di Nunzia Auletta
Solidarietà femminile, rispetto delle competenze e dei meriti, collaborazione nella ricerca di una spazio di pari dignità, sembrano concetti assenti in questa campagna elettorale, in cui vedo (permettetemi lo sfogo) con amarezza come le donne della politica si scontrano e si insultano sulla base del più atavico maschilismo.
Non sono le uniche, ma certo fa scalpore sentire una candidata premier ed onorevole, la Santanchè, dare della valletta ad un’altra onorevole e dirigente di partito, la Mussolini. Peggio ancora sentire la risposta in cui si parla dell’orizzontalità politica della rivale, concetto tutto da approfondire per la sua novità nel lessico politico. La Mussolini, si sa, è donna agguerrita che non le manda a dire, disposta anche allo scontro fisico, senza metafore. Rimane negli annali la lite con la Katia Belilllo in un famoso Porta a Porta, ma allora, senza voler giustificare il gesto, c’era di mezzo l’orgoglio familiare! Oggi le due si accapigliano per attaccare o difendere un uomo (certo, un leader politico), ad ulteriore dimostrazione del machocentrismo (mi si conceda il neologismo) della politica italiana, che condiziona non solo la visione dei maschietti in politica, ma tristemente anche quella delle donne, che del machocentrismo dovrebbero naturalmente essere immuni.
Molti però gli episodi, che ho potuto vedere nei talkshow che ci propinano come salsicce, tutti uguali e con lo stesso trito, dovrei dire, con gli stessi personaggi politici che fanno la spola tra Rai e Mediaset per insultarsi in diretta o differita, in una sorta di par condicio della caduta di stile.
Mi ha colpito la veemenza con cui, per esempio, Emma Bonino a Ballarò, livida di rabbia, richiamava la Brambilla, ripetendole “SIGNORA”, quasi a proferire un insulto squalificante. Da ricordare, che in ogni caso il titolo della Brambilla è quello di dottoressa, perché lei una laurea (al di là della storia delle autoreggenti, gonfiata ad arte dal giornalismo machocentrico) ce l’ha. E non si tratta di una difesa dei titoli ad oltranza, che lascerebbe il tempo che trova se il gioco fosse uguali per tutti. Ma non mi è mai capitato di sentire Fini dare del “SIGNORE” con aria di sufficienza a Casini, o dei giornalisti più impegnati a descrivere la cravatta di Bertinotti, che la manifestazione del suo pensiero.
Il fatto che rimane chiaro è che esiste una specie di fiume carsico di pregiudizi, per cui quando le donne assurgono a posizioni di potere, o in forma del tutto eccezionale “hanno le palle” (e spesso anche i baffi), o ci sono arrivate per vie orizzontali (sempre da esplorare nelle profonde implicazioni). Che le donne non siano dottoresse, professoresse, cavalieri, onorevoli, ministri per diritto acquisito, ma perché qualche maschietto ce le ha lasciate arrivare, o peggio ce le ha messe. Se questa linea di pensiero è accettabile nei maschi della politica, quasi a meccanismo di difesa di un territorio che continua a restringersi, lo stesso atteggiamento è doppiamente offensivo nelle donne, perché più profonda dimostrazione di obsoleto condizionamento culturale, che farebbe inorridire Hillary Clinton, Angela Merkel o Michelle Bachelet (tanto per ricordarne qualcuna).
Volevo chiudere, invece, ricordando un episodio in cui mi è molto piaciuta la Prestigiacomo (sempre a Ballarò), che chiamata “SIGNORA” (con lo stesso tono), dal neo candidato PD Calearo, gli rispose “Onorevole” a correggere l’involontaria (?) svista dell’industriale illuminato, che ribatté ma “lei è una signora”, rimesso a posto, “ma anche Onorevole”.
Quando ci vuole, ci vuole!(Agorà Magazine)