ABBASSO I CRIMINALI GRIDANO GLI STUDENTI IN AFGHANISTAN


Non permettiamo che le scuole afghane siano intitolate ai traditori: è il titolo di un articolo del Movimento “Revolutionary Association of the women of Afghanistan” del 22 ottobre 2012. Gloria Geretto del Cisda il 28 ottobre scrive un articolo “Afghanistan: Università di Kabul intitolata al criminale Rabbani, continuano le proteste degli studenti”. Apprendo che sarà domani 1 novembre sul Manifesto, senza meno con altre aggiunte. Io anticipo il tema e un video che ho trovato sul web: Kabul University Student Protest, محصلان پوهنتون کابل دست

Un mese fa qualcuno sapeva ma non veniva comunicato da nessuna parte del mondo occidentale e dai media, figurarsi in Italia, che: ” centinaia di studenti hanno nuovamente protestato bloccando l’ingresso al Parlamento, contro la decisione di Karzai di intitolare l’Università di Kabul a Burhanuddin Rabbani, capo del partito Jamiat-i-Islami, responsabile di crimini contro la popolazione afghana e ucciso lo scorso anno in circostanze poco chiare. Hamdullah, studente di letteratura, ha dichiarato all’agenzia di stampa afghana Pajhwok: “un certo numero di parlamentari sono usciti dal parlamento per minacciare i manifestanti. Inoltre il veicolo di un parlamentare ha colpito i manifestanti, ferendone tre” ha asserito lo studente “senza farsi riconoscere!”. Pare che l’autore dell’investimento sia proprio il deputato della provincia occidentale di Herat, Nazir Ahmad Hanafi, che prima ha tentato di prendere a calci i manifestanti e poi ha tentato di investirli con la sua auto davanti al Palazzo del Parlamento. Naturalmente il suo autista ha negato ogni addebito. Uno studente di fisica, Mohammad Ausat, ha avvertito: “la nostra protesta diventerà violenta se il decreto presidenziale non sarà ritirato. E Karzai sarà responsabile di quello che succederà”.

Un altro partecipante, Zhmana, ha detto che sono pronti a rimuovere la targa incisa con il nome di Rabbani. “stiamo protestando da sei giorni” ha detto “ma nessuno ha dato attenzione alla nostra protesta!!” Dopo le proteste, alcuni parlamentari hanno suggerito che forse non era il caso di nominare gli edifici pubblici con il nome di personaggi politici coinvolti nella guerra civile. Shukria Barakzai, una rappresentante del parlamento, ha sostenuto che gli afgani non hanno un buon ricordo dei leader jihadisti e forse era il caso di rimuovere la targa. Inoltre Abdur Rauf Ibrahimi ha promesso di farsi interprete della richiesta degli studenti con il Presidente Karzai. Ha detto che avrebbe esortato il Presidente a trovare una soluzione amichevole al problema.”

Accade in Afghanistan, paese che ricordiamo solo quando ci dicono che è “morto uno dei nostri in missione di pace” . Vi allego non solo l’ articolo di Gloria Geretto ma anche l’ intervento di Simona Cataldi enunciato a Roma alla Casa Internazionale delle Donne il 23 ottobre. Si, perchè passeggiando in Rete, questa volta ho trovato anche un video dell’ esecuzione di una giovane donna afghana in uno spiazzo vicino Kabul, Taliban publicly execute woman near Kabul, per mano di talebani. Non si sa mai quale sia il film o la verità, tranne se la morte ci tocca da vicino.Grazie per l’ attenzione e per chi vorrà contribuire alla libera circolazione e informazione di queste giovani voci.

