La Fondazione Commercialistitaliani chiede al legislatore maggiori e più chiare delucidazioni in materia di riforma del lavoro: Come snellire la burocrazia? Come dare rilancio dell’economia?

Con il presente comunicato la Fondazione Commercialistitaliani (F.CI) si chiede quali futuri scenari si potranno aprire con la nuova riforma del lavoro.

I problemi da affrontare non solo rimangono sempre gli stessi, ma purtroppo aumentano. Come snellire la burocrazia per rilanciare il settore lavorativo che attraversa la più grande crisi mai registrata dalla nascita della Repubblica? Come rilanciare l’economia?

La F.CI dopo aver analizzato nello specifico tre punti fondamentali della riforma del lavoro quali I contratti a progetto, L’associazione in partecipazione con apporto di lavoro e i Titolari di partita IVA, ritiene di porre all’attenzione del legislatore e della cittadinanza come questi tre elementi possano diventare parti integranti di un “grande incubo” che i lavoratori italiani dovranno subire passivamente.

Certamente se l’intento doveva essere da una parte “sburocratizzare” e dall’altra combattere la disoccupazione, si può dire che la riforma del lavoro non sortirà nessuno di questi effetti.

L’incubo – Parte prima – I contratti a progetto

La legge n° 92 del 28 giugno 2012, entrata in vigore il 18 luglio 2012, relativa alla novella in materia di “Contratti a progetto” stabilisce che:

a) Il contratto deve contenere la descrizione di un progetto specifico, che sia individuabile il suo contenuto caratterizzante e il risultato finale che si intende perseguire.

b) Il progetto non deve essere una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente e non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi individuabili nei contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

c) La mancanza di un progetto specifico determina la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

d) I rapporti di collaborazione coordinata continuativa, anche a progetto, salvo la prova contraria a carico del committente, sono considerati rapporti di lavoro subordinato sin dalla data di costituzione del rapporto, nel caso in cui l’attività del collaboratore sia svolta con modalità analoghe a quella svolta dai lavoratori dipendenti dell’impresa committente, fatte salve le prestazioni di elevata professionalità che possono essere individuate dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

e) Il compenso al collaboratore deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito e non può essere inferiore ai minimi stabiliti in modo specifico per ciascun settore di attività, eventualmente articolati per i relativi profili professionali tipici e in ogni caso sulla base dei minimi salariali applicati nel settore medesimo alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati, dai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale a livello interconfederale o di categoria ovvero, su loro delega, ai livelli decentrati.

f) In assenza di contrattazione collettiva specifica, il compenso non potrà essere inferiore, a parità di estensione temporale dell’attività oggetto della prestazione, alle retribuzioni minime previste dai contratti nazionali di categoria applicati nel settore di riferimento alle figure professionali il cui profilo di competenza e di esperienza sia analogo a quello del collaboratore a progetto.

g) E’ possibile per le parti recedere prima della scadenza del termine, ovvero della realizzazione del progetto che ne costituisce l’oggetto, per giusta causa; il committente può recedere, prima della scadenza del termine anche qualora siano emersi oggettivi profili di inidoneità professionali del collaboratore tali da rendere impossibile la realizzazione del progetto, mentre il collaboratore può recedere prima della scadenza del termine, dandone preavviso, nel caso in cui tale facoltà sia prevista nel contratto individuale di lavoro.

Da quanto si evince dallo scritto sopra citato la F.CI intravede diversi scenari che a breve potrebbero diventare realtà

1. l’abbandono dell’utilizzo di simili contratti: infatti, questi potranno essere adottati esclusivamente per prestazioni di lavoro di elevata professionalità che potranno essere individuate da contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative.

2. forse … un incremento delle posizioni IVA?

3. è possibile ipotizzare, un incremento del contenzioso in materia di lavoro.

L’incubo – Parte seconda – L’associazione in partecipazione con apporto di lavoro

La legge n° 92 del 28 giugno 2012, entrata in vigore il 18 luglio 2012, relativa alla novella in materia di “Contratti di associazione in partecipazione con apporto di lavoro” stabilisce:

a) che il numero degli associati impegnati nella medesima attività non può essere superiore a 3 (tre), indipendentemente dal numero degli associanti, con unica eccezione nel caso in cui gli associati siano legati all’associante da rapporto coniugale, parentela fino al 3° grado e affinità fino al 2° grado.

