Una morte esemplare o pilotata?

Un’esecuzione disumana. Chiediamo scusa all’Italia”. Queste le parole di ammenda di Khaled Abu Arafeh, ministro del governo di Hamas, che ha commentato sulle colonne della Stampa l’uccisione di Vittorio Arrigoni, il giovane volontario per i diritti umani morto il 14 aprile scorso, poche ore dopo il suo sequestro da parte delle brigate salafite presenti a Gaza. Oggi Gaza ha gli ha reso omaggio con un funerale di stato e la madre ha deciso che, nel rientro in Italia, la stessa non passerà per Israele, per rispetto alla memoria del figlio e alla sua irriducibile battaglia contro le azioni israeliane nei Territori palestinesi, che in passato gli causarono non pochi disagi e addirittura periodi di detenzione in carcere. Iniziano anche a venir fuori i primi nomi dei coinvolti: in primo luogo un cittadino Giordano, che secondo il quotidiano israeliano Maariv sarebbe noto negli ambienti salafiti di Gaza come “Abdel Rahman il Giordano” avrebbe architettato il rapimento di Vittorio e altri due, Farid Bahar e Tamer al-Hasasnah, che sarebbero i killer, entrambi descritti come jihadisti salafiti filo Al Qaida, fuoriusciti dal braccio armato di Hamas, ma rimasti in organico nei ranghi ufficiali della 'sicurezza nazionale' di Gaza. Vittorio Arrigoni non aveva mai imbracciato una pistola o un fucile per difendere gli abitanti palestinesi di Gaza o per combattere i politici ed i militari israeliani, che giudicava gli “occupanti”. Invece la sua presenza non è mai mancata in questi ultimi anni, quelli più duri dell’assedio israeliano a Gaza. In vita è salito tante volte sulle barche dei pescatori che escono dal porto di Gaza, per cercare con la sua riconoscibile presenza di indurre gli israeliani dai loro battelli militari a non sparare sui pescatori. Troppo ristretto, infatti, il limite di due-tre miglia dalla riva imposto dagli israeliani, per pescare qualcosa che non affogasse nei liquami. Restare umani, così concludeva le sue corrispondenze, perché nessuno ha il diritto di smarrire l’umanità, anche nel conflitto. Ed è stato ucciso in modo disumano e feroce, innestando una polemica senza fine e, addirittura, portando alcuni ad insultarlo, dopo morto, nel dire che ha speso la sua vita per una causa sbagliata. Come nota Filippo Landio su Ilsussidiarionet, ciò che è importante è ricordare che lui, anche se è stato un uomo di parte, lo è stato per amore dei deboli e non per odio contro gli israeliani. Più volte, infatti, aveva scritto e dichiarato che egli era contro il governo di Israele e non contro gli abitanti di quel paese. E la sua morte è servita per dare una scudisciata ai politici palestinesi, con un o dei leader di Hamas, Mahmoud al-Zahar, che è sceso in strada ed ha detto, rivolto agli assassini, “siete contro l’Islam”. A molti dopo l'episodio è apparso chiaro che Hamas, al potere dal 2007, è in grave conflitto coi gruppi islamici più estremisti e radicali. Ma Vittorio Arrigoni non era un dirigente o un militante di Hamas, era solo un testimone delle uccisioni israeliane nella Striscia di Gaza prima, durante e dopo l'operazione “Piombo Fuso”. Si tratta dunque dell'eliminazione, “esemplare e pilotata”, come scrive Lucio Manisco in vari siti, di un testimone unico e indipendente nell’imminenza di altre iniziative in favore del popolo palestinese, come la partenza in maggio di una seconda flottiglia internationale per Gaza? Tutto questo in un contesto in cui recentemente Silvio Berlusconi avrebbe detto alla radio israeliana, secondo le agenzie israeliane, di avere l'intenzione di lavorare “per impedire che una flotilla diretta a Gaza parta nelle prossime settimane”, aggiungendo di “essere guidato dalla convinzione che la flotilla non sta lavorando per sostenere la pace nella nostra regione”. Berlusconi si riferiva alla nave italiana “Stefano Chiarini” in allestimento per la partenza con la Freedom Flotilla 2 e la sua, anche stavolta, è una dichiarazione strumentale e molto ben orientata. E anche stavolta nessuno o pochi protesteranno e, se lo faranno, saranno dimessi e poco convincenti. Hanno ragione Stella, Rizzo e Faenza che, a proposito di “Silvio Forever” (appena uscito nelle sale), distribuito da Lucky Red da venerdì scorso, hanno detto che la pellicola, probabilmente, disturberà la sinistra che si aspettava un attacco diretta (del tipo “l Caimano” o “Draquila”) e non un film su “uno strepitoso personaggio che con la sua magia ha un rapporto incredibile con la pancia degli italiani come nessun altro”. Silvio Berlusconi è sicuramente il personaggio più visto, chiacchierato e discusso degli ultimi anni. La politica, sia nella comunicazione che nella sua stessa essenza, è cambiata drasticamente e probabilmente drammaticamente, con la scesa in campo dell’imprenditore di Arcore che ha stravolto il linguaggio e di conseguenza lo stesso modo di fare politica. E lui fa politica sempre ed è sempre lucido, negli scopi, anche quando, come nel caso della dichiarazione su Freedom Flottila 2 sembra farsi autogoal. Perché sa benissimo che, nel segreto delle loro pance, sono in molti gli italiani che guardano a giovani idealisti come Vittorio Arrigoni, come temerari che combattono per cause sbagliate e che muoiono, tragicamente, perché in fondo se la sono cercata. Persino Saviano e Marco travaglio, in fondo, hanno difeso Israele e criticato la violenza palestinese: un regime di contraddizioni e con non trova pace fra opposti estremismi. Così non meraviglia che molti annuiscano quando, come oggi su Il Tempo, si ricorda che per un Arrigoni centinaia di inermi israeliani vengono uccisi. Le persone come Vittorio sono estremisti da temere, comunisti secondo una prospettiva ormai diffusa, costruita ad arte dalla cosidetta “sindrome berlusconiana”, secondo cui giovani di questa tempra hanno sempre qualcosa di strampalato e di patologico. Per costoro (ben identificabili nei lettori di Iol Giornale, Libero, Il Foglio ed il Tempo), la Signora Egidia Beretta, non è la madre di Vittori Arrigoni, ma solo una “comunista” che ha chiesto il rispetto per le idee che animavano l’impegno di un figlio che ha perso dentro ad una causa sbagliata che alla fine lo ha ucciso. Su Il Tempo, ad esempio, nessuno si è mirato a sottolineare l’estraneità di Israele nell’uccisione di Vittorio, per poi cogliere l’occasione per attaccare l’impegno pacifista dello Stesso. Scrive nel suo blog Franco Frediani: “Vorrei che non ci fosse faziosità, invece noto che c'è una strana fretta (e forse anche approssimazione) nel tentativo di liquidare come pratica scomoda, l’uccisione di un Uomo notoriamente impegnato nella difesa dei deboli, degli oppressi e a favore di un pacifismo che non se ne sta con le mani in mano”. Ed io vorrei che questo non accadesse nel mio Paese, incapace ormai di guardare all’impegno come atto estremo e civile, pronto a bollare gli ideali come utopie e l’estremo sacrificio come sciocchezze.

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