Goodmorning Camorra. Da Caterino ai Polverino ventiquattr’ore di tragedia per i clan

di Matteo Zola

Si è sciolto il sangue di San Gennaro, come ogni prima domenica di maggio, e tra commozione e speranza Napoli attendeva il miracolo. Ognuno, certo, invoca il miracolo che più gli conviene: lo scudetto per la squadra di calcio, la buona riuscita di qualche impegno, un bell’affare, una grossa partita di droga da smerciare per le piazze cittadine. E’ avvenuto che quest’anno San Gennaro ha propiziato le forze dell’ordine e quanti esse tutelano, lo Stato tutto e i cittadini onesti. Così le ventiquattr’ore successive allo scioglimento del sangue nell’ampolla sono state di tragedia per i clan camorristici: iniziate con l’arresto di Mario Caterino, il ‘numero due’ dei casalesi, e proseguite con l’arresto di quattro fiancheggiatori di Setola, anche lui dei casalesi, ma capo dell’ala stragista, fino al fermo di quaranta persone affiliate al clan Polverino che controlla il narcotraffico tra Napoli e la Spagna. Tra questi quaranta ladroni, anche due candidati del Pdl. Una brutta giornata davvero per Gomorra.

Ma andiamo con ordine: Mario Caterino, come ogni boss che si rispetti, non aveva mai lasciato Casal di Principe, la sua città. Latitante dal 2005 Caterino detto “a’ botta” è considerato il numero due nella gerarchia del clan camorristico dei casalesi. Si nascondeva in via Toscanini, una zona tranquilla, a pochi passi dalla locale stazione di polizia. In quella casa l’hanno trovato gli agenti coordinati dai pm Antonello Ardituro, Giovanni Conzo e Raffaello Falcone della Dda di Napoli. Esponente del gruppo che fa capo al boss Francesco «Sandokan» Schiavone, attualmente detenuto, Mario Caterino era considerato fino ad oggi il numero due del clan dopo Michele Zagaria, primula rossa dell’organizzazione e latitante da ben 16 anni. «Prima o poi doveva succedere» sono state queste le prime parole pronunciate da Mario Caterino agli agenti della squadra mobile di Caserta. Gli uomini del vice questore Angelo Morabito sono arrivati mentre il latitante stava passeggiando nel cortile dell’abitazione dove, si ritiene, si era trasferito da pochi giorni. Gli inquirenti pensano che il rifugio di via Toscanini potesse essere un punto d’appoggio temporaneo. Caterino era inserito nell’elenco dei trenta latitanti più pericolosi nella lista del ministero dell’Interno, ricercato per una condanna all’ergastolo. Nei suoi confronti tre anni fa, nell’ambito dell’operazione «Spartacus 3», era stata emessa un’ordinanza di custodia cautelare per associazione camorristica ed estorsione.

Di fronte a un simile evento, l’arresto di quattro fiancheggiatori del boss Giuseppe Setola, capo dell’ala stragista dei casalesi, può sembrar poca cosa. I quattro, oltre ad aver favorito la latitanza del boss, in carcere dal 2009, facevano lavori di bassa manovalanza criminale: riscossione del pizzo, intimidazioni, estorsioni, attentati a colpi di kalashnikov. Le indagini, coordinate dalla Dda della Procura di Napoli, hanno portato al provvedimento restrittivo per due persone già detenute e due libere per una serie di reati già sottoposti al vaglio del Tribunale del Riesame nel giugno 2010 in seguito all’esecuzione di precedenti ordinanze di custodia cautelare in carcere che, per svariati motivi, erano regredite per inefficacia della misura o per annullamento. In particolare Roberto Zampilla è ritenuto responsabile di partecipazione al clan dei Casalesi-fazione Setola e di una serie di estorsioni ai danni di esercizi commerciali di Villa Literno, soprattutto caseifici, fruttivendoli e distributori di carburante. A finire in manette anche Giorgio Improta, un napoletano residente nel quartiere Posillipo, accusato di aver ospitato Setola in una sua abitazione di via Manzoni nel periodo della sua latitanza. L’uomo è padre di Jessica, candidata per l’Udeur (lista Chiosi) nella ‘municipalità I’ Chiaia-Posillipo di Napoli alle prossime amministrative. In merito alla vicenda, lo stesso leader dell’Udeur nonché candidato sindaco di Napoli, Clemente Mastella, ha spiegato in una nota: “Abbiamo condotto scrupolose verifiche su tutti i candidati”. Non si direbbe.

Altri pesci piccoli della politica partenopea – che quelli grandi non ci stanno – sono finiti nella rete delle forze dell’ordine. L’obiettivo non erano certo loro, ma tra i quaranta arresti compiuti questa mattina dai carabinieri di Napoli nel corso del blitz che ha interessato il clan camorristico dei Polverino, c’erano anche loro. In particolare è emerso il nome di Armando Chiaro, consigliere comunale di Quarto (Napoli) e ritenuto un elemento di punta dell’organizzazione e già destinatario negli anni passati di un’ordinanza di custodia cautelare. I provvedimenti notificati questa mattina sono stati emessi su richiesta dei pm Antonello Ardituro, Marco Del Gaudio e Maria Cristina Ribera. Tra gli arrestati manca il boss Giuseppe Polverino, da tempo ricercato. Aspetteremo il prossimo miracolo anche se per lui, come Zagaria e Messina Denaro, l’aiuto dell’altissimo non sembra sufficiente.

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