Herta Mà¼ller Ritagli e Lettura di Vita

«Con la forza della poesia e la franchezza della prosa, descrive il panorama dei diseredati». (Motivazione dell’Accademia Svedese, 8 ottobre 2009) Ho scoperto un’ amica: Herta Müller (NiÅ£chidorf, 17 agosto 1953) è una scrittrice tedesca, nata in Romania e vincitrice del Premio Nobel per la letteratura nel 2009. È nota per alcuni suoi libri sulle condizioni di vita in Romania durante la dittatura di Nicolae CeauÅŸescu: “…Poco prima che emi­grassi dalla Roma­nia, il poli­ziotto del vil­lag­gio è venuto all’alba ad arre­stare mia madre. Davanti al por­tone, ecco che all’improvviso lei si chiede: HAI UN FAZZOLETTO? Non l’aveva. L’agente era impa­ziente, ma lei è tor­nata indie­tro a pren­derne uno. Quando arri­va­rono al posto di poli­zia, quello comin­ciò a urlare, ma mia madre non par­lava abba­stanza bene il rumeno da capire le sue urla. E’ uscito dall’ufficio e ha chiuso la porta dall’esterno, con un cate­nac­cio. Mia madre è rima­sta chiusa lì den­tro per tutto il giorno: le prime ore ha pianto, seduta sulla sedia del poli­ziotto, poi si è messa ad andare avanti e indie­tro per spol­ve­rare i mobili col suo faz­zo­letto intriso di lacrime. Poi ha tro­vato in un angolo un sec­chio d’acqua, un asciu­ga­mano appeso a un chiodo e si è messa a lavare il pavi­mento. Quando me l’ha rac­con­tato, io ero piena di orrore: cosa? Ti sei messa a pulire un uffi­cio come quello? Per nulla sec­cata mi ha rispo­sto: dovevo fare qual­cosa per pas­sare il tempo. E poi era così sporco… Per for­tuna avevo preso un faz­zo­letto grande, da uomo! A tutti coloro che, ancora oggi, si vedono pri­vati della loro dignità da una dit­ta­tura, vor­rei poter dire solo una pic­cola frase, ma che con­tenga la parola “faz­zo­letto”. Chie­dere sem­pli­ce­mente: AVETE UN FAZZOLETTO? Que­sta domanda, forse, in ogni tempo, non riguarda affatto il faz­zo­letto, ma l’acuta soli­tu­dine degli uomini…”

La strada vaga in calze di cemento i cani con
lo zufolo di cera le erbacce rovi­stan­dosi nelle tasche,
col paltò sulla schiena per scap­pare dal paese mentre
il vento al di sopra del gra­no­turco avanza col carro fune­bre un
imbal­lag­gio ad un piano con tende di pelle di pollo
e a sua volta il con­ta­bile Ilie mor­dic­chiando la pel­li­cina delle unghie
con i denti della bocca di chiunque mi dice:
signora mia, fatti i cazzi tuoi l’estate
ti sputa nel caffè fatti una doccia
fredda, dav­vero, fai qualcosa

Oggi vi invio quanto ho raccolto di questa scrittrice che non conoscevo prima, poesie intanto, come nel suo libro Essere o non essere Ion :

“Sì, dentro e fuori:
per la prima volta, parrebbe,
la vita è a posto,
è avviata
è lubrificata sgangherata
è rubata giù in strada
equivocata
è resa bicicletta
ci spiace, non è in prestito.”
Come ebbe a dire Herta, “non riesco a resistere al bisogno di ritagliare appena leggo qualcosa che mi piace”.

