Orrore Siria senza indignazione

Sul web sono stati appena pubblicati alcuni raccapriccianti video amatoriali, in cui appaiono le immagini dei corpi mutilati e senza vita di decine di donne e bambini, vittime, secondo gli attivisti dei comitati di coordinamento locale di Homs, del massacro compiuto dalle milizie lealiste a Karm az Zeitun, quartiere a maggioranza sunnita della terza città siriana.
Molte salme hanno gli occhi aperti ed i crani spaccati, da cui fuoriesce materi cerebrale, immagini crude, inguardabili, che interrogano il mondo che ancora non interviene con fermezza e sdegno per quanto sta accadendo in Siria.
Il regime ha detto che non meglio precisati terroristi, hanno sequestrato civili di Homs e, dopo averli uccisi e mutilati, di aver inviato le immagini alle tv panarabe al Jazeera e al Arabiya, con l'obiettivo di attribuire il crimine alle autorità. Ma, naturalmente, nessuno ci crede.
Intanto, nella notte, nel nord della Siria, alcune brigate dell'esercito siriano, fedeli al presidente Bashar al-Assad, hanno sequestrato 35 persone, tutti civili, nei dintorni di Idlib e, secondo quanto riferito da Abu al-Bará, rappresentante dei Comitati rivoluzionari della città siriana, tra di essi molte donne e bambini.
In queste ore centinaia di famiglie stanno abbandonando Homs, per timore di nuove violenze ed il mondo occidentale si limita solo a sanzioni banali o deboli proteste.
A fine febbraio, Massimo Cacciari, ex sindaco di Venezia, una delle figure più autorevoli nel panorama culturale italiano, ebbe modo di scrivere che: “il silenzio dell’Occidente di fronte alla tragedia siriana è inaudito. E la nostra ipocrisia è altrettanto vergognosa. Muoiono 50 persone al giorno per mano di un dittatore e non succede nulla. Dobbiamo lanciare un segnale a quella povera gente”. E si chiedeva che fine avessero fatto i pacifisti e i partiti che scendevano in piazza contro la guerra in Iraq.
Il fatto è che quando l’Occidente ha interessi economici non esita a bombardare, scatenando durissime guerre, come in Iraq, Afghanistan, Libia o a Belgrado. Ma quando gli interessi non ci sono, non si leva neanche una voce, né bandiere dei diritti umani, dietro cui nascondere le vere motivazioni.
Neanche l’assassinio dei giornalisti ha mosso nulla e non muoverà nulla le terribili immagini dei bambini e delle donne barbaramente uccise ad Holms.
Perché quella siriana è un’area strategica e c’è il timore che il conflitto possa allargarsi all’Iran e la cosa pare non convenga a nessuno.
Il 27 febbraio, poche settimane fa, Cina e Russia hanno respinto la critica del Segretario di Stato americano Hillary Clinton riguardo alla loro posizione sulla Siria, mentre le nazioni dell’Unione Europea (UE) raggiungevano un accordo per affibbiare nuove sanzioni al governo siriano.
In Siria, il ministro degli Interni ha annunciato che quasi il 90 per cento dei siriani ha approvato una nuova costituzione, proposta dal presidente Bashar al-Assad, nel referendum di domenica 26 febbraio, senza naturalmente dire che tutto è stato solo un grande trucco.
Anche se non ne condividiamo l’impeto anti-islamico, siamo convinti anche noi, con Gianfranco Campa, che dopo il fallimento dei moti egiziani e libici che hanno rafforzato, per esempio, in Egitto le leggi musulmane, lasciando molti cristiani e cittadini alla mercé dei Fratelli musulmani, (vedi la recente condanna dell’attore egiziano Adele Iman e un giro di vite contro le ONG sostenute dagli USA) e innescando lo scivolamento della Libia nel caos dopo la morte di Gheddafi (milizie rivali si scontrano ogni giorno, con la popolazione Sufi sottoposta a una costante violenza da parte degli islamisti); ora non si sappia più come affrontare il problema Siria, anche perché, in quel Paese, il 75% della popolazione è sunnita, il 12% è Alawita, il 10% cristiana e il 3% drusa e, anche se riuscisse a rovesciare con la forza il governo di Assad, scoppierebbe poi una guerra civile, che avvantaggerebbe l’integralismo islamico.
