Caporali: artrite psoriasica spesso curata per la vita

Caporali: artrite psoriasica spesso curata per la vita

Interessa soprattutto 30-50enni, donne leggermente più colpite

 

Roma – “L’artropatia psoriasica può essere definita come un’artrite cronica con un coinvolgimento del sistema immunitario. Non è propriamente una malattia autoimmune ma una una malattia immuno-mediata, in cui comunque il sistema immunitario gioca un ruolo importante. E’ tendenzialmente una patologia che deve essere seguita e curata per lunghi periodi, per non dire per tutta la vita per molti dei nostri pazienti”.

Lo ha detto Roberto Caporali, ordcinario di Reumatologia Università degli studi di Milano e direttore dipartimento di reumatologia e scienze mediche Asst ‘Gaetano Pini’ – Cto di Milano, aprendo i lavori della conferenza stampa di presentazione della campagna social ‘Dammi 6 Parole – Il racconto dell’artrite psoriasica’, promossa da Amgen in partnership con l’Associazione nazionale malati reumatici (Anmar) e l’Associazione nazionale persone con malattie reumatologiche e rare (Apmarr).

Nel corso del proprio intervento, Caporali ha sottolineato che si tratta di “una malattia complessa, perchè può interessare diversi distretti corporei: dalle articolazioni periferiche come mani, ginocchia, piedi e caviglie alla colonna vertebrale, in particolare la parte bassa, la colonna lombo-sacrale. Può inoltre interessare anche altre strutture che collegano i tendini ai legamenti e alle ossa, le entesi, che quando sono infiammate possono fare molto male e ridurre la qualità della vita dei nostri pazienti”.

Caporali ha inoltre spiegato che “essendo un’artropatia psoriasica, si associa anche all’interessamento della cute. E quando questo avviene in maniera estesa e in modo così esposto, interessando ad esempio il cuoio capelluto, il viso o le mani, ovviamente può determinare un’ulteriore diminuzione della qualità della vita del paziente, che deve essere particolarmente attenzionato da parte dei clinici. La qualità di vita di questi pazienti non dipende infatti da un solo problema ma da un insieme di problemi perchè spesso questi domini non sono separati ma possono essere presenti contemporaneamente nello stesso paziente”.

Tracciando l’identikit del paziente affetto da artrite psoriasica, Caporali ha informato che “la malattia può sostanzialmente interessare tutte le età, anche se quella che si registra più frequentemente all’esordio colpisce persone con un’età compresa tra i 30 e i 50 anni, con un rapporto maschi-femmmine leggermente a sfavore delle donne, come spesso accade nelle malattie reumatologiche”.

Caporali ha infine dichiarato che “molto spesso, nel 90% dei casi, l’interessamento della cute, dunque, la psoriasi, viene prima dell’interessamento delle articolazioni o della colonna, anche se ci sono casi in cui l’interessamento articolare può avvenire prima dell’interessamento cutaneo, e questo rende la diagnosi un po’ più complessa, così come ci sono pazienti che possono avere l’artropatia psoriasica senza la psoriasi, magari

avendo però la psoriasi in famiglia” ha concluso.

 

Apmarr: vita pazienti con artrite psoriasica è complessa

Celano: al dolore articolare si unisce la macchia sulla pelle

 

“Le ripercussioni sulla vita dei pazienti con artrite psoriasica sono moltissime, anche pensando che al dolore articolare si unisce la macchia sulla pelle. Questo determina un problema di stigma. Tra l’altro ora siamo in estate, mettiamoci nei panni di chi possa avere una patologia di questo genere”.

Lo ha detto Antonella Celano, presidente Associazione nazionale persone con malattie reumatologiche e rare (Apmarr), in occasione della conferenza stampa di presentazione della campagna social ‘Dammi 6 Parole – Il racconto dell’artrite psoriasica’, promossa da Amgen in partnership con Apmarr e con l’Associazione nazionale malati reumatici (Anmar).

Celano ha aggiunto che “la vita dei pazienti con artrite psoriasica è abbastanza complessa, perchè è una vita da gestire con il dolore, un dolore che se non viene diagnosticato e curato molto precocemente non darà tregua. La patologia va infatti curata per lunghi periodi e, forse, per tutta la vita”.

Celano ha inoltre sottolineato come sia “molto importante l’aderenza terapeutica e che il medico spieghi al paziente qual è la sua reale condizione, quale sarà il suo futuro e quale sarà il futuro della patologia se non viene adeguatamente curata”.

Alla persona viene dunque sollecitato un ascolto dei sintomi del proprio corpo. “Per conoscere si deve anche riconoscere e bisogna subito rivolgersi al medico di medicina generale, che poi farà da filtro, da ponte con il reumatologo. Allo stesso tempo- ha informato Celano- lo specialista dovrà spiegare al paziente la comunicazione ed il tempo di cura. E’ proprio grazie alla comunicazione se le persone riescono ad essere poi aderenti alla terapia, perchè  riescono a capire quale sarà il proprio futuro se non dovessero attenersi alle indicazioni” ha concluso.

 

Anmar: dialogo tra medico e paziente come un matrimonio

Tonolo: ci sia sintonia tra reumatologo e persona con artrite psoriasica

 

“Il dialogo tra medico e paziente è come un matrimonio: il paziente con artrite psoriasica deve entrare in sintonia con il reumatologo e lo stesso deve fare lo specialista per il paziente, anche in modo che quest’ultimo gli racconti tutto ciò che riguarda la sua vita e far sì che si raggiunga quella qualità che noi auspichiamo sempre”.

Lo ha detto Silvia Tonolo, presidente Associazione nazionale malati reumatici (Anmar), intervenuta alla conferenza stampa di presentazione della campagna social ‘Dammi 6 Parole – Il racconto dell’artrite psoriasica’, promossa da Amgen in partnership con Anmar e con l’Associazione nazionale persone con malattie reumatologiche e rare (Apmarr).

Tonolo ha spiegato che “il percepito del paziente con artrite psoriasica non può essere trasferito al medico. Il paziente vive direttamente la patologia ed è evidente come il proprio disagio sia anche un riflesso del disagio psicologico che vive. Immaginiamo un paziente di 25 anni che scopre di avere una patologia cronico invalidante come questa e che deve rivedere tutta la sua vita: credo sia un momento importante e non trasferirlo al medico non significa che il medico non stia facendo il proprio lavoro ma, semplicemente, che il paziente si trova a disagio”.

Tonolo ha aggiunto che “bisognerebbe cercare di incentivare un dialogo che non punti esclusivamente sulla farmacoterapia. Un dialogo limitato anche anche a causa dei tempi brevi dell’ambulatorio e che fa sì che il paziente si dimentichi di esternare alcune sue situazioni che si trova a vivere”. Un dialogo da incentivare, dunque, non solo al momento della diagnosi. “Trattandosi di una malattia che la persona porterà con sè per tutta la sua vita-ha proseguito Tonolo- è evidente che saranno affrontate tematiche diverse nel corso degli anni. Mi riferisco, ad esempio, ad una gravidanza, ad un momento all’interno dei propri rapporti interpersonali e lavorativi. Anni durante i quali la persona è costretta a rivedersi”.

In questa situazione il disagio psicologico riveste un ruolo fondamentale su tutto quello che è la patologia, anche in termini di aderenza. “Spesso i pazienti che stanno attraversando un periodo negativo pensano che sia la terapia a non funzionare oppure che il medico non sia stato in grado di individuare la terapia giusta o, ancora, che non lo abbia compreso. Torno dunque a dire che il dialogo tra i due attori è fondamentale per garantire al paziente la migliore qualità di vita” ha concluso.

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