Cara Emma, tutto bene ma…

di Carlo Priolo

Presidente Marcegaglia, un convinto applauso per il lancio dell’operazione-verità e per voler dimostrare che siamo un Paese serio, ma la verità non può avere ombre e la serietà comporta di gridare anche quello che non vorremmo dire. Condividiamo il Manifesto made in Confindustria e vorremmo contribuire specialmente per condividere le due riforme più rivoluzionarie: riduzione della spesa pubblica e riforma delle pensioni. Ricordo che il Ministro Tremonti aveva proposto di sospendere per due anni l’aggiornamento Istat sulle pensioni più alte, ma è stato crocefisso. Il Manifesto contiene anche la liberalizzazione delle professioni intellettuali, una proposta che andrebbe arricchita di contenuti, pur essendo di per sé apparentemente suggestiva e carica emotivamente di forti aspettative ed implicazioni esaltanti per il lavoro dei giovani. Tuttavia le professioni sono per definizione libere ed il quoziente di libertà è già in positivo ed in negativo molto alto. Il libero professionista sopporta tutti i rischi dell’impresa, con l’aggravante di non poter limitare i danni. Mentre i soci di una società di capitali al massimo perdono il conferimento sottoscritto, per il professionista che va in default, è la perdita di tutta una vita. Nel campo delle professioni intellettuali se la richiesta di prestazioni (domanda) non aumenta, in quanto non c’è crescita, ed il numero dei professionisti (offerta) di colpo viene aumentato, con l’introduzione di nuovi soggetti esentati dal dover effettuare un tirocinio (praticantato) e dal dover superare un esame di Stato (peraltro previsto dalla Costituzione), si determina un risultato contrario a quello voluto. L’effetto non determinerà alcuna crescita del PIL, in quanto la spesa per le prestazioni rimarrà la stessa o diminuirà per la caduta dei prezzi pagati per il lavoro professionale (onorari più bassi per tutti). Costante la richiesta, maggiore il numero degli addetti a quel settore; una distribuzione della spesa globale per prestazioni professionali su un maggior numero di soggetti (professionisti). Se il reddito nazionale in termini monetari viene considerato come il complesso dei redditi netti, quali salari, profitti, rendite, interessi ed in termini reali rappresenta il PIL e se l’evasione fiscale viene calcolata in 120 mld di euro, non può sfuggire che un vasto settore dell’economia (quello in nero) non viene conteggiato nelle statistiche economiche ufficiali e, pertanto, i dati sulla crescita e sulla disoccupazione difettano dei dovuti aggiustamenti.
Se poi registriamo che legittimamente quasi 5 milioni di lavoratori extracomunitari hanno trovato lavoro e pagano le imposte e le tasse e che esistono una quantità di posti nell’artigianato non coperti, allora la pur drammatica situazione della disoccupazione giovanile andrebbe rivista.
Forse possiamo parlare di disoccupazione intellettuale. La crescita economica è favorita dalla accumulazione dei fattori: lavoro, capitale, terra, ecc., nonché, dalla produttività ossia nel modo in cui i fattori sono utilizzati (funzione di produzione). I modelli di crescita sono numerosi e danno spiegazioni diverse: ciascun modello offre un punto di vista particolare sul processo di crescita economica.
Come sosteneva Dahrendorf, la crescita economica è essenziale per risolvere i problemi reali, eppure è una condizione necessaria, ma non sufficiente a risolverli. Al posto della liberalizzazione delle professioni, mi permetto di suggerire e di porre quale priorità la riforma della Giustizia Civile.
In Italia è proprio il problema irrisolto del Sistema Giustizia che impedisce la crescita economica e, comunque, la limita anche in fase di ripresa globale. Un mercato dove il rispetto delle regole non sia garantito, e dove l’infrangerle non avvenga sotto la realistica e tempestiva minaccia di una punizione, è un mercato che si corrompe e non dà garanzie all’impresa. La giustizia italiana con 10 milioni di processi in corso d’opera danneggia 20 milioni di cittadini, imprese, enti, associazioni, lavoratori, creditori che non vedranno rispettati i loro diritti. Gli investitori stranieri si guardano bene da impiantare una attività nel nostro Paese; vedranno vanificati i loro crediti, saranno coinvolti in estenuanti processi con i propri dipendenti, subiranno l’inerzia di una burocrazia assurda, ostacolo alle dinamiche del processo produttivo. La superfetazione legislativa e regolamentare finisce con l’essere una tortura per chi vuole rispettare le norme, mentre diventa un utile strumento per coloro che le violano. I risarcimenti sono una chimera. Pensare che i paletti istituzionali (Ordini e Collegi) limitino l’accesso alla professione e siano di ostacolo all’inserimento nel mondo del lavoro dei giovani mi sembra una opinione infondata e priva di valore scientifico, che pone il consumatore alla tirannia di millantatori senza preparazione e senza scrupolo. Si sostiene che un laureato in giurisprudenza con qualche mese di pratica possa esercitare liberamente la professione di avvocato. La selezione dei migliori la dovrebbe fare il mercato e non gli ordini professionali. La prestazione professionale non segue la legge della domanda e dell’offerta, pure superata, né il consumatore potrebbe orientarsi per scegliere il migliore ai prezzi più convenienti.
In ogni caso il provvedimento non favorirebbe la crescita economica.
Lei sicuramente è consapevole che non può essere credibile che qualcuno sia contrario alla crescita del Paese. Nelle società democratico-parlamentari il potere è diffuso e frazionato come in un arcipelago.
Ogni centro di potere vuole la crescita a discapito di altri poteri, garantendo al proprio segmento le posizioni conquistate. Tuttavia per le c.d. liberalizzazioni delle professioni intellettuali, la questione si pone in termini oggettivi: la liberalizzazione non favorisce la crescita, non allarga il mercato del lavoro a favore di giovani e di precari, abbatte la potenzialità degli studi professionali, con effetti negativi in tutto l’indotto.

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