Grillo, il “sindaco petroliere” e i costi della politica

di Emilio Carnevali

Ieri in piazza Duomo, di fronte a tremila sostenitori, Bebbe Grillo ha tenuto un vivace comizio di sostegno al candidato sindaco di Milano del suo partito Mattia Calise e agli altri candidati del “Movimento 5 stelle” (ci si permetta prima di scendere nel merito una breve digressione: il riferimento al partito di Grillo non vuole essere in alcun modo malizioso o polemico: una organizzazione che partecipa con un proprio programma e propri candidati ad una competizione elettorale non sappiamo come altro possa essere definita se non un partito. Per chi scrive la parola partito non è affatto una parolaccia, tanto più che è la Costituzione italiana a riconoscere il ruolo dei partiti affinché tutti i cittadini possano «associarsi liberamente» e «concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Solo in uno strano paese come il nostro si possono fare appelli a non portare bandiere di partito nelle manifestazioni a difesa della Costituzione. La tesi della incompatibilità fra i partiti come “parti” e lo spirito nazionale come “tutto” è propria delle filosofie organiciste e totalitarie come i fascismi. Ma questa è un’altra storia, che ci porterebbe davvero troppo lontano…).

Dicevamo che ieri Grillo ha tenuto un vivace comizio nel quale, fra le altre cose, ha definito Letizia Moratti «una signora che ha per marito un petroliere che mette a disposizione 20 milioni di euro. Chiunque con 20 milioni di euro può diventare sindaco». Grillo indica qui un problema reale ed enorme dal quale non è immune nessuna democrazia contemporanea: la deformazione dei meccanismi di formazione del consenso causata dalla disparità di risorse economiche fra i vari soggetti che concorrono nell’arena pubblica. È lo stesso problema contro cui ha più volte puntato il dito Mattia Calise durante la sua campagna elettorale: «Non siamo in una giungla, anzi siamo in uno stato di diritto», ha detto il candidato del partito di Grillo nel corso della trasmissione l’Infedele andata in onda lo scorso 25 aprile su La7. «Non è possibile che le elezioni possano essere influenzate dalla disponibilità economica dei candidati». Ha perfettamente ragione, ed è per questo che in una democrazia “presa sul serio” dovrebbero essere ridotti al minimo i contributi “privati” alla politica e garantiti al contrario ingenti contributi pubblici, ripartiti secondo princìpi di equilibrio, equità e trasparenza, in grado di formare una “gabbia d’acciaio” a tutela del libero confronto delle idee messo gravemente in pericolo dalla potenza di fuoco propagandistica di cui dispongono i grandi poteri economici.

«La nostra posizione come movimento riguardo ai soldi nella politica è molto chiara: togliamo i soldi dalla politica», diceva ancora Calise in quella puntata della trasmissione di Gad Lerner. «Lo stiamo facendo principalmente rifiutando i rimborsi elettorali, questa grandissima truffa ai danni dei cittadini. L’anno scorso con 4 consiglieri regionali avremmo avuto diritto a 1 milione 600mila euro che abbiamo rifiutato. Tutti i partiti invece sono molto contenti di questo».

Sinceramente non ci pare una strada molto efficace per contrastare lo strapotere economico del “sindaco petroliere”. Come non ci pare la strada più efficace per contrastare un presidente del Consiglio che possiede tre televisioni private e controlla di fatto buona parte della tv pubblica: una anomalia che non ha pari in qualsiasi paese occidentale e che potrà essere sanata solo quando una maggioranza parlamentare diversa da quella attuale approverà una legge di riforma del sistema radiotelevisivo (e del collegato mercato pubblicitario) con dentro severissime regole antitrust ed efficaci strumenti a garanzia del pluralismo del sistema dell’informazione nel suo complesso. In passato il centrosinistra ha avuto la possibilità di farlo e non lo ha fatto? Verissimo: si tratta di una grave colpa storica. Ciò non toglie che la riforma rimane necessaria ed urgente. E purtroppo non potrà essere varata con appelli su internet o proposte di legge di iniziativa popolare inoltrate a un parlamento che non ne vuole sapere di votare norme del genere.

Molto probabilmente i militanti del partito di Beppe Grillo – che in genere sono persone giovani, informate, spesso impiegate nel settore del terziario avanzato, molto a loro agio con i nuovi strumenti della tecnologia e della rete – considerano la televisione “roba da mummie”. Eppure, piaccia o no, è ancora l’unico – non il principale, l’unico! – strumento di informazione della stragrande maggioranza degli italiani. E lo sarà ancora per molto.

Non è un caso se il sindaco Moratti – con l’intento assai poco dissimulato di rafforzare lo stesso Calise ed indebolire il solo avversario che possa davvero impensierirla nella prossima sfida elettorale, cioè Giuliano Pisapia – abbia proposto al candidato del Movimento 5 Stelle un confronto televisivo. «Avrei piacere a confrontarmi con il più giovane tra i miei sfidanti, Mattia Calise – ha dichiarato la Moratti – un ventenne che ha deciso di portare il suo contributo al futuro di Milano. È un segnale forte ai suoi coetanei che non penso vada sottovalutato da nessuno». Calise – molto saggiamente, dal suo punto di vista – ha subito accettato. Potrà in questo modo far conoscere a molte più persone la sua candidature e le tante ottime idee che il movimento di Grillo ha elaborato per l’amministrazione dei comuni italiani e di Milano in particolare.

È davvero un peccato che, se la Moratti verrà confermata sindaco, tutte queste buone idee rimarranno lettera morta sui volantini e sui siti internet del movimento. Grillo è convinto che «la Moratti ha già vinto»: legittima propaganda politica a sostegno di un candidato che in molti tentano di etichettare come un “oggettivo alleato della destra” (segno della scarsa cultura democratica dei detrattori di Calise, ma forse anche di una sottovalutazione dell’impostazione postideologica – con forti venature qualunquiste – che ispira il movimento di Grillo. Se mai Grillo è un alleato della destra in quanto il qualunquismo è costitutivamente “di destra”).

Noi non sappiamo come andrà a finire. Ci conforta il fatto che, una volta tanto, il centrosinistra è riuscito a trovare un ottimo candidato come Giuliano Pisapia.

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