In caso di violazione del divieto, il rapporto con tutti gli associati si considera di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

b) altre presunzioni di rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato nel caso in cui non vi sia stata una effettiva partecipazione dell’associato agli utili dell’impresa o dell’affare, ovvero nel caso in cui il rendiconto, previsto dall’art. 2542 C.C., non sia stato consegnato.

e fin qui nulla da dire, ma …

che la presunzione sia applicabile anche qualora l’apporto di lavoro non presenti i requisiti di cui all’art. 69-bis, comma 2, lettera a) del D.Lgs. 276/2003 – competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto dell’attività – francamente appare sconcertante.

Da quanto si evince dallo scritto sopra citato la F.CI intravede, anche in questo caso, diversi scenari che a breve potrebbero diventare realtà

1. l’abbandono dell’utilizzo di simili contratti, infatti, questi potranno essere adottati esclusivamente per prestazioni di lavoro di elevata professionalità che potranno essere individuate da contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative.

2. forse … un incremento delle posizioni IVA?

3. è possibile ipotizzare, un incremento del contenzioso in materia di lavoro.

L’incubo – Parte terza – Titolari di partita IVA

La legge n° 92 del 28 giugno 2012, entrata in vigore il 18 luglio 2012, relativa alla novella in materia di “presunzione di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa per soggetti titolari di partita IVA stabilisce che le prestazioni di lavoro rese da persona titolare di posizione fiscale ai fini IVA sono considerate, salvo prova contraria del committente, rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, qualora ricorrano almeno due dei seguenti presupposti:

a) durata complessivamente superiore a 8 (otto) mesi nell’arco dell’anno solare;

b) corrispettivo, anche se fatturato a più soggetti riconducibili al medesimo portatore di interessi, costituisca l’80% (ottanta per cento) dei corrispettivi complessivamente percepiti nell’arco dello stesso anno solare;

c) postazione fissa presso una delle sedi del committente.

La stessa legge, al contrario, stabilisce che tale presunzione non opera, nel caso in cui la prestazione di lavoro:

1. sia connotata da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività;

2. sia svolta da soggetto titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali di cui all’art. 1, comma, 3, L. 233/1990 relativo alla gestione commercianti.

Ora, è chiaro che sarà necessario redigere tra committente e prestatore del servizio un contratto al fine di determinare, la durata, il tipo di prestazione e la modalità di espletamento.

· Si dovrà monitorare se il corrispettivo della prestazione costituirà l’80% dei corrispettivi complessivamente percepiti dal prestatore del servizio nell’arco dell’anno solare.

· Si dovrà valutare se la prestazione di servizi sia connotabile da un altro grado di competenze teoriche acquisite con specifici percorsi formativi ovvero tramite esperienze nell’esercizio di attività che abbiano permesso al prestatore del servizio di acquisire elevate capacità tecnico-pratiche.

· Da ultimo, se il prestatore del servizio produrrà un reddito pari o superiore al minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali di cui all’art. 1, comma, 3, L. 233/1990 relativo alla gestione commercianti moltiplicato per 1,25, “tana libera tutti”.

Da ciò si evince la più che plausibile nascita di tutta una serie di azioni volte da una parte a produrre inutili perdite di tempo e dall’altra ad incrementare un discutibile contenzioso.

E dire che sino all’inizio di questa terza parte dell’incubo si sarebbe potuto prevedere che gli ex associati in partecipazione e gli ex collaboratori a progetto avrebbero dovuto aprire una posizione IVA diventando così titolari di partita IVA.

In conclusione, sperando di svegliarci al più presto da quest’incubo, almeno per quanto attiene la ripresa economica, il legislatore dovrebbe spiegare come potrà interagire questa normativa con quella che regola il nuovo regime per i contribuenti minimi oppure, come al solito, con una mano si dà e con l’altra si toglie?

Tralasciando poi ogni commento sulla distinzione voluta dal legislatore in materia di lavoro accessorio tra le prestazioni rese nei confronti di imprenditori o professionisti che non possono superare i 2.000,00 euro, e quelle rese nei confronti dei privati il cui limite è di 5.000,00 euro, per il momento ci sembra che ci sia solo tanta, tantissima confusione e come sempre, per magia, da subito aumenta la burocrazia e poi aumenterà il contenzioso in materia di lavoro, per buona pace del rilancio economico del Paese.

Il Presidente

Fondazione Commercialistitaliani

Angelo Galdenzi

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