Povertà  e sfiducia

Di Carlo Di Stanislao

Secondo l’indicatore “Europa 2020” 3 famiglie italiane su 10 sono a rischio povertà e cioè 2 milioni 782 mila (l’11,1% delle famiglie residenti) corrispondenti a 8 milioni 173 mila individui , il 13,6% dell’intera popolazione.
Un dato che sarebbe meno allarmante e fossero vere le parole usate da Benigni per commentare la Costituzione, con un governo che si impegna ad usare correttivi, ma che invece sono disastrosi sapendo quale è lo stato della nostra economia e del lavoro e come stanno andando le cose in Europa.
Sembrano salire i contratti di lavoro ma, a ben vedere, in forma fittizia. Nei primi sei mesi del 2012 sono stati attivati oltre cinque milioni di rapporti (3.925.328 riguardanti il settore dei servizi, 788.113 l’industria, di cui 350.443 il comparto delle Costruzioni, e 707.643 l’agricoltura), ma meno di uno su cinque è a tempo indeterminato – circa il 19 % – contro il 68% di assunzioni a termine. Le collaborazioni salgono all’8,5%, per un totale di 461.086, mentre le “cessazioni” di rapporti di lavoro sono ben 4,49 milioni.
Tragica poi la situazione dei pensionati: quasi uno su due – il 47,5 % – ha un reddito di meno di mille euro, il 37,7% si attesta fra i mille e duemila e solamente per il 14,5% è superiore ai duemila.
E fa rabbia sapere che ieri è stato stralciata la incompatibilità di doppie retribuzioni per i politici, dopo che la Commissione per il livellamento retributivo, guidata dal presidente Istat Enrico Giovannini, aveva rinunciato, a gennaio, al suo incarico, affermando che sebbene i parlamentari europei hanno l’indennità mensile lorda più alta d’Europa, il “costo complessivo” del parlamentare in altri paesi, quali Francia e Germania, è ben superiore.
Si fa fatica a capire come in nessun paese europeo un parlamentare percepisca un'indennità lorda mensile pari a quella del deputato (11.283 euro) e del senatore (11.550 euro) italiano e ancora a digerire il fatto che essa costituisca solo una delle cinque voci che compongono il “costo” del parlamentare (diaria, spese di viaggio e trasporto, spese di segreteria, spese per assistenza sanitaria, assegno vitalizio e di fine mandato).
Quindi, come scrive quasi solo l’Unità, senza troppo dar nell’occhio, l’esecutivo ha sensibilmente “ammorbidito” la riduzione delle indennità di chi più o meno autorevolmente siede agli scranni di Palazzo Madama e Montecitorio, tornando a fornire ossigeno alla pratica del doppio incarico (per la soppressione del quale, lo ricordiamo, sempre l’Unità ha lanciato di recente una campagna che ha raccolto oltre 12 mila firme in pochi giorni), con una norma infilata ieri nel maxiemendamento, che riduce l’abbattimento dal 50 al 20% per la parte eccedente i 90 mila euro e in misura del 40% per la parte eccedente i 150 mila euro.
Una cortesia per i “doppiolavoristi” del nostro parlamento, ma soprattutto un piccolo ma significativo blitz, che forse sarebbe passato inosservato non fosse stato per il senatore del Pd Mauro Agostini, che l’ha sbattuto in faccia alla maggioranza nel suo intervento in aula.
E se il governo Monti, che ora in tanti vorrebbero replicato solo con qualche modifica, voleva mandare un segnale sul recupero della dignità della politica, l’ha mandato e dopo il massacro dei comuni e delle regioni, i licenziamenti più facili, le pensioni ritardate o ridotte, l’aumento de l’Iva e addirittura la restituzione del bonus bebé ed il pagamento in un sol colpo a fine gennaio di quanto dovuto dai commercianti in area cratere aquilano, a chi ne aveva fatto regolare richiesta in seguito alla lacrimevole lettera di Silvio Berlusconi nel 2005, il passo è stato quello di rallentare, attenuare e rendere meno indigesto il primo timido taglio agli emolumenti dei parlamentari.
Questione di sensibilità, evidentemente, cui si aggiunge la confusione regnante e la sfiducia che ormai aleggia sovrana.
Come ha scritto già a febbraio Massimo Consorti sul suo blog, la discriminante fra ricchezza e povertà, secondo qualcuno, è un bene di lusso che non deve fare la differenza, visto che “essere ricchi non è una colpa”.
Il fatto è che tutti i ministri del governo Monti sono ricchi, anzi ricchissimi, con il Ministro della Giustizia Paola Severino che guadagna la sciocchezza di sei milioni di euro l’anno e Corrado Passera che si ferma a soli (si fa per dire) 3 milioni e mezzo.
E siccome i ricchi fanno lobby, perché meravigliarsi della assenza di una patrimoniale o di accordi reciproci con la Svizzere per recuperare almeno una parte dei capitali evasi?
E siccome nuovi ricchi, a furia di stipendi, sono tutti i politici, come non comprendere che anche loro vanno tutelati?

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