Emanuele Giudice
Prefazione di Giuseppe Lumia
pp. 160, euro 12
ISBN 978-88-95709-18-5
Il partito democratico, alla cui guida è stato chiamato con suffragio popolare Walter Veltroni, è nato con l'intento di metter insieme le diverse anime del riformismo progressista. Il suo ambizioso obiettivo è quello di rinnovare dal profondo l'intera società italiana, lasciandosi definitivamente alle spalle tutti quei corporativismi che continuano a bloccare le enormi potenzialità del nostro Paese. Il volume di Emanuele Giudice, scritto a caldo, racconta la nascita di questo nuovo soggetto politico, le sue origini storiche, i propositi e le aspettative, non nascondendo quegli aspetti che ancora appaiono confusi e che pertanto necessitano un immediato approfondimento. «Il libro di Emanuele Giudice – scrive nella prefazione Giuseppe Lumia – ci aiuta a comprendere il progetto di Veltroni e del Partito democratico attraverso un cammino nella vita sociale e politica italiana. Ci dà una lettura intelligente degli avvenimenti, ci mette di fronte ai passaggi cruciali dellÂ’avvio del progetto, ma il suo linguaggio diretto e arguto scorre sempre dentro i binari della memoria e della tensione progettuale. Un testo, insomma, per capire meglio ed entrare dentro la logica e il cammino del Partito democratico».
Emanuele Giudice è nato e vive a Vittoria (Ragusa). Collabora a diversi periodici e svolge attività politica. Ha pubblicato numerosi libri, tra i quali: La morte dellÂ’agave, (Foggia, 2001); Il poeta e il diavolo (Foggia 2003); Il sapore dellÂ’aria (Roma 2007); Mafia come solitudine e rifiuto (Modica 1984); La scommessa democristiana (Modica 1984); Il tempo della politica (Palermo 1986); LÂ’utopia possibile. Leoluca Orlando e il caso Palermo (Palermo 1990); Il silenzio del vento (Ragusa 2007); Tempo delle spine. Cristiani tra disagio e speranza (Ravenna 2007); Dialogo per una scommessa (Foggia 1991), Una stagione di rabbie (Palermo 1993), Ora che il sogno è pietra (Foggia 1997); Monologo sulla pietà (Foggia 2000); Finale dÂ’avventura (Foggia 2006).
La prefazione
di Giuseppe Lumia, senatore Pd
Il progetto del Partito democratico di Walter Veltroni sta scuotendo dalle fondamenta la politica e la stessa società italiana. AllÂ’inizio ha sorpreso tutti ed ha creato un doppio effetto: nel ceto politico smarrimento, visto che è alquanto insolito nel contesto partitico italiano fare una scelta così forte e innovativa al punto tale da rompere il quadro delle alleanze e procedere, praticamente da solo, come Pd alla competizione elettorale. In una parte della società italiana ha innescato un carico di entusiasmo perché finalmente sono state dette delle semplici verità sullÂ’elevato e insopportabile numero di partiti, sulla necessità di riformare la politica e la classe dirigente e sulla coerenza del progetto di governo rispetto alle alleanze.
Ma il progetto del Partito democratico non va solo misurato con le contraddizioni e le opportunità dellÂ’oggi. Rischierebbe
di diventare lÂ’ennesima risposta congiunturale e di corto respiro. Il metro da utilizzare è quello un poÂ’ più lungo della storia alla pari di quegli eventi che portarono alla costituzione alla fine dellÂ’Ottocento del Partito socialista e poi, successivamente, degli altri partiti di massa come il Partito popolare, il Partito comunista e la Democrazia cristiana. Un evento segna la storia e getta le basi per la germinazione di una nuova cultura politica. Un progetto di tale portata richiede naturalmente la capacità di Veltroni e degli organi dirigenti di collocare il Pd nel cuore pulsante di tre grandi sfide: la crisi della politica, la crisi delle Istituzioni, la crisi della società.
Sulla crisi della politica molto si è detto e attivato nella società italiana. Ma nessun progetto è stato capace di costruire un percorso vero di riforma della politica. In molti casi si è addirittura confusa la riforma della politica con la riforma dellÂ’economia o del welfare o delle stesse istituzioni. Si è negato in sostanza lÂ’evidente difficoltà che la politica aveva in sé nel suo modo di pensarsi e agire.
