COVID-19: LE ESPERIENZE INTERNAZIONALI CONFERMANO IL FISIOTERAPISTA RESPIRATORIO TRA LE FIGURE CHIAVE NELLA GESTIONE DEL PAZIENTE

UN EVENTO ARIR SOTTOLINEA L’IMPORTANZA DEL RIABILITATORE NEL TEAM MULTIDISCIPLINARE CHE PRENDE IN CARICO IL PAZIENTE CON SARS.COV.2, DALL’OSPEDALE AL RITORNO AL DOMICILIO

MILANO, 19 gennaio 2021 – Ridurre la fatica respiratoria dei pazienti con COVID.19, migliorare la gestione dei sintomi, ridurre la necessità di intubazione, aiutare il paziente a raggiungere l’autonomia rispetto alla ventilazione meccanica e ai supporti respiratori, aiutare la persona nella ripresa dell’autonomia nella vita quotidiana: questi sono solo alcuni dei macro-temi su cui il fisioterapista respiratorio “fa la differenza” e sui quali si è sviluppato nei giorni scorsi il seminario internazionale “RESPIRATORY PHYSIOTHERAPISTS FIGHTING COVID.19” organizzato dall’Associazione Riabilitatori dell’Insufficienza Respiratoria-ARIR, evento che ha visto la partecipazione di 800 specialisti di settore.

L’obiettivo dei responsabili scientifici dell’evento – Andrea Lanza (Vicepresidente ARIR, Equipe Fisioterapia Respiratoria, Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, Milano) ed Emilia Privitera (Consigliere ARIR, Fisioterapista, Dipartimento Professioni Sanitarie, IRCCS Ca’ Granda-Ospedale Maggiore Policlinico, Milano) – era quello di condividere esperienze, strategie terapeutiche e modelli organizzativi per la gestione della CoViD-19. E le tre sessioni dell’evento – fisiopatologia ed approccio clinico al COVID.19, risposte ai quesiti clinici, aspetti organizzativi ed esperienze internazionali, sviluppate con 13 relazioni accademiche – hanno sottolineato un dato: il fisioterapista è stato coinvolto ovunque nella gestione dei casi da SARS.COV.2, dalla gestione in pronto soccorso alle terapie intensive e subintensive, ma ha potuto offrire il massimo apporto laddove la sua figura era già prevista presente nei team multidisciplinari.

Nei casi in cui questa non era già prevista è stato necessario integrarli urgentemente all’interno dei gruppi di lavoro, per assicurare gli interventi precoci e indispensabili già dalle prime fasi di cure intensive, ma anche per gestire formazioni “lampo”, sulla gestione delle strategie e dei presidi respiratori, dedicate ai colleghi ed ai professionisti sanitari non specializzati, contribuendo anche ad individuare e valutare tutti i tipi di apparecchiature (ventilatori, interfacce, sistemi di erogazione dell’ossigeno) più utili per i pazienti.

Al centro del dibattito promosso da ARIR c’è stata una considerazione: la storia di questa pandemia ha ricordato il ruolo vitale della comunità scientifico-assistenziale. Tutti gli operatori sanitari sono membri a pieno titolo di questa comunità scientifica, ciascuno – intensivisti, pneumologi, fisioterapisti, con una visione privilegiata ed ognuno con il potenziale per acquisire e interpretare informazioni uniche e indispensabili per fare il quadro generale più completo. “C’è molto da imparare da questa esperienza – hanno sottolineato i relatori – e tutto questo ci renderà più pronti ad affrontare le sfide future, comprese quelle pertinenti alla fisioterapia ed alla riabilitazione polmonare”.

La conclusione del seminario è affidata alle parole di Andrea Lanza: “Ora, più che mai, i fisioterapisti respiratori sono chiamati all’azione. Tuttavia, dobbiamo ampliare le nostre competenze per rispondere ai sempre nuovi bisogni di salute che si affermano anche in periodi emergenziali: per questo dobbiamo riscrivere i modelli organizzativi nei contesti acuti e rafforzare il nostro ruolo nella comunità”.

E in giro per il mondo la “riscrittura” del modello di gestione dell’emergenza è già in atto: non a caso in Brasile – ha sottolineato il prof Wellington Pereira Yamaguti, fisioterapista dell’Hospital Sírio-Libanês di San Paolo, il più importante centro sanitario del SudAmerica – al termine della prima fase pandemica è stata emessa una direttiva sanitaria che include il fisioterapista in tutti i reparti di medicina intensiva, con l’indicazione della presenza di un fisioterapista ogni 6-10 letti. Anche il nostro Paese potrebbe uniformarsi a questa scelta lungimirante, per essere in grado di acquisire una preziosa risorsa strategica nella gestione abituale delle terapie intensive.

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