L'arrivo, il 20 ottobre, di due navi da guerra iraniane, una fregata e un vascello di supporto, nel porto di Tartus, uno dei più strategici del Paese, ha causato una serie di reazioni per molti versi scontate, ma allo stesso tempo significative. Israele ha mostrato tutto il suo nervosismo nelle parole del vice primo ministro, Moshe Ya'alon, che ha definito quella iraniana come una provocazione. “Quando si guarda al Medio Oriente – ha dichiarato Ya'alon a un canale televisivo israeliano – laddove gli iraniani hanno un peso, la situazione non è mai buona. Certamente non fanno ben sperare, ma queste due navi non rappresentano una minaccia attuale contro di noi”.
Secondo i servizi segreti israeliani, che hanno monitorato il passaggio dei vascelli, questi non sono una minaccia reale, ma bensì simbolica. L'ammiraglio della marina iraniana Habibollah Sayyari, ha, invece, definito la presenza delle navi a Tartus, ufficialmente attraccate per un'esercitazione congiunta con la Siria, come un “messaggio di pace alle nazioni del mondo”. Il ministro degli Esteri iraniano, Ali Akbar Salehi, ha sottolineato come la marina di Teheran abbia varcato il Canale di Suez per la seconda volta dalla Rivoluzione Iraniana e ha voluto ringraziare il governo egiziano per aver agevolato il suo passaggio per lo stretto marittimo.
Il fatto che il governo egiziano, guidato attualmente dai militari un tempo fedeli a Hosni Mubarak, alleato degli Stati Uniti, abbia steso un tappeto rosso davanti alle navi iraniane a Suez, per la seconda volta da quando è iniziata la primavera araba e per la seconda volta, come osservava Salehi, dalla Rivoluzione Iraniana, è un segnale che deve far pensare.
Se si considera oltretutto l'attuale complesso rapporto tra il Cairo e Washington (ancora in dibattito sul destino degli attivisti americani bloccati in Egitto e sotto processo), le difficoltà degli Stati Uniti a tenere a bada la volontà di Israele di attaccare le strutture nucleari iraniane e una situazione in Siria che è difficile non definire come una guerra civile, ci si può rendere conto di quanto nel Mediterraneo orientale l'instabilità sia elevata.
Ma, di fronte ad immagini di donne e bambini uccisi, l’opinione pubblica mondiale dovrebbe comunque indignarsi, così come si indignò nei confronti dei bombardamenti su Belgrado e come si è indignata per il massacro americano di domenica in Afganistan.
Come si ricorderà, un mese fa circa, il vice ministro degli Esteri russo, Sergei Riabkov, in un’intervista rilasciata all’agenzia di stampa Itar Tass, dichiarava: “Gli stati occidentali, con il sostegno che offrono all’opposizione al governo siriano, si sono resi complici dell’aggravamento della crisi nel Paese e gli oppositori di Bashar al Assad d’ora in poi saranno responsabili di nuovi spargimenti di sangue”.
Anche alla luce di queste parole dovremmo tutti indignarci di fronte alle immagini e ai video che sono oggi in rete, perché se non lo facciamo, siamo in qualche modo coinvolti in quelle uccisioni.
L’unico vero duro attacco al presidente Assad è arrivato, a sorpresa, dagli ex alleati di Ankara, che hanno voltato le spalle al Paese arabo non appena hanno adocchiato la possibilità di accaparrarsi una parte del suo territorio e delle sue risorse. “La Turchia sperava che il presidente siriano Bashar al Assad riuscisse a gestire la crisi nel suo paese come fece l’ex leader sovietico Mikhail Gorbaciov e invece si è trasformato nell’ex leader yugoslavo Slobadon Milosevic”, ha dichiarato il ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu al quotidiano Hurriyet, il 10 febbraio.
E proprio come per Milosevic, il commissario Onu per i Diritti Umani, Navi Pillay, ha auspicato che anche il capo di Stato siriano venga condannato dalla Corte penale internazionale, un tribunale in cui ad essere giudicati sono quasi sempre coloro che si sono opposti al volere e alle mire di Washington e dei suoi alleati e non i reali responsabili di crimini contro l’umanità come il presidente Usa Obama, il suo predecessore Bush e quelli che appaiono sempre più come il loro galoppini europei, cioè Blair, Cameron e Sarkozy.

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