Elezioni 2021 in Iran: Il boicottaggio elettorale emergente in Iran riflette la crescita del sostegno al MEK ( Mojahedin del Popolo )

Foto: Bandar Anzali – Attività delle Unità di Resistenza e dei sostenitori del MEK, che chiedono il boicottaggio delle elezioni fittizie del regime – 10 aprile 2021

La voce principale dell’Iran per un futuro democratico, l’Organizzazione dei Mojahedin del Popolo dell’Iran (OMPI/MEK), ha a lungo incoraggiato il popolo iraniano a evitare la partecipazione alle elezioni dell’attuale regime, sapendo che il processo è una farsa.

Il sistema teocratico di governo del Paese consente apparentemente l’elezione popolare di un presidente e di membri del parlamento, ma assegna un’enorme quantità di potere a figure e organi non eletti come la Guida Suprema del regime e il Consiglio dei Guardiani. Quest’ultimo ha il compito specifico di vagliare tutti i candidati politici e tutte i nuovi legislatori secondo criteri che includono la lealtà alla stessa Guida Suprema. Di conseguenza, solo ai candidati con tale assoluta lealtà è consentito ricoprire cariche elevate.

Come il MEK chiarisce ad ogni ciclo elettorale, è molto sbagliata la definizione di “riformista” per una delle due fazioni dell’attuale sistema politico iraniano. In tutte le questioni più importanti, i suoi membri sono d’accordo con i loro colleghi “intransigenti”. Le elezioni sono, quindi, poco più che uno schema per condividere il potere tra due gruppi di interesse d’élite. La vittoria di una fazione o dell’altra non si è mai tradotta in una significativa riduzione delle crisi sociali o economiche che il popolo iraniano deve affrontare. In effetti, questi problemi si sono piuttosto intensificati costantemente per più di quattro decenni dalla creazione del regime iraniano.

Questa tendenza è rimasta certamente riconoscibile negli ultimi otto anni, quando il governo iraniano era guidato nominalmente dal presidente cosiddetto “riformista” Hassan Rouhani. Alla sua prima elezione nel 2013, alcune delle controparti occidentali di Rouhani abbracciarono la sua vittoria elettorale a sorpresa e arrivarono persino a suggerire che i giovani pro-democrazia dell’Iran fossero stati in un certo senso riscattati per la loro partecipazione alle proteste del 2009, che avevano contestato la rielezione del predecessore “intransigente” di Rouhani, Mahmoud Ahmadinejad.

All’interno dell’Iran, tuttavia, l’entusiasmo per Rouhani era molto più tenue. Pochi mesi dopo l’insediamento, su quasi tutte le questioni, lui e i suoi consiglieri insistevano pubblicamente sul fatto che il presidente non aveva alcuna influenza sulle decisioni o sulla condotta di una magistratura “indipendente”, senza considerare la sua consolidata attenzione per la repressione del dissenso e il rafforzamento della paura dell’autorità governativa.

Le dichiarazioni dell’amministrazione riflettevano una chiara e deliberata abdicazione di responsabilità, e sono state ripetute più e più volte nel contesto di altre questioni che erano state fonte di ampie discussioni e proteste nella comunità di attivisti iraniani. Di conseguenza, non è che l’odio della gente verso Rouhani comportasse sostegno al suo sfidante più diretto, un giudice ultra-integralista di nome Ebrahim Raisi, il cui principale motivo di fama è avere avuto un ruolo importante nel massacro dei prigionieri politici del 1988, che prese di mira principalmente il MEK e in cui furono uccisi oltre 30.000 prigionieri politici.

Invece, le elezioni presidenziali del 2017 hanno visto un forte aumento del numero di iraniani che hanno boicottato le urne e hanno dimostrato di non vedere alcuna strada da percorrere per l’Iran sotto la guida di nessuna delle due fazioni politiche. Entrambe le fazioni hanno fatto tutto il possibile per coprire la traiettoria ascendente della campagna di boicottaggio del MEK. I media statali durante quel ciclo elettorale hanno trasmesso immagini di lunghe file ai seggi elettorali, ma i giornalisti civici hanno fornito la prova che quelle immagini spesso raffiguravano membri della milizia civile del regime, i Basij, che viaggiavano da un luogo all’altro, gonfiando i numeri e spingendo gli astanti a partecipare a un processo in cui molti di loro vedevano poco valore.

