Il 16 aprile esce il nuovo album “Lauro” di Achille Lauro

Roma. «Il 2020 è stato un anno difficile, con una emergenza tremenda: ho cercato di trovare qualcosa di buono in tutto questo disastro, scrivendo tanto e mi sono ritrovato ad avere un centinaio di brani».

Lo ha confessato Achille Lauro in occasione della presentazione del suo nuovo album “Lauro” in uscita venerdì 16 aprile.

In questo lavoro Achille Lauro parla al mondo degli irrisolti, dei fuori rotta, dei falliti e così l’album fagocita vite, storie d’amore, riflessioni sul bene, sul male e ciò che sta nel mezzo.

«Questo lavoro è nato in maniera spontanea, come i miei precedenti cinque – ha ammesso – Guardo al passato con malinconia con queste dodici facce che hanno qualcosa da dire e da ascoltare con attenzione: il disco si divide in due macro aree, una introspettiva e l’altra punk-rock».

Renato Zero è sicuramente un riferimento per l’artista.

«Sono d’accordo con Renato perché ci accomunano i costumi, la periferia – ha riflettuto – Cerco di aiutare le persone, sono vicino ai diritti umani, concretamente, e sono persona abbastanza tormentata; vivere è legato a quello che faccio: vivo cercando di costruire qualcosa e momenti per me ne restano davvero poco. Sono figlio di gente onesta e sono cresciuto in una comunità in cui c’erano anche 50enni, alla periferia di Roma, e li devo ringraziare per tutto questo».

Achille Lauro è un artista molto prolifico.

«Mi sono accorto di avere materiale di un certo tipo perché dietro a quello che faccio c’è ispirazione – ha sostenuto – Quando faccio una canzone gli dò un colore perché si guarda anche e voglio portare delle immagini a chi mi ascolta; io amo quello che faccio e non solo nella musica, sono artigiano di quello che faccio. La musica popolare va scomparendo ma io ho fatto sempre il contrario di cosa ci si aspettava da me».

Il musicista è in una continua evoluzione di creatività.

«Nella normalità sono alla ricerca di qualcosa di nuovo e non mi piace di essere inquadrato – ha fatto notare – Nessun pittore dipingerebbe lo stesso quadro per tutta la vita. Il disco è leggerezza e malinconia, come tutti coloro che attraversano alti e bassi nella vita che cerco di fermare, contaminando il sound».

All’ultimo festival di Sanremo Achille Lauro ha rappresentato il suo poliedrico personaggio.

«È stato un viaggio nei generi musicali con i quadri che sono stati i contenitori – ha ricordato – Generi che hanno definito e influenzato non solo la mia sensibilità di artista ma anche la percezione che la gente aveva di sé e del mondo. Ogni genere rappresenta un’epoca, un modo di vivere e di pensare: un momento di rottura e di cambiamento. La musica ancora oggi ne è il motore. A Sanremo sono arrivato molto motivato per non rovinare la mia immagine pubblicamente, distogliendola dalla musica con molta superficialità».

Particolare la copertina del disco.

«È molto minimalista: è una tela, un mio quadro, o meglio una serie di cinque quadri – ha precisato – Per me ogni lettera è associata a generi musicali che hanno rappresentato qualcosa nella mia crescita artistica: la ‘elle’ è associata ai LeBrock per la scelta di essere tutto o niente, in solitudine; la ‘a’ è l’anticonformismo e l’essere sempre originale; la ‘u’ è utopia sulla musica pop che in Italia è vista di poco valore; la ‘erre’ é sui manifesti di cambiamento e di rinascita; la ‘o’ rossa rappresenta qualcosa di valore».

I brani “Solo noi” e “Marilù” hanno introdotto questo album punk, rock, grunge che alterna una tempesta d’animo per dare voce ai soli e agli incompresi.

«”Solo noi” è la canzone di una generazione che ha vissuto nella periferia più blu – ha spiegato – Giovani lontani dalla luce della speranza, in una lullaby rock che ci fa avere nostalgia di quello che abbiamo vissuto e che un giorno, nonostante tutto, ci mancherà».

Uno dei brani dell’album si intitola “Generazione X”.

«Ho basato il mio sapere sulla nuova Generazione X – ha osservato – É la fotografia della mia generazione che non crede in Dio, nella chiesa, nel matrimonio, nei genitori, nell’arte, che non vuole sapere chi vorrà essere, una generazione che ha bisogno di qualcosa di più. Ma a noi, esattamente come chi era venuto prima, sta bene così. La nostra mela tentatrice è digitale, proviamo dipendenza e ne siamo consapevoli».

Un altro brano del disco è “Femmina”.

«Parla del maschio che si nasconde dietro la sua virilità e la usa per svilire l’amata, per paura di perderla, cavalcando uno stereotipo ricorrente nella nostra società – ha sottolineato – La donna decide di spogliarsi di ciò che la connota come tale, mostrando la sua essenza agli occhi degli altri e di sé stessa: essere, per la bellezza dell’essere e non dell’apparire».

Franco Gigante

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