Doriana Goracci

Gloria Geretto del C.I.S.D.A., 28 Ottobre 2012
Non si placano le proteste degli studenti di Kabul contro la decisione di Hamid Karzai di intitolare all’ex presidente Burhanuddin Rabbani l’Università di Kabul. Il decreto presidenziale prevede infatti di rinominare l’ateneo di Kabul in onore a Rabbani, fondatore e capo del partito religioso afghano Jamiat-i-Islami, ucciso il 20 settembre del 2011 in un attentato suicida nella sua residenza di Kabul, situata nel quartiere diplomatico Wazir Akbar Khan. Rabbani, presidente afghano durante la sanguinosa guerra civile tra il 1992 e il 1996, è noto come uno dei più grandi criminali in Afghanistan e per aver commesso feroci crimini di guerra contro la popolazione nella prima metà degli Novanta, uccidendo più di sessantacinque mila civili, costringendo molti afghani a lasciare il paese e distruggendo la città di Kabul. Secondo un rapporto del 2005 intitolato Blood-Stained Hands (mani macchiate di sangue) pubblicato dall’Osservatorio sui Diritti Umani, Human Rights Watch, Rabbani e le sue milizie avrebbero torturato, rapito, stuprato e ucciso centinaia di migliaia di civili anche negli anni successivi alla guerra fazionale, gettando acido sul volto delle studentesse della stessa Università di Kabul in cui oggi è affissa una targa in suo onore. Nel 1993, proprio a pochi passi dall’università che da qualche settimana porta il suo nome, Rabbani insieme alle milizie di Ahmad Shah Massoud e Rasool Sayyaf uccisero barbaramente centinaia di civili di etnia Hazara in un attentato che divenne noto come il massacro di Afshar. Nominato nel 2010 capo dell’Alto consiglio di pace e incaricato di mediare con i talebani, Rabbani non fu mai processato da un regolare Tribunale Internazionale per i crimini commessi grazie all’amnistia concessa dal governo di Karzai nel 2010 che graziò molti signori della guerra tra i quali lo stesso leader jihadista per le atrocità compiute negli ultimi trent’anni, legittimandoli così agli occhi della comunità internazionale. Ad un anno esatto dalla morte di Rabbani, il presidente Karzai ha rinominato l’ateneo della capitale e la strada circostante in ‘Università del Martire della Pace e Professore Burhanuddin Rabbani’, in ricordo dell’ex leader jihadista. Da subito la controversa decisione del presidente Karzai ha scatenato le proteste di centinaia di studenti afghani che dal 23 settembre scorso continuano a manifestare ogni giorno davanti all’università di Kabul chiedendo che il decreto venga immediatamente revocato e la targa commemorativa rimossa. Non sono mancati gli scontri e gli arresti: una ventina di studenti sono stati fermati mentre alcuni studenti e poliziotti sono rimasti feriti. Le proteste si sono poi estese davanti al Parlamento quando un gruppo di studenti ha bloccato l’entrata del palazzo che ospita l’Assemblea invocando la revoca del decreto. Secondo fonti locali, tre studentesse che manifestavano nella Piazza del Parlamento sono state investite da un’auto guidata da un deputato della provincia di Herat, sostenitore di Rabbani, che poco prima aveva tentato di prendere a calci alcuni manifestanti. Da settimane molti studenti rifiutano di tornare in classe, le lezioni sono state sospese e diversi insegnanti si sarebbero dimessi in segno di protesta e indignazione per la controversa decisione del presidente Karzai di rinominare l’ateneo. Uno studente di fisica, Mohammad Ausat, ha dichiarato che le proteste, oggi sospese per celebrare la festività islamica di Eid al-Adha, riprenderanno a breve e diventeranno ancora più violente se il decreto presidenziale non sarà revocato, e il movimento studentesco chiederà l’appoggio delle voci democratiche e liberali del paese, mentre alcuni manifestanti si dicono pronti a rimuovere la targa incisa con il nome di Rabbani se il presidente Karzai non interverrà al più presto.Uno studente presente alla manifestazione ha dichiarato all’agenzia di stampa Pajhwok Afghan News che le opinioni in merito al decreto sono contrastanti: alcuni studenti dell’università approvano la decisione del presidente Karzai di rinominare l’ateneo in onore di Rabbani, considerato e celebrato dal presidente come un ‘martire della pace’ ma la maggior parte si dichiara offesa e definisce questa scelta un atto vergognoso nonché ‘un insulto alle settantamila vittime uccise da Rabbani e le sue milizie’. Gli studenti hanno dichiarato che non permetteranno al governo Karzai di commemorare uno dei criminali più spietati della storia del loro paese come un eroe nazionale; altri invece hanno criticato il presidente accusandolo di aver coinvolto l’università in una questione politica troppo controversa. Il presidente Karzai ha ammesso nei giorni scorsi davanti ad un gruppo di studenti convocati nel suo ufficio di aver commesso un ‘errore’ in quanto avrebbe dovuto prima sottoporre la proposta agli insegnanti dell’università e al Ministero dell’educazione e ha promesso di risolvere presto l’educazione. Intanto la targa in onore a Rabbani non è stata rimossa e gli studenti sono pronti a riprendere le proteste.

