accordo sulla libera circolazione delle persone in vigore con l'Ue a partire dal 2002, l'esecutivo darà il via a nuovi dialoghi con Bruxelles. La Svizzera infatti non è membro dell'Unione europea, ma ha firmato diversi accordi di cooperazione bilaterale con Bruxelles, compreso uno che garantisce ai cittadini Ue di vivere e lavorare in Svizzera, e ai cittadini svizzeri di poter fare lo stesso nei Paesi europei. E' una realtà, intanto, che ad essere maggiormente colpiti sono i cittadini italiani (circa 60.000), i quali prestano servizio come pendolari in Canton Ticino. Per questi, in effetti, potrebbe scattare il numero chiuso. L'obiettivo primario di coloro che hanno promosso l'iniziativa, è di dare la priorità ai cittadini elvetici riguardo alle assunzioni nei luoghi di lavoro, e che solo in assenza di disponibilità possano essere accettati cittadini stranieri. Per il Governo, il risultato delle urne riflette “il malessere per la crescita demografica degli ultimi anni”. Anche a causa della crisi, il numero degli immigrati attirati dal benessere economico svizzero è andato oltre le normali previsioni, con un saldo migratorio di 77.000 persone l'anno, di cui il 70% provenienti dalla Ue. L'Unione europea ha commentato con una nota di rammarico, per il fatto che “un'iniziativa per l'introduzione di limiti quantitativi all'immigrazione sia stata approvata”. Come si legge sempre nella nota, “questo va contro il principio di libera circolazione delle persone tra Ue e Svizzera. La Commissione europea esaminerà le implicazioni del referendum sul complesso delle relazioni con la Svizzera”. La preoccupazione, però, è che il voto elvetico rientri in una corrente di nazionalismo che, a partire dal periodo critico che stiamo attraversando, investe l'Europa intera e l'Unione, tanto da divenire, in alcuni Paesi, il punto di riferimento di movimenti dell'ultradestra e xenofobi.
Luana Cinti, esponente dell'Italia Dei Diritti e Responsabile per il coordinamento delle Segreterie regionali, in merito ha commentato: “Situazione particolarmente delicata e complessa, da districare nell'ambito di un rapporto mai come ora in bilico tra Svizzera e Bruxelles. Dai passi positivi rappresentati da un significativo accordo con la Ue sulla libera circolazione delle persone, e pertanto a partire dalla creazione di un importante spazio di collaborazione fruttuosa che accompagnasse anche il superamento di parte delle criticità in ambito occupazionale a livello europeo, si è purtroppo passati, nell'arco di poco tempo, ad una realtà di stallo che rischia di mettere in serio pericolo i progressi fatti, la positività degli impegni congiunti a favore dei cittadini che chiedono di poter lavorare nei territori elvetici, in un contesto dove la crisi, e il rinvigorirsi di nazionalismi accentuati e xenofobia, vanno occupando uno spazio pericoloso d'espressione e coinvolgimento della popolazione, basandosi su paventati scenari di caos e impossibilità di gestire un avvenire dai tratti oscuri. Paura e allontanamento degli “stranieri”, al di là di attente e serie valutazioni basate sui fatti, rischiano di divenire il punto di partenza e riferimento per qualsivoglia azione ed iniziativa che nulla hanno a che vedere con il dialogo proficuo e le relazioni di scambio fondati sulla ferma volontà di ottenere e promuovere buoni risultati per tutti i cittadini comunitari e non, di fatto uniti, per ciò che concerne la Svizzera, da accordi speciali. E' un fatto che rispetto a due anni fa, il nuovo piano prevede una ulteriore estensione delle quote per gli immigrati nei confronti dei quali prevedere un tetto, includendo non più soltanto quelli provenienti dall'Europa centrale e orientale, ma anche coloro che risiedono nell'area occidentale. Possiamo comprendere, pur non condividendo, l'idea di chi ha posto l'accento sulla necessità di dare la precedenza ai lavoratori residenti nei diversi cantoni per scongiurare eventuali problemi legati ad una immigrazione fuori controllo che nel lungo termine diminuirebbe le risorse attualmente più scarse rispetto al passato, ma è pur vero che in tal modo ci si sottrae ad accordi precedenti con la Ue, a relazioni coltivate e stabilite nel tempo per raggiungere insieme obiettivi economici e diplomatici importanti per entrambi, dai quali dipende l' opportunità di trovare, anche in futuro, risposte fondamentali alle esigenze lavorative di migliaia di persone, le quali in Europa e Svizzera devono poter continuare a cogliere i segni di un impegno reale e di un partecipato interesse rispetto alle sfide economiche e sociali da affrontare con urgenza”.

Ufficio Stampa Italia Dei Diritti

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