Esce il rapporto del Cnel: la criminalità  cinese è sempre più simile alla mafia

Presentato nella sede del Cnel (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) il rapporto sulla mafia cinese nel nostro Paese. Stando a quanto pervenuto, contraffazione commerciale, prostituzione e immigrazione clandestina sono le tre maggiori attività della criminalità cinese. Quello che più sorprende è la struttura interna della criminalità cinese, quella rete di rapporti e di gerarchie che ne fa un fenomeno criminale organizzato capace di controllare capillarmente il territorio e condizionando il tessuto sociale in cui operano. Questa rete di rapporti si sviluppa attraverso due vettori: il primo è il legame solidaristico, una fratellanza criminale che sottende fedeltà e omertà e che nasce, in molto casi, prima dell’arrivo in Italia: la condivisione di esperienze si realizza in un sodalizio dedito all’attività illecita che diventa così l’unica “occupazione” quotidiana. Un secondo vettore è quello familiare. Facendo riferimento a padri, figli e famiglia allargata, l’organigramma criminale si struttura per linea di parentela secondo precise gerarchie interne In tal modo riesce a infiltrarsi nella rete di connazionali presenti sul suolo italiano, reclutando sempre nuove leve per l’attività criminale.

Questa essenza bifronte pone la crimnalità cinese su un piano intermedio rispetto alle due grandi associazioni criminali italiane: come Cosa nostra, infatti, sa strutturarsi in associazione attraverso logiche d’onore e “fratellanza”. Come la ‘ndrangheta sa fondarsi sul nucleo parentale e controllare il territorio. Ciò che distingue la criminalità organizzata cinese dalle associazioni mafiose italiane è, come si legge nel rapporto, l’assenza di precisi riferimenti che possano ricondurla alla tradizione dell’associazionismo segreto della Triade. Gli elementi che potrebbero portare a una simile conclusione sono infatti “scarsi ed estremamente discontinui nel tempo”.

A preoccupare è più che altro la capacità d’infiltrazione nel tessuto economico italiano. In sala ad ascoltare le cifre presenti nel rapporto c’erano anche il ministro dell’Interno Roberto Maroni e il presidente del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro Antonio Marzano, che indica come reato maggiormente commesso dai cittadini cinesi quello della violazione delle norme sull’immigrazione.

In sei anni, precisamente dal 2004 al 2010, i cinesi denunciati per immigrazione clandestina e per il suo favoreggiamento sono state 28.464, insieme ai quasi duemila cittadini (1.896) dediti allo sfruttamento della prostituzione. Ma non solo, 1357 cittadini cinesi sono stati denunciati per lesioni dolorose, 1069 per contraffazione di marchi commerciali, 920 per furto, 849 per associazione a delinquere, 491 per estorsione, e ancora 441 sono stati i reati legati alla droga, 34 le rapire, 108 gli omicidi volontari e 18 quelli tentati. Il riciclaggio di capitale illecito avviene attraverso l’acquisto d’immobili e attività imprenditoriali anche se la modalità di reimpiego dei capitali illeciti nel circuito legale finora accertata è costituita, in netta prevalenza, dal trasferimento di denaro in Cina”. Dal 2005 al 2010, vi sono state 6.668 segnalazioni sospette a carico di cittadini cinesi, pari al 7 per cento del totale. Dal punto di vista penale, però, il riciclaggio rimane un fenomeno sommerso, di cui le statistiche danno conto solo in modo marginale.

Le province di Prato e Milano presentano i valori più alti per i reati violenti, come gli omicidi (consumati e tentati) e le lesioni dolose, mentre la provincia di Roma raccoglie i valori più alti per il reato di contraffazione.

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