Doriana Goracci

Herta Müller nasce a NiÅ£chidorf, nel Distretto di TimiÅŸ, il 17 agosto 1953. La regione in cui nasce, il Banato, è di lingua tedesca. Studia all’Università di TimiÅŸoara, e nel 1976 inizia a lavorare come traduttrice in una azienda ingegneristica, dalla quale sarà licenziata nel 1979 per mancata collaborazione con la Securitate, i servizi segreti del regime comunista. Si guadagna da vivere come maestra d’asilo e insegnante di lingua tedesca. Nel 1982 pubblica il suo primo libro, che uscirà però solamente in forma censurata, come gran parte delle pubblicazioni dell’epoca. Nel 1987 lascia la Romania per andare a vivere in Germania (dove vive tuttora) insieme al marito, lo scrittore Richard Wagner, e da lì inizierà a ricevere proposte per divenire professore universitario. La Müller nel 1995 viene accolta nell’Accademia tedesca di Letteratura e Poesia. Nel 1997 abbandona il PEN Club, come forma di protesta per la decisione di riunire le associazioni che facevano capo alla Germania Est ed Ovest prima del crollo del Muro di Berlino. Nel 2008 ha inviato una lettera critica a Horia-Roman Patapievici, presidente dell’Istituto di Cultura Romena, che aveva espresso il suo sostegno ad una scuola romeno-tedesca nella quale lavoravano due ex-informatori della Securitate. L’8 ottobre 2009 riceve il Premio Nobel per la Letteratura.

Il Nobel per la Letteratura è andato quest’anno ancora una volta a un’outsider, la scrittrice tedesca di origine romena Herta Müller. Nata nel 1953 a Nitzkydorf, nel Banato Svevo, in Romania, da una famiglia della minoranza germanofona, compì studi alla scuola tedesca e studiò Letteratura Romena all’Università di Timisoara. Divenuta traduttrice, nel 1979 rifiutò di cooperare con il regime comunista di Ceausescu e dovette arrangiarsi a dare lezioni private di tedesco e a insegnare alle elementari. La sua prima opera uscì in lingua tedesca in Romania nel 1982, con numerosi tagli censori, e nel 1984, completa, in Germania. La sua vita ormai era lì, all’estero: vi si trasferì con il marito Richard Wagner, nel 1987, due anni prima della caduta del regime, e iniziò a tenere letture nelle Università tedesche.

A dimostrazione della pochezza della cultura italiana, va segnalato che di Herta Müller, esponente di quella che in tedesco è chiamata “Weltliteratur”, esiste una sola traduzione in italiano, quella di “Il paese delle prugne verdi”, edita dalla roveretana Keller. Va segnalato pure che la Müller, presente quest’anno a Festivaletteratura di Mantova, non è poi così conosciuta, visto che le voci di Wikipedia a lei dedicate nelle varie lingue hanno cominciato ad essere implementati solo dopo la vittoria del Nobel. LA POESIA CI SALVA LA VITA

Per rendersi conto del suo stile, ecco tre brevi stralci:
DA “IL PAESE DELLE PRUGNE VERDI” (Keller, 2009)

Tornai allo studentato a piedi, a notte fonda. Lungo il sentiero incontrai tre guardie, non volevano nulla da me. Erano occupati con se stessi, mangiavano prugne verdi come di giorno. Era così silenzioso in città, che li sentivo masticare. Avanzai piano, in modo da non disturbarli mentre mangiavano. Avrei preferito camminare in punta di piedi, ma se ne sarebbero accorti. Camminando, diventai leggera come un’ombra, non sarebbero mai riusciti ad afferrarmi. Le prugne verdi nelle mani delle guardie erano nere come il cielo.

*

Nella paura avevamo scrutato l’uno nell’altro, più profondamente di quanto fosse lecito. In questa lunga confidenza avevamo bisogno di un’inversione, che arrivò inaspettata. L’odio poteva calpestare e annientare. In una maggiore vicinanza poteva falciare l’amore reciproco, perché cresceva come l’erba lunga. Le scuse ritirarono l’offesa in meno tempo di quanto si trattenga il respiro.

Lo scontro cercato era sempre intenzionale, solo ciò che provocava rimaneva un errore. Al termine della rabbia, veniva dichiarato ogni volta l’amore reciproco, senza inventare alcuna parola. Il nostro amore c’era sempre. Ma nello scontro l’amore aveva degli artigli.