La crisi è stata trascurata e alla fine è esplosa in tutta la sua drammaticità fino al punto da alimentare una campagna di antipolitica e di anti-casta. Non cÂ’è stata né dopo la crisi degli anni Sessanta, né dopo la crisi dei primi anni Novanta la capacità di autoriformarsi nei valori, nella cultura politica e nei meccanismi di decisione e di partecipazione.
Adesso è necessario farlo e Walter Veltroni ha avuto il coraggio di avviare un percorso. Partecipazione e decisione finalmente non vengono posti in conflitto. La partecipazione diventa una risorsa da attivare a discapito di chi ha teorizzato frettolosamente lÂ’eclissi di tale dimensione nelle democrazie mature. Le primarie sono state uno strumento per innescare la scintilla della partecipazione. Adesso è necessario coltivare tale dimensione sul piano progettuale e territoriale per supportare la classe dirigente e la vita democratica dei cittadini di nuovi strumenti in grado di incidere sulle grandi decisioni nazionali e sulla vita locale nelle sue diverse articolazioni.
Ma sarebbe un errore pensare alla partecipazione come antitesi della decisione. Anche questÂ’ultimo tratto della politica deve essere riformato e deve essere visto come una grande risorsa che segna le capacità delle nuove leadership e della funzionalità democratica delle Istituzioni.
Decidere non è il vecchio decisionismo. Decidere è esercizio della responsabilità e capacità di selezionare le possibili scelte. Decidere è trasparenza e soprattutto applicare il modo di fare politica che è ormai parte integrante delle nuove leadership europee che possiamo riassumere nello slogan “detto, fatto” che già Zapatero oggi e, prima, Tony Blair hanno saputo ben applicare.
Ma non basta la riforma della politica, cÂ’è anche di fronte al Partito democratico la riforma delle Istituzioni. Anche le Istituzioni debbono subire un profondo cambiamento. Furono pensate nella nostra stupenda cultura costituzionale per rappresentare e includere nella democrazia tutti i soggetti sociali e i territori nelle Istituzioni. Ognuno doveva ritrovarsi e sentirsi parte integrante delle Istituzioni democratiche in un Paese con alle spalle una debole storia democratica e statuale e attraversata da tensioni anti-sistema come il terrorismo e di corrosione del sistema come le mafie.
La diffusione capillare della democrazia è stata affidata ai partiti e le Istituzioni hanno svolto un ruolo ancillare. Oggi abbiamo bisogno di Istituzioni forti e funzionanti, in grado di tenere il passo con il cambiamento della società. Naturalmente
libere dai conflitti dÂ’interesse e da pulsioni autoritarie. Il progetto del Partito democratico può sbloccare realmente il nostro
sistema istituzionale con un bipolarismo mite e competitivo, libero dalla cultura amico-nemico e anche dal tarlo del consociativismo. La legge elettorale dovrà essere coerente con tale nuova impostazione, così come il Parlamento dovrà avere una sola Camera avente funzioni legislative, un numero ridotto di parlamentari, dovrà conseguire una maggiore speditezza nei lavori e liberarsi di tutti quei privilegi che hanno trasformato i parlamentari in
una casta.
Il Partito democratico dovrà forgiare la sua identità e la sua cultura di governo confrontandosi con unÂ’altra grande sfida: la crisi e la trasformazione della società.
La società italiana è ormai troppo chiusa, organizzata in corporazioni, con profonde ingiustizie salariali e territoriali e con una debolissima capacità dinamica di stare al passo della competizione nel contesto della globalizzazione. Fiducia, valori di coesione, sicurezza, capacità produttiva, innovazione e ricerca, sburocratizzazione, giustizia ed equità fiscale, lotta alle mafie hanno bisogno di una leadership adeguata e di un progetto di riorganizzazione del Paese con grandi e radicali riforme. Solo con un forte partito e con una moderna classe dirigente si potrà affrontare questa sfida. Veltroni lÂ’ha lanciata, adesso bisogna farla vivere capillarmente nel cuore e nella testa degli italiani.