Revolutionary Association of the women of Afghanistan, 22/10/2012
I nostri giovani patrioti, i difensori del nostro popolo sfortunato, devono sapere che questo movimento, per quanto piccolo, è il germe di un movimento che domani condurrà una più dura lotta contro i collaborazionisti e i traditori nazionali.
Il governo corrotto che loda e sostiene i macellai della nostra nazione, che sostiene i signori della guerra e i traditori, ha intestato un istituto di formazione e una strada della capitale a Burhanuddin Rabbani, uno dei distruttori di Afghanistan. Fortunatamente, questa volta, i nostri giovani che sono stanchi e consapevoli si sono mobilitati contro questo atto vergognoso di Karzai. Le loro proteste, nelle ultime tre settimane, hanno messo il governo traditore, i ladri che siedono in parlamento e l’intero apparato oppressivo, in una posizione disperata. Se in passato, la nostra gente avesse fortemente protestato contro il governo, quando alcuni luoghi a Kabul e in altre province vennero dedicati ad assassini come Mazari, Massoud, Tora Baz Khan, Atta Mohammad, Abdul Haq, Abdul Saboor Farid e altri, nessun traditore avrebbe osato insultare la nostra nazione, commemorando i suoi assassini.Fortunatamente, la maggior parte dei giovani dell’Università di Kabul insieme hanno dichiarato di trovare vergognoso studiare in un luogo intitolato ad un criminale brutale e che non permetteranno mai che questo governo di macellai di raggiunga il suo scopo infido. Si opporranno con fermezza a questa decisione. Le forze di sicurezza comandate dagli assassini Jamiati e Shoray Nizari, hanno attaccato i giovani che hanno protestato pacificamente ferendone e arrestandone alcuni. Questo atto fascista ha ulteriormente provocato la rabbia e il risentimento dei ragazzi. I nostri giovani patrioti, i difensori del nostro popolo sfortunato, devono sapere che questo movimento, per quanto piccolo, è una preparazione per la lotta di domani che sarà più dura contro i collaborazionisti e traditori nazionali. Questi giovani non devono essere intimiditi e devono continuano a resistere fino alla fine. Dovrebbero imparare dai giovani dell’Iran e di altri paesi che si oppongono contro i regimi più dispotici, accettando la tortura, le catene e la prigione, e anche di sacrificare la propria vita per la loro causa. I nostri giovani dovrebbero guardare ai loro coetanei in Iran come esempio. Il regime dei Vilayat-e Faqih (i guardiani della giurisprudenza islamica), con la sua forca e le sue prigioni, è stato umiliato dalle proteste dei suoi giovani. Essi dovrebbero guardare a Majid Tawakali come modello, questo eroe del movimento studentesco iraniano, la cui passione, la cui parola senza paura nelle università, ha scosso il regime. Sono tre anni che ha trasformato il macello del regime in un campo di lotta e resistenza. Oppure dovremmo guardare Yousof Rashidi, che ha alzato un cartello con la scritta “presidente fascista, non c’è spazio per te nel Politecnico”, durante il discorso di Ahmadinejad. E ‘da diversi anni che si trova nelle prigioni di Ahmadinejad – e del regime medievale Khamenei ma non si è arreso. Studenti consapevoli che lottano per la libertà come Neda Agha Sultan, Mohammad Mokhtari e Saney Zhala, hanno sacrificato la loro vita durante le rivolte degli studenti. Gli Istituti di formazione dell’Afghanistan sono sempre stati luoghi di pensiero progressista e patriottico. Il glorioso movimento di costituzionalisti in Afghanistan, che conquista una pagina magnifica della storia del nostro paese, è un esempio di tali movimenti. I nostri giovani consapevoli e patriottici non dovrebbero subire tutti questi tradimenti, saccheggi, e atti di bullismo da parte dei governanti fantoccio. Dobbiamo cancellare il fondamentalismo reazionario dai nostri centri educativi. Questo sarebbe possibile solo se i nostri giovani avessero la consapevolezza necessaria per non cadere nelle trappole del governo fantoccio che alimenta i conflitti etnici, linguistici, tribali e religiosi.Karzai e i