Lockdown e università: evviva Boris Johnson

Il declino dell’università italiana è palese da tempo: diverse le ragioni, benché non tutte esplicitate.

Negli ultimi mesi il disinteresse per l’università si è ulteriormente accentuato. Si parla d’istruzione (scuole elementari, secondarie di primo grado  e secondarie di  secondarie), di cultura che si fa nei cinema, nei teatri, ma non si parla di quella cultura e quell’istruzione che avviene nell’università, nonché dei diritti di studentesse e studenti universitarie/i. Senza poi approfondire il fatto che l’università non costituisce affatto un “parcheggio”, bensì un luogo in cui il giovane può sviluppare pienamente la propria identità personale e la propria socialità, quest’ultima del tutto assente, sui social, e nell’odierna era digital-feudale priva, come del resto il feudalesimo medioevale, di illuminismo.

Non so bene puntualizzare cosa stiano combinando il nostro presidente del Consiglio dei ministri, il nostro ministro dell’università e della ricerca, mentre la Crui ha pubblicato:

http://www.governo.it/it/faq-fasedue

Dove termina l’ignavia? E quali scenari dipingerà?

Un altro declassamento del nostro paese e della sua competitività culturale ed economica.

Il report “Uno Sguardo all’Istruzione” pubblicato dall’Ocse, prende in considerazione trentasei paesi avanzati e circa l’Italia rileva come solo il 19% dei 25-64enni abbia un’istruzione universitaria, mentre la metà della media Ocse è del 37%.

Tra le generazioni giovani (davvero), ovvero tra i 25-34enni, si registra un buon 28% nel 2018 (34% per le donne) con un’istruzione universitaria.

Tuttavia la quota di laureati italiani “scala” le classifiche: ben al di sotto della media Ocse, che è del 44%, oltre che aliena dal 70% della Corea e dalle percentuali attorno al 60% di Canada e Irlanda.

E in uno dei migliori ranking, almeno in prima battuta, non mi pare nomini l’Italia:

https://www.timeshighereducation.com/world-university-rankings/world-university-rankings-2020-reaching-critical-mass

Ultima notizia rilevante: nella sera di sabato 31 ottobre Boris Johnson si è attestato lungimirante, “investendo” su e in scuola e università. Ha decretato una dura clausura (nel linguaggio corrente italiano lockdown), che prenderà avvio dalla mezzanotte e un minuto di giovedì 5 novembre), in cui devono chiudere tutte le “attività” non essenziali, come pub e ristoranti, ma non quelle essenziali, scuola e università.

E Giuseppe Conte?

La débâcle dell’università italiana prosegue inesorabilmente.  Dell’Italia.

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