*

Scrivendo, non dimenticare la data e metti sempre un capello nella lettera, disse Edgar. Se dentro non c’è, vuol dire che la lettera è stata aperta. Singoli capelli, pensai tra me, sui treni, attraverso il paese. Un capello scuro di Edgar, uno chiaro, mio. Uno rosso di Kurt e Georg. Entrambi venivano soprannominati dagli studenti ragazzi d’oro. Per l’interrogatorio una frase con forbicine per unghie, disse Kurt, per la perquisizione una frase con scarpe, per il pedinamento una frase raffreddata. Dopo il titolo sempre un punto esclamativo, per una minaccia di morte solo una virgola.

Berlino – Un libro di poesie scritto non con caratteri di stampa, ma con parole ritagliate da giornali e riviste, allineate una dietro l’altra a formare versi, con una tecnica identica a quella di chi scrive lettere ricattatorie. Herta Müller manda in questi giorni in libreria la sua nuova creazione: un volume di 208 pagine dal titolo “V ater telefoniert mit den Fliegen”, papà telefona alle mosche, per l’editore H anser Verlag.
In una lunga intervista allo Spiegel il Nobel per la letteratura 2009 spiega perché ha scelto questa soluzione grafica, con radici profonde nei traumi subiti quando viveva ancora nella Romania di Ceausescu ed era costantemente spiata dalla Securitate. «Non mi verrebbe mai in mente di ricattare qualcuno, non ne sarei capace, l’idea del collage mi è venuta ripensando ai volantini, che in Romania non si potevano stampare perché sotto quella dittatura le macchine da scrivere erano registrate dalla polizia. Bisognava arrangiarsi con quello che c’era, dunque si ritagliava e si incollava». Müller si rende conto di non rendere la vita facile ai critici letterari, che davanti a questa originalissima forma di scrittura non sanno come raccapezzarsi e parlano di “poesia in immagini” e di “poesie in prosa”, mentre per la scrittrice la realtà è molto più semplice. «Per me è solo un modo di scrivere, nient’altro. Da anni invio ai miei amici cartoline con collage di parole. Anche in viaggio porto sempre con me un piccolo paio di forbici e appena in aereo trovo in una rivista una parola che mi piace, zac, la ritaglio e la metto da parte. A casa faccio lo stesso anche sul tavolo di cucina». All’osservazione che forse si tratta di una specie di dipendenza, la Müller riconosce: «È davvero incredibile, non riesco a resistere al bisogno di ritagliare appena leggo qualcosa che mi piace». Poi rivela che questa abitudine le è venuta all’inizio degli anni ‘90, durante un soggiorno di sei mesi presso l’Accademia tedesca di Villa Massimo a Roma. Il fascino delle parole stampate bene su carta patinata è stata per lei una scoperta legata alla sua fuga dalla Romania, dove «tutto era grigio, l’inchiostro dei giornali puzzava e nel leggerli venivano le mani nere, per non parlare del linguaggio assolutamente insignificante». «Quando arrivai in Germania nel 1987 mi sembrò di stare su un altro pianeta, tutti quei colori mi ferivano quasi gli occhi. Mio Dio, che bella carta e che immagini! E pensare che poi si butta via tutto. Allora ho deciso di fare qualcosa». Il risultato è che il suo appartamento, anche se ordinato, ha una stanza da lavoro ripiena a metà di giornali e riviste che i vicini le mettono davanti alla porta di casa: «Trovo bellissimo poter conservare tutto e non dover nascondere nemmeno quello che hanno scritto gli altri, in Romania dovevo celare qualunque cosa, nel timore che cadesse nelle mani dei servizi segreti». La scrittrice mostra un umorismo di cui non c’è traccia nelle sue opere precedenti, e spiega: «In tutto quello che ho scritto finora, che ha al centro il problema della dittatura, l’umorismo non potevo permettermelo, adesso posso dare sfogo anche a questo lato del mio carattere». La scrittrice rivela che dedicarsi alla letteratura fu casuale: «Mia madre voleva che facessi la sarta, imparai così bene che ancora oggi so fare perfettamente le asole”.

Fonti:

http://www.ilsecoloxix.it/p/cultura/2012/08/28/APcvt7ID-poesie_anonime_lettere.shtml

http://www.rable.it/?p=1951http://www.rable.it/?p=3279

http://www.rable.it/?p=1951


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