signori delle guerre intitolano una università alla memoria di un criminale traditore, mentre in Pakistan, malgrado il suo regime sia il tutore e il custode dei nostri traditori reazionari indigeni, una università viene dedicata a Malalai Yousofzai. Questo confronto dimostra quanto il governo Karzai sia ancor più fondamentalista e degradato del più sporco Governo del Pakistan e di altri paesi.I traditori nazionali che governano la nostra nazione sotto l’ala degli USA e della NATO, possono erigere un monumento in nome degli eroi della distruzione e dell’ignoranza insultando la nostra nazione ma presto saranno gettati nel bidone della storia con i loro falsi eroi. Saranno presto dimenticati, proprio come lo sono stati i traditori dell’epoca Khalqi e Parchami. Se il nostro popolo, in particolare i giovani, sapranno svolgere il loro ruolo con coraggio patriottico, e lottare per le loro legittime esigenze, come hanno fatto gli studenti dell’Education University, la polizia e l’esercito del nostro governo fantoccio non avranno il coraggio di resistere, e saranno costretti a ritirarsi. Cari giovani, continuate la vostra legittima protesta. La maggior parte delle nostre persone sofferenti di tutte le etnie del paese, sono al vostro fianco.Salute ai giovani consapevoli e anti-reazionari dell’Education University!
“AFGHANISTAN IN GUERRA: PAROLE ALLE DONNE” di Simona Cataldi – C.I.S.D.A. Roma Ringrazio di cuore la Dr.ssa Scarcia e la Casa Internazionale delle Donne per l’invito a partecipare a questo interessante ciclo di seminari che ci dà l’opportunità preziosa di illustrare nonché di portare la nostra testimonianza sulla condizione delle donne in Afghanistan. Condizione che da sempre riflette fedele e al di là di ogni tipo di retorica, lo stato di salute reale di un paese in termini di democrazia e stato di diritto. Un tempo le violenze e le atrocità commesse nei confronti delle donne e la totale negazione che subivano dei più elementari diritti umani erano sotto i riflettori di tutti gli organi di informazione nazionale e internazionale. Oggi, il principale aspetto messo in luce dai media mainstream è il processo di presa di responsabilità delle istituzioni afghane, a valle del disimpegno significativo della Nato, che resterà nel territorio -sia detto per inciso- , ma senza dovere garantire la sicurezza alla popolazione afghana o al Governo nel processo di pace. Sembra quasi sottinteso che, a fronte di 12 anni di intervento, siano stati raggiunte, quantomeno in linea di massima, le condizioni di maturità politico-istituzionale necessarie per lasciare che il paese prosegua autonomamente il percorso di costruzione di una democrazia solida e foriera di una pace duratura. Tuttavia, ancora una volta, sembra che siano interessi “altri” a prevalere su quelli della popolazione e, in particolare, delle donne che non sono coinvolte, se non formalmente, nei meccanismi del processo di pace come prescritto, tra l’altro, dalla Risoluzione ONU 1325 che le riconosce come le prime e più gravi vittime dei conflitti. L’Afghanistan è uno dei paesi più corrotti al mondo e, secondo l’ultimo rapporto dell’International Crisis Group, sta precipitando verso una crisi politica devastante che sancisce irrimediabilmente il fallimento fattivo della Transizione. Il Governo non ha recuperato credibilità e lo stesso Karzai, riconfermato nel 2009 attraverso un processo elettorale definito tra i più fraudolenti al mondo, sembra sia stato interessato più a mantenere il potere che a mettere in atto le misure necessarie per contrastare l’impunità e il malcostume che compromettono la stabilità e la sicurezza del paese. Non esiste un sistema che faccia applicare le leggi dello Stato, incluse quelle che proteggono le donne. Le jirgas e le shuras tradizionali (vale a dire i Consigli tribali informali) che operano al di fuori del sistema giudiziario formalmente riconosciuto costituiscono una violazione del diritto ad un processo equo e continuano a gestire una stima dell’80% delle dispute, in