RAPPORTO ANNUALE DELLA GUARDIA DI FINANZA: MENO RISORSE PER TUTTI

Tre anni fa, il centrodestra aveva promesso di ridurre la pressione fiscale sotto il 40% del prodotto interno lordo e di rafforzare il contrasto all’evasione. Oggi, la tassazione è pari al 52 % del Pil, e nel 2010 l’evasione fiscale è aumentata del 46%, che equivale a 50 miliardi di euro non dichiarati. Sovraccaricato da un fisco complicato e iniquo, da un debito che decima gli sforzi della nostra economica e da un’incapacità del Governo di investire per la ripresa e tagliare gli sprechi, il sistema di finanza pubblica italiana è sul rischio di esplodere.

Ciò che allarma particolarmente non è tanto la consuetudine di Lega e Pdl di presentarsi alle elezioni con promesse che non saranno mai in grado di mantenere, quanto le conseguenze della loro devastante azione amministrativa che si riduce ad un esercizio strumentale della politica per fini personali. In questo modo l’essenza pubblica dello Stato, come efficiente struttura al servizio dei cittadini, viene sopraffatta dal sistema delle cricche e delle clientele assurto a modello organizzativo e impostazione culturale. I numerosi tagli ai servizi essenziali e la stagnazione della produttività del Paese dipendono anche da chi ha fatto aumentare l’evasione a danno dei contribuenti.

Il rapporto annuale della Guardia di Finanza fotografa un’estensione tentacolare di quella metastasi per il nostro sviluppo che è la frode fiscale: è aumentata a dismisura l’evasione totale, con ben 20 miliardi in meno nelle casse dello Stato; è raddoppiata l’evasione fiscale internazionale, realizzata con il metodo delle società off-shore, che ha causato una perdita di 11 miliardi di euro; anche l’evasione delle imposte dirette è cresciuta, e il mancato pagamento di Iva, Irap e ritenute ammonta a 26 miliardi di euro.

Di fronte ad un fisco che prosciuga le risorse degli onesti e ad un’evasione che paralizza le possibilità di ripresa, la ricetta che il Presidente del Consiglio propone al Pd è quella di difendere “l’intrapresa privata” dall’imposta patrimoniale. Ma la priorità del Paese non è quella di favorire i ceti abbienti: la soglia di povertà si avvicina ogni giorno di più ai ceti medi, la disoccupazione cresce – piaga nella piaga – di pari passo con il precariato e i conti pubblici sono completamente da rivedere se vogliamo evitare il tracollo. La patrimoniale, allora, può servire ad abbattere il debito pubblico che pesa sulle spalle di tutti: è vero che si tratterebbe di ‘una tantum’, ma servirebbe a drenare le risorse attingendo, con imposizione progressiva, ai patrimoni dei più ricchi, fin troppo protetti da questo Governo, e utilizzarle per la riforma del Welfare e dello stesso fisco, per restituire i fondi a scuola, università e ricerca e creare un salario d’ingresso nel mondo del lavoro per i giovani, provando ad eliminare il dramma sociale del lavoro precario.

Ad un’economia dissanguata serve una cura ricostituente, ma, soprattutto, serve una maggioranza in grado di prendere delle iniziative per la stabilità del Paese: non di fare proclami e ultimatum, proposte indecenti e attacchi quotidiani, scaricando all’esterno le proprie gravissime responsabilità e continuando così a rappresentare il più grande ostacolo allo sviluppo dell’Italia.

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