Lo scopo di questa propaganda era, ovviamente, quello di presentare l’immagine di un riconoscimento popolare della legittimità del regime. Ma la stessa propaganda serviva anche a nascondere la misura in cui il popolo iraniano, sempre più indignato dal proprio governo, stava gravitando naturalmente verso la più vicina alternativa praticabile: il MEK e la sua coalizione madre, il Consiglio Nazionale della Resistenza dell’Iran.

Se il boicottaggio elettorale del 2017 fu un indizio dell’abbraccio popolare del MEK, questo fenomeno fu reso inconfondibile all’inizio del 2018, quando le proteste scoppiarono in più di 100 città e paesi, tutte caratterizzate da slogan anti-governativi con richieste di cambio di regime che erano stati resi popolari dalle “Unità di Resistenza” del MEK. Il ruolo del MEK nella pianificazione e nell’agevolazione delle proteste fu riconosciuto perfino dalla stessa Guida Suprema del regime Ali Khamenei, che in un discorso nel momento culmine della rivolta affermò che il MEK aveva “pianificato per mesi” di capitalizzare il malcontento pubblico per la cattiva gestione degli affari economici e sociali da parte dell’intero governo.

La rivolta del 2018 fu infine messa sotto controllo con l’uccisione di dozzine di manifestanti pacifici. Ma portò anche a quello che la presidente eletta del CNRI, la signora Maryam Rajavi, definì un “anno pieno di rivolte”. Questo, a sua volta, pose le basi per un’altra rivolta ancora più grande nel novembre 2019. In quel caso, in quasi 200 località furono gridati gli stessi slogan antigovernativi e il regime, nel panico, ordinò alle autorità di aprire il fuoco sulle folle di manifestanti, uccidendo 1.500 persone in pochi giorni.

Si potrebbe sostenere che quegli omicidi furono l’ultimo chiodo nella bara per la narrazione di una fazione politica “riformista” materialmente diversa dalla sua “alternativa” intransigente. Avvenuta sotto la sorveglianza di Rouhani, la repressione del novembre 2019 è stata la peggiore singola azione di repressione in decenni, e nessuna delle principali figure “riformiste” ha agito per fermarla o almeno per criticarla dopo il fatto.

Non avrebbe dovuto sorprendere, quindi, che quando le elezioni parlamentari si svolsero appena tre mesi dopo vi fosse la più bassa affluenza alle urne nella storia del regime. Teheran tentò di spiegarlo come reazione alla pandemia di coronavirus, ma il regime aveva deliberatamente evitato di ammettere i focolai di infezione locali per incoraggiare il più alto livello di partecipazione possibile.

Il fallimento di quello schema suggerisce che i mullah lotteranno da questo punto in avanti per creare un’immagine della propria legittimità dalla sottile patina della democrazia iraniana. Allo stesso tempo, non vi è alcun segno che il sostegno pubblico al MEK farà altro che continuare a crescere, riaffermando il sostegno alla sua piattaforma che è stato messo in mostra in modo così importante nel gennaio 2018 e nel novembre 2019.

Le elezioni presidenziali farsa del mese prossimo potrebbero essere l’ultimo banco di prova di questa tendenza. Le Unità di Resistenza del MEK stanno attualmente operando nelle città di tutto il Paese con l’obiettivo di promuovere un boicottaggio elettorale. Graffiti, poster e cartelli in ciascuna località tendono a inquadrare questa attività specificamente come “voto per il cambio di regime”. E questo è un messaggio che non è passato inosservato ai funzionari e ai media statali iraniani.

Molti di loro hanno avvertito che la bassa partecipazione degli elettori potrebbe essere un precursore di ulteriori disordini sociali sulla scala delle recenti rivolte. In recenti discorsi, la signora Rajavi ha indicato che i segni di quei disordini sono già visibili sotto forma delle proteste di facchini di carburante emarginati, pensionati in difficoltà, investitori truffati e altri. In ciascuno di questi casi, i partecipanti alle proteste sono stati ascoltati sostenere apertamente il boicottaggio elettorale con slogan come “Non abbiamo visto giustizia; non voteremo”.

In questo modo, stanno dimostrando l’unità di intenti tra tutte le loro cause – un’unità che evidentemente è facilitata in gran parte dal MEK.

 

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