“Scendere dentro”, l’ultimo romanzo di Salvio Fiore (Loffredo editore, 2012, 2004 pp.), è un viaggio metaforico, simbolico, ma anche fisico, materiale, non solo negli “abissi” di una città, ma soprattutto nel cuore di chi non intende accettare gli stereotipi e le arroganze, spesso istintive, e socialmente innate, dei cosiddetti “regolari” – o, meglio, come vengono definiti nel libro, degli “omologati” o dei “superficiali” – nei confronti di tutti coloro che sono (stati) segnati dal marchio della diversità. Una delle immagini più belle partorite dalla fantasia di Fiore è quella di un bar, lo Sky bar, che si trova in un imprecisato terrazzo napoletano dei quartieri spagnoli ed è gestito da individui che soffrono di una qualche tipologia di disabilità. Oltre ai personaggi, letterariamente ben costruiti (su tutti quelli di Vincenzo Scognamiglio e di Pastorius Vogel), non può passare inosservato il riferimento alla Napoli sotterranea e dei pozzari, figura oggi scomparsa (ma non nella storia raccontata da Fiore) che per secoli ha scandito la vita e il folklore del capoluogo campano. Così come si rivela efficace, e non necessariamente scontata, la scelta di includere nell’intreccio di “Scendere dentro” il Tunnel Borbonico, un percorso museale realmente aperto da qualche anno che propone ai suoi visitatori una particolare prospettiva dell’identità storica della metropoli partenopea.