particolare nelle aree tribali. Più dei 2/3 delle 700 donne che si trovano nelle carceri afghane sono detenute per “crimini morali” come il reato di zina – vale a dire di rapporti sessuali pre o extra matrimoniali – e la fuga da casa – che viene arbitrariamente associata all’intenzione di commettere adulterio e, quindi, di contravvenire a quanto prescritto dalla Sharia che pure informa la struttura normativa del paese. Le donne, al contrario, nella maggior parte dei casi scappano di casa per sfuggire a matrimoni forzati e ad altre forme di violenza. Nonostante la legge sull’Eliminazione delle Violenze nei confronti delle Donne, promulgata nell’agosto del 2009, e stando a quanto denunciato dalle principali agenzie NU, il 60% dei matrimoni in Afghanistan sono forzati e di questi, il 57% riguarda donne che hanno meno di 16 anni… Ancora dalle statistiche, l’87% delle donne dichiara di aver subito una violenza e la metà sono sessuali. La maggior parte delle donne che subisce una violenza sessuale, specialmente nelle province, o non è a conoscenza dei propri diritti – nonostante l’apertura di molte scuole, solo il 15% delle donne è alfabetizzata – o, in ogni caso, decide di non sporgere denuncia perchè non ha nessuna fiducia nelle istituzioni. Da una parte, infatti, l’impunità per lo stupro è molto più comune della condanna, dall’altra lo stupro è un disonore per la famiglia. Disonore che ricade completamente sulla vittima. I cosiddetti “delitti d’onore” per cancellare l’offesa o la galera possono essere le conseguenze della denuncia… Secondo l’Afghan Women Network -AWN- l’impossibilità di denunciare ha promosso a tutti i livelli la cultura dell’impunità e il suicidio rimane la scelta finale per sottrarsi a un destino che sembra voluto da Dio per la maggioranza delle donne. Non a caso, il numero delle auto immolazioni è purtroppo in continuo aumento. Selay, direttrice di HAWCA – l’associazione afghana che lavora per garantire assistenza umanitaria a donne e bambini anche sul fronte legale – ha denunciato quali sono gli ostacoli quotidiani che si frappongono al rispetto dei diritti umani, in particolare delle donne. Seppure esistono alcuni strumenti e diritti che garantiscono l’uguaglianza di uomini e donne di fronte alla legge, tuttavia la maggior parte dei giudici sono parte del sistema di potere fondamentalista dei signori della guerra che governano il paese. Sistema che non differisce da quello precedente dei talebani. Ad essere in aumento, secondo quanto denunciato da Selay, sono le cosiddette “violenze istituzionali” vale a dire quelle perpetrate da esponenti del governo, da parlamentari, da ministri o da membri delle loro famiglie cui l’apparato giudiziario garantisce protezione. E’ evidente che la condizione delle donne deve essere analizzata al di là delle apparenze e nell’ambito della cornice più ampia della realtà istituzionale e politica del paese da cui dipende la possibilità di promuovere concretamente la cultura della legalità e, quindi, l’emancipazione femminile. Altrettanto evidente la necessità e l’urgenza di riaccendere i riflettori della stampa per poter monitorare la situazione tutt’altro che risolta. E’ lapidario il giudizio di Human Rights Watch nel recente rapporto “I Had To Run Away”, l’Afghanistan, nonostante le misure intraprese, rimane uno dei peggiori paesi del mondo dove essere donna”. Come parte della comunità internazionale che nel 2001 promise la liberazione delle donne, è necessario prendere coraggiosamente atto degli errori commessi e fare pressioni su tutti gli attori in gioco per evitare di perpetrarli tanto più nella delicata fase di Transizione che stiamo accompagnando.

Fonte: http://www.rawa.org/rawa/2012/10/22/let-us-not-allow-the-contamination-of-educational-institutions-with-treacherous-renaming.html

http://www.osservatorioafghanistan.org/2012/10/la-protesta-degli-studenti-afghani-blocca-lingresso-al-parlamento-2/


un grazie particolare a Cristina Cattafesta

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