Il futuro della Libia: unita o divisa?

Libia – ISPI Forum n. 12

Nonostante l’intervento militare in favore dei rivoltosi, il conflitto in Libia è nuovamente in una fase di stallo. I lealisti fedeli a Gheddafi e le forze sotto il controllo del Consiglio Nazionale Provvisorio di Bengasi si fronteggiano tra le località di Ras Lanuf, Marsa El Brega e Ajdabiya. La disorganizzazione, la scarsa preparazione militare degli insorti e gli insufficienti mezzi a loro disposizione non hanno permesso ai rivoltosi di ottenere il successo militare sperato. Allo stesso tempo il regime di Gheddafi sembra avere ancora consenso non solo in buona parte della Tripolitania ma anche del Fezzan, regioni nelle quali la rivolta non pare aver preso piede come in Cirenaica. L’intervento militare sotto l’autorizzazione delle Nazioni Unite ha conseguito l’obiettivo della parziale distruzione delle forze armate del regime ma non il completo arresto dell'avanzata sul terreno.
Mentre il conflitto pare così sedimentarsi, nell’incertezza della strategia politica degli alleati della Nato e nel declinante interesse dei media internazionali sorgono gli interrogativi relativi al perdurare del conflitto e ai suoi possibili esiti. La difficile soluzione politica della crisi e l’empasse militare potrebbero condurre di fatto ad una frammentazione del paese, già storicamente diviso in passato in almeno due regioni – Tripolitania e Cirenaica – nonostante la comunità internazionale e le due parti in conflitto non si siano mai dichiarate favorevoli a una simile soluzione.

Arturo Varvelli (research fellow ISPI) : “Al momento attuale l’ipotesi di una divisione del paese appare la più probabile. È difficile pensare di poter ribaltare questo stallo senza l’impiego di mezzi militari e truppe via terra, ma questa ipotesi è stata esclusa categoricamente. Anche quella di fornire armi ai ribelli è però una scelta non priva di implicazioni complesse e, in parte, controproducenti, simili, ad esempio, a quelle viste in passato in Afghanistan. Alla lunga se il conflitto perdurasse, per uscire dall’empasse, si potrebbe arrivare alla soluzione dell’invio di una forza di interposizione tra le due parti. Questo sancirebbe la divisione del paese per un periodo di tempo indeterminato. In prospettiva, questa ipotesi potrebbe anche essere accettabile per diversi paesi, a cominciare dall’Egitto, che si avvantaggerebbe di un vicino debole e ricco di risorse come la Cirenaica, che ha contribuito a sorreggere politicamente e militarmente. Anche Francia e Gran Bretagna potrebbero vedere la divisione come un compromesso percorribile per evitare un possibile “fallimento” dell’operazione militare internazionale che i due paesi hanno più di altri voluto e guidato. Per l’Italia sarebbe invece un’opzione da non desiderare: ci troveremmo a gestire un duplice difficile rapporto: da una parte la Tripolitania con Gheddafi “tradito”, dall’altra la Cirenaica che potrebbe guardare altrove per individuare partner meno “compromessi”.

Dirk Vandewalle (esperto di Libia, associate professor, Dartmouth College) : “Il supporto popolare per Gheddafi è stato tradizionalmente più forte in Tripolitania. L’altalenante storia delle due province settentrionali del paese risale alla creazione del Regno di Libia, nel 1951, quando la Tripolitania, ansiosa di guadagnarsi l’indipendenza, accettò a malincuore di farsi fondere dalle potenze occidentali con la Cirenaica per formare un’unica entità politica governata dalla monarchia dei Senussi, che aveva le sue radici in Cirenaica. La storia potrebbe facilmente ripetersi ora sotto gli auspici della coalizione internazionale e il risentimento in Tripolitania sarebbe enorme se ancora una volta le venisse imposto un governo da un movimento politico basato in Cirenaica con il supporto della comunità internazionale”. (Testimonianza alla Commisione Affari Esteri del Senato Americano, 6 Aprile 2011).

Anthony H. Cordesman (Center for Strategic and International Studies) : “Dobbiamo far sì che prevalga l'unità del paese. Penso che abbiamo i mezzi per farlo. I ribelli non hanno mai dichiarato di volere il contrario. […] Se si dovesse arrivare ad uno stallo prolungato, il risultato finale sarebbe probabilmente il peggiore possibile, con entrambi gli schieramenti intenti a manovrare per vantaggi politici e usare le risorse per finanziare la lotta, alimentando la corsa agli armamenti, mentre governi e investitori esterni tentano di sfruttare la situazione. L’unica nota positiva vorrebbe i ribelli costretti a fare esperienza in politica, in economia e nell’amministrazione per quanto non sia questa l’esperienza che serve a vincere la guerra. (CSIS, 22 marzo 2011)

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