Se in Italia è sempre stata prevalente la tendenza cortigiana, la storia del nostro Paese annovera, però, anche tante schiene diritte.
di Paolo Bagnoli
Speravamo che in questo 150.mo dell’Italia storia e memoria andassero a braccetto e il tutto non si limitasse solo agli eventi del 17 marzo – di un re proclamato in sua assenza – e del solo Risorgimento, ma che la ricorrenza investisse l’intero arco dei 150 anni della storia nazionale.
Così non è stato e l’occasione – tra molta retorica, sostanziale cialtronismo governativo,occasioni editoriali che talora sarebbero più valorizzate nell’inedito che nel pubblicato, concioni televisive e giornalistiche di una specie di compagnia di giro di storici che parlano più di quanto studino – sta consumando se stessa per finire,come spesso avviene in Italia,nell’oceano di parole che accompagna il nostro modo pubblico di essere. Peccato,perché questa era l’occasione per ricordare a noi stessi come il Paese fatto dal Risorgimento,poi è stato rifatto tramite altri calvari e altri sacrifici senza i quali,pur nella tragicità delle nostre vicende,ci hanno permesso di conquistare la libertà e la cittadinanza se non proprio la modernità;ma quella che era l’occasione della modernità,vale a dire la Repubblica,il popolo italiano non la perse.
Un’occasione, sì, per viaggiare nuovamente nella storia d’Italia richiamandone motivi, personaggi, situazioni, lotte e problemi. Erano queste le idee che ci danzavano nella testa quando,qualche settimana orsono,siamo andati a rendere omaggio a Fratta Polesine alla tomba di Giacomo Matteotti,un socialista che ha onorato il socialismo,l’Italia,la sua libertà e la sua dignità. Superfluo ricordare chi è stato Matteotti,ma non è superfluo ricordare che il suo nome si affianca a quello di Garibaldi,anche fuori d’Italia,per il “mito” che evoca ancora oggi. Garibaldi e Matteotti,due socialisti,due grandi italiani che in epoche diverse hanno dato tutto se stessi per la causa nazionale e perché questa fosse la causa della libertà.
“Alle urne dei forti…” diceva il Foscolo; sì alle urne dei forti almeno noi proviamo commozione ed è come ricaricarci moralmente in un periodo così buio della storia nazionale di fronte allo sfarinamento progressivo della nostra democrazia e, per chi è socialista,per il dolore nel vedere che della forza storica della democrazia,della giustizia e della libertà, non si vede nemmeno l’ombra!
La tomba di Matteotti, amorevolmente accudita dal compagno Valentino Maldi di Rovigo, è semplice; le fanno da corona le tombe murarie dei figli; sottoterra quella della moglie,Velia Ruffo. E’ un tripudio di bandiere rosse via via lasciate lì dalle delegazioni di socialisti che vi hanno fatto visita; noi abbiamo inviato a Maldi, perché lo depositi anch’esso dentro la cappella, la copia anastatica del saggio su Matteotti che Piero Gobetti scrisse nel 1924; a nostro avviso il testo più bello scritto su di lui; quello più psicologicamente e politicamente penetrante. Solo due anni dopo anche Gobetti avrebbe inanellato la corona dei caduti per la libertà morendo, per i postumi della violenze fasciste, in esilio a Parigi.
Anche alla tomba di Gobetti al Père Lachaise andiamo a rendere omaggio come pure a quella di Carlo e Nello Rosselli, a Firenze e di Ferruccio Parri a Genova, posta a fianco del tempietto che ospita i resti di Giuseppe Mazzini.
Già, aveva ragione Foscolo,”Alle urne dei forti…” per non mollare,continuare a credere nella lotta,nel valore dei supremi diritti dell’uomo,per ricordare ancora a una volta a noi stessi, che se in Italia è sempre stata prevalente la tendenza cortigiana – e oggi così è al di là di ogni ragionevole testimonianza – la storia del nostro Paese annovera, però, tante schiene diritte che hanno preferito rompersi invece di inchinarsi.
Giacomo Matteotti lo dimostra, e con lui tanti altri, conosciuti e tanti, tantissimi, sconosciuti; ma, proprio per tale ragione, l’omaggio a questo grande italiano, ha il senso non solo del ricordo e della testimonianza politica,bensì del dovere per chi crede che, nonostante tutto, resti valido il